martedì 24 giugno 2014

Il male che viene da dentro

Imbarazza l'ostinato silenzio del signor Matteo Salvini di fronte ai brutti fatti di violenza e crudeltà della scorsa settimana. Un tranquillo padre di famiglia che stermina la famiglia per una crisi sentimentale di stampo pre-adolescenziale, un altro padre di famiglia che, sebbene presunto assassino, dovrà per lo meno giustificare il fatto di avere lasciato traccie biologiche sugli indumenti intimi di una minorenne. In ultimo uno scalmanato che, nudo come un verme, accoltella passanti urlando frasi sconclusionate. I motivi dell'imbarazzo li possiamo comprendere: nessun extracomunitario da accusare, solo italiani, neppure meridionali: lombardi doc!
Una nemesi etnica che ha colpito lo sventurato segretario della Lega dopo le speranze della rinascita elettorale. Bei tempi in cui tutto il male veniva da fuori e si faceva credere alla gente che la malvagità si poteva debellare chiudendo le frontiere e imponendo dazi doganali commisurati allo scuro della pelle. 
Il male, caro Salvini, è dentro di noi. Non c'è modo di tenerlo a bada. Non alberga nel negro, nello straniero, ma è spesso volte quello straniero che è dentro di noi e che salta fuori dalla normalità di una famiglia, dalla tranquillità di un lavoro regolare e ben remunerato, da dietro i vasi di gerani di una villetta bifamiliare; insomma anche in quella Svizzera promessa che, a quanto lei dice, hanno contribuito a demolire le ondate di emigranti arrivate in Italia senza controllo. Avrà capito che il male, certe volte, non deve fare molta strada per giungere da noi. Nei fattacci di cronaca nera a cui si fa riferimento, i protagonisti sono tutti "lumbard", senza contaminazioni. Neppure una goccia di sangue meridionale, neppure quello. Tempi duri, caro Salvini per le sue ferree convinzioni. Neppure più Kabobo potrà attaccare. Almeno lui un po' di dignità l'ha avuta astenendosi dal girare nudo dopo la mattanza. 
Un ultima domanda, signor Salvini, ma lei i film di fantascienza degli anni '50 non li ha mai visti? Male, male (è il caso di dirlo). Se ne faccia una bella scorpacciata: vedrà che il male quando vuole fare male veramente usa la tattica più efficace per vincere: nascondersi lì dove nessuno si aspetta che sia.

lunedì 23 giugno 2014

Corporativismo di Stato

I tassisti sbraitano e invocano il rispetto delle leggi tirando per la giacchetta quel governo di cui si fanno spesso beffe nel corso delle chiacchierate con gli occasionali clienti. Il governo gli dà ragione, ma li invita anche a darsi da fare per rendersi un po' più reperibili visto che la loro "app" più aggiornata si ferma al telefono nero di bachelite vicino al parcheggio. Loro ci provano, ma i risultati non sono incoraggianti. Dovranno minacciare ancora scioperi e agitazioni per farsi ascoltare e, probabilmente, farsi foraggiare lautamente invocando uno stato di crisi. 
Paradossale che una categoria professionale di fronte alle minacce di estinzione debba appellarsi al diritto costituito. Ovvio se pensiamo che cosa significa per un'economia moderna essere assoggettata al cappio delle corporazioni: incapacità di rinnovamento, logiche ricattatorie, investimenti ridotti al minimo e spesse volte a carico della collettività. 
Uber è nato negli Stati Uniti dove leggi e norme regolano in modo quasi asfissiante i settori di interesse pubblico. Ma non offrono tutele di fronte all'inerzia e all'incapacità di reagire alla sfide del mercato. In Italia e in buona parte dell'Europa sono i Governi che non sanno raccogliere le sfide, preferendo assoggettarsi a logiche di interesse spicciolo e orizzonti imprenditoriali di piccolissimo cabotaggio.  

mercoledì 18 giugno 2014

La voce buona della politica

La politica si può esprimere in tanti modi. Quando impartisce saggi sulla moralità fa ridere, quando minaccia pene e restrizioni preoccupa, quando promette contribuisce a generare un nuovo partito che smaschererà il reprobo. Ogni tanto, raramente, usa parole buone. Ma quando lo fa, tocca il cuore. Oggi il Presidente della Camera lo ha fatto. Laura Boldrini ha esortato i disperati dei barconi a pensare all'Italia come ad un Paese che li considererà sempre e comunque benvenuti. Belle, come sono le parole della speranza, come una mano tesa che si allunga a chi sta affogando, come un sorriso ad un condannato a morte scortato verso il patibolo. Non si scandalizzino i gendarmi della difesa dei confini della Patria. Non sono le parole che legalizzano i clandestini, nessuno sdoganamento di politiche di immigrazione incontrollata. Sono le parole buone di una politica buona che sa vedere lontano e che, più di altro aiutano un disperato a vedere lontano: un ricongiungimento con la propria famiglia, una vita di opportunità che si profila davanti a chi rischiava solo fame e morte, o solo molti chilometri tra la propria incolumità fisica e gli aguzzini. 
Un augurio di benvenuto: perché è buona la tua venuta se hai scelto la mia terra per scappare dalla tua e buona deve essere la volontà di chi ti accoglie.
Il Presidente della Camera ha usato le parole che dovrebbe usare il marinaio che soccorre il barcone semi affondato, l'operatore umanitario che rifocilla dopo giorni di sole, mare e paura, il poliziotto e il carabiniere che scortano al centro di prima accoglienza. Ma che spesso non usa il politico che agita la catastrofe, paventa la rovina e minaccia le cannonate. Parole che non vanno oltre il traguardo del titolo in giornale del giorno dopo. Le parole della speranza, come tutto ciò che è buono, restano.  

La forza della reazione