domenica 21 aprile 2013

Lo Stato occupazionale


E’ possibile teorizzare un sistema di reclutamento che garantisca sempre una piena occupazione di tutta la forza lavoro disponibile, che sappia indirizzarla verso il giusto sbocco professionale e che sia in grado incentivarla ad cogliere tutte le possibilità di aggiornamento e formazione? Insomma un sistema che metta al riparo da sfruttamento, lavoro nero, paghe risibili e ricatti? Si; anche se sulle prime potrebbe sembrare un tentativo mal riuscito di resuscitare modelli di economia di stile collettivista, il sistema potrebbe avere una sua logica facendo dei doverosi distinguo. Nei Paesi del socialismo reale esisteva, di fatto, un unico datore di lavoro, lo Stato che, allo stesso tempo, formava, reclutava, divertiva e accudiva l’intera popolazione. Che lo facesse bene e con intenti disinteressati è sicuramente non vero, ma lo faceva. Ancora oggi l’assistenzialismo garantito è oggetto di rimpianto da parte dei sopravvissuti al crollo del muro. Ma dato che si trattava di assistenza, il modello non avrebbe potuto reggere a lungo. Come i fatti dimostrarono.  Ipotizzando però che i datori di lavoro siano tanti e operino in regime di concorrenza, come avviene nelle nazioni dove vige il libero mercato, sarebbe però interessante pensare ad un sistema dove l’intera forza lavoro venga assunta da un unico operatore, lo Stato, e rimesso a disposizione delle aziende sulla base di un meccanismo, né più ne meno, simile al lavoro interinale.
Facciamo un esempio: il soggetto A terminato il suo corso di studi universitario viene assunto dallo Stato che lo valuta per quella che è la sua preparazione, le sue capacità, talenti e inclinazioni . Se non dimostrerà il livello di preparazione adeguato e se rivelerà un potenziale, potrà integrare le sue conoscenze con attività di formazione ad hoc, ovviamente a spese della collettività. Una volta pronto per il mondo del lavoro, lo Stato lo proporrà a quelle aziende interessate al suo profilo. In cambio riceverà un corrispettivo per il servizio  reso. Un bel vantaggio per l’azienda: niente più tenuta di libri paga, versamenti di contributi, cedolini, accantonamenti: tutto è a carico dello Stato. Che ovviamente si rifà sulle aziende “clienti”. Ma torniamo al nostro soggetto A: il lavoro nella sua azienda prosegue. Cresce professionalmente e matura esperienze rivendibili in altri contesti. In un contesto normale l’azienda che lo ha assunto tenderà a non riconoscere nessun merito alla sua crescita e il giovane ha due strade per migliorarsi: chiedere un aumento o cambiare lavoro, ovvero mettersi subito in una condizione di debolezza e di potenziale rischio. Se fosse dipendente “dello Stato”, quest’ultimo una volta accertate le qualità del suo dipendente andrebbe dall’azienda cliente a contrattare un aumento del corrispettivo per le prestazioni svolte. Se l’azienda non accetta, la risorsa verrà automaticamente allocata presso un’azienda maggiormente disposta a sostenere i costi le prestazioni fornite. Indubbiamente il modello presuppone un’estrema mobilità, ma se questa modalità venisse resa obbligatoria fino ad una certa età, per esempio fino a 35 anni, i vantaggi sarebbero superiori ai disagi. Vediamone i motivi: Lo Stato di fatto diventa monopolista di una fetta di forza lavoro, proprio di quella più critica, vulnerabile e soggetta alla discriminazione. La possibilità di reclutare personale al di fuori questa modalità verrebbe facilmente individuata. Praticamente il lavoro in nero sparirebbe. L’evasione contributiva subirebbe una drastica riduzione perché sarà solo lo Stato a versare contributi per i propri assunti. E per le aziende è un bel sollievo in termini di costi fissi per personale amministrativo che non sarà più necessario. Lo stesso dicasi i versamenti delle imposte, l’assistenza sanitaria, la maternità. Tutto a carico di un unico interlocutore che coprirà i costi con i proventi derivanti dalla “locazione” delle proprie risorse. Un vantaggio enorme è poi prevedibile per la formazione e lo sviluppo delle risorse per la semplice ragione che lo Stato, possessore di fatto di tutte le risorse impiegabili all’interno della tessuto produttivo abbia un altissimo interesse a investire in formazione e addestramento per mantenere elevata la qualità del suo patrimonio che potrebbe essere impiegabile non solo all’interno del contesto nazionale, ma anche all’estero.
L’idea è questa, per sommi capi. Sicuramente ha molti buchi e smagliature, ma a livello generale non vedo motivi che potrebbero ostacolare un approfondimento. Se qualcuno avesse delle idee al riguardo o al contrario può approfittare di questo spazio per aprire il confronto. 

La forza della reazione