sabato 19 marzo 2011

Strisce di civiltà


In Inghilterra, nel 1973 quando misi piede per la prima volta sul suolo britannico, feci una delle più curiose scoperte della mia vita di adolescente: le strisce pedonali.
Scoprii, insieme ai miei amici italiani impudenti e svergognati, che bastava fare la mossa di allungare il piedino verso la zona riservata all’attraversamento che i vecchietti inglesi sui loro trabiccoli a tre ruote inchiodavano, imprecavano, dannavano gli italiani, ma si fermavano.
Sono passati molti anni ormai: i vecchietti inglesi che avevano fatto la guerra sono morti, gli obbrobriosi tricicli caracollanti a motore sono spariti, le strisce pedonali di Abbey Road sono diventate monumento nazionale, gli italiani che andavano a studiare inglese a Hastings sono cresciuti, diventati adulti, genitori, forse nonni a loro volta, ma non hanno ancora imparato a rispettare i pedoni.
Nel nostro Paese muoiono ogni giorno due pedoni investiti da automobilisti troppo veloci, distratti e poco rispettosi della vita altrui.
Nel 2009 l’Istat ha registrato 667 pedoni morti a seguito di incidenti stradali e una relazione dell’ACI del 2010 mette in luce che sebbene il numero degli incidenti stradali sia in costante sensibile diminuzione, le occasioni in cui a rimetterci la pelle è chi va a piedi sono in aumento di quasi il tre per cento. I peggiori in Europa.
Le ragioni? Scarsa educazione da parte di chi guida, automobili sempre più alte, massicce ed imponenti per proteggere chi le guida, ma devastanti per chi è fuori dall’abitacolo, strisce poco segnalate e rarefatta presenza di dispositivi che rendano sicuro l’attraversamento. Aggiungiamo anche che una volta risarciti i familiari della vittima, grazie per fortuna all’assicurazione obbligatoria, è possibile ottenere il patteggiamento e le pene sono veramente irrisorie. La ventilata proposta di legge per iniziativa popolare, sostenuta anche dal sindaco di Firenze Renzi, finalizzata a far recepire al codice penale l’invocata fattispecie di reato di “omicidio stradale”, renderà meno percorribili le scappatoie civilistiche e addosserà al responsabile tutto il peso di un omicidio intenzionale, aggravato, come spesso accade, da una percezione della realtà stordita da alcool e droghe.
Ma se ne parla da anni e, curiosamente, nonostante la pletora di leggi e decreti varati per regolamentare le minuzie, non si è mai riusciti a configurare fattispecie di reati specifici che fungano da efficace deterrente alle bravate di scervellati e fornisca, d’altro canto, un elemento almeno parzialmente risarcitorio per il dolore rancoroso dei parenti delle vittime.
I dispositivi più efficaci per tutelare l’incolumità dei pedoni sono quelli che avvertono l’automobilista che sta avvicinandosi ad un attraversamento e che deve mettere in atto tutte le precauzioni per evitare incidenti. Per esempio, sarebbe opportuno disporre bande rumorose almeno 100 metri prima del passaggio zebrato per invitare le automobili a rallentare, creando una zona a velocità controllata con telelaser dove non si possano superare i 30 km all’ora. Il passaggio andrebbe inoltre reso visibile con led intermittenti visibili in lontananza e l’intera zona del transito pedonale illuminato dall’alto con faretti. Si tratta di forti investimenti, ma del tutto giustificati se si intende porre un freno alla carneficina dei pedoni uccisi per strada ogni anno. Forti investimenti, non cifre folli che le amministrazioni comunali proprietarie delle strade e le concessionarie della rete viaria nazionale potrebbero sostenere se adeguatamente incentivate. E l’incentivo ci sarebbe stabilendo a livello legislativo che in caso di investimento di un pedone a causa della mancanza di dispositivi atti alla tutela di chi va a piedi, chi non ha provveduto risulti corresponsabile insieme al conducente dell’auto delle conseguenze penali e civili.

La forza della reazione