mercoledì 31 ottobre 2012

L'insostenibile peso delle merci



Un mondo invaso dalle merci non sarà mai un mondo libero e sicuro. Le merci invadono le nostre strade, le nostre case, il nostro futuro.
Pensiamo di essere liberi da vincoli, ma non riusciamo a liberarci dall’assillo di avere oggetti, di cambiarli, di portarli con noi. Anche se non ci servono. Ogni vent’anni guadagniamo un oggetto in più la cui dimenticanza di rende la vita difficile: negli ultimi due decenni abbiamo completato la simbiosi con il telefonino, prima erano le chiavi della macchina, prima ancora l’orologio. Non avvertiamo mai il bisogno di abbandonarne qualcuno e sono sempre di più.
Siamo nati e cresciuti in un mondo che ha sempre preferito la materia plasmata alla materia prima. Abbiamo perso il significato del lavoro che trasforma e modella; lasciamo che qualcuno lo faccia per noi e siamo disposti a pagarlo se su quell’oggetto risaltano quei piccoli segni che danno valore: un’etichetta, un marchio, un segno, una sigla, un “graffio”. Come se nessuno sapesse più fare un paio di scarpe o un vestito. Con la conseguenza che le nostre mani sanno solo prendere da uno scaffale, ma non hanno più capacità. Oggi si riscopre il gusto di fare, di assemblare cose più alla portata perché così facendo risparmiamo l’energia necessaria a unirle per poi trasformarle. Il  concetto “chilometri zero” sembra un espediente inventato da un genio del marketing, ma era regola sottaciuta fino a pochi decenni fa.
Le merci sono oggi solo vettrici di valore aggiunto: per la firma che portano, per la confezione, per il contesto di presentazione, per le moine che ci fa il commesso. Il valore di quello che ci teniamo in casa al netto della gratificazione dell’acquisto, imballi, confezioni, libretti d’istruzione e altri annessi e connessi è veramente poca cosa. Eppure non sappiamo resistere all’impulso dando così continui pretesti a chi produce di trovare nuovi espedienti per indurre il consumo. Anche ricorrendo anche alla mistica religiosa che porta a creare santuari pagani per celebrare riti collettivi.
La produzione e la distribuzione di merci, una volta dispensatrici di benessere e crescita sociale, oggi non garantiscono più la stabilità. Se un tempo la classe operaia poteva riscattarsi acquistando a prezzi abbordabili il prodotto delle sue fatiche in fabbrica mettendo così in moto i volani dei modelli di crescita virtuosa che hanno attraversato quasi tutto il XX secolo, oggi il fabbisogno di risorse economiche per rendere disponibili una sempre più elevata quantità di merci crea squilibri, sperperi e saccheggio di risorse. E il numero dei fruitori dei beni prodotti secondo le logiche della catena globale - produci per poco, vendi per tanto - sta continuamente assottigliandosi. Attaccato ad ogni borsa di gran marca esposta a prezzi esorbitanti nei negozi del centro c’è il bandolo finale di una matassa di filo che conduce nei luoghi di produzione dislocati a migliaia di chilometri di distanza che riparte per le zone di produzione delle materie prime e che si sfilaccia negli interminabili sentieri percorsi tra mille pericoli dai disperati disposti a lavorare per pochi spiccioli.
Ma non sono solo i beni voluttuari che invadono la nostra vita. Diamo un’occhiata in giro mentre percorriamo un’autostrada in un normale giorno lavorativo: mezzi che trasportano cibo, latte, acqua, automobili, benzina, ossigeno, cemento, gelati, pane, biscotti. Mezzi che distribuiscono merci presso punti che a loro volta distribuiranno a chi compra e porta a casa. Mettendo nuovamente in circolo merci. Le economie occidentali girano perché le merci girano, si dice. Ma adesso che si comincia a produrre di meno, le merci girano di meno. Qualcuno si è accorto che l’economia può crescere se si propongono modelli di consumo contenuti, al limite della frugalità. Allora si parla di baratto, di autoproduzione, di condivisione, di recupero. La produzione di beni necessari alla sussistenza e alla soddisfazione dei bisogni dell’uomo può avvenire in un ambito locale. Lo stesso dicasi per la loro distribuzione. Siti produttivi dislocati in luoghi lontani dai mercati di destinazione e la crescente concentrazione di entità dedicate alla distribuzione sono un pretesto per garantire profitti senza richiedere investimenti finalizzati ad una migliore efficienza. La depressione dei consumi, il principale accusato per la crisi economica di questi anni, e il loro rilancio come più volte auspicato da parte imprenditoriale è un pretesto per rimettere in moto vetusti modelli economici che difficilmente torneranno a produrre utili come in passato.  Ma fra un po’ sarà Natale. E sono in molti a sperare nell’occasione di riscatto delle merci.

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