giovedì 18 aprile 2024

La forza della reazione

Dice bene il giudice Gherardo Colombo nel suo podcast "lo Stato parallelo" (lo trovate su Rai Play Sound) dove racconta il suo operato di procuratore alla riceca delle trame legate alla loggia P2: ogni qual volta arrivano ondate di progresso sociale e civile, ovvero quando uno dei precetti fondamentali della nostra Costituzione viene attuato, la reazione interviene con azioni rivolte a diminuirne gli effetti. Così è stato agli inizi degli anni '70 con le conquiste dello Statuto dei Lavoratori, i movimenti operai e sindacali. l'affermazione del divorzio e la legge sull'aborto. Tutto il resto del decennio è stato un susseguirsi di attentati, stragi e omicidi che non sempre possono essere spiegati con il terrorismo e gli anni di piombo. Le trame nascoste dallo Stato erano all'opera per cercare di eliminare le conquiste della democrazia. La forza della "Reazione", molto bene espressa dalla loggia P2 e da buona parte dei suoi appartenenti, era all'opera con l'intento primario di costringere il Paese in uno stato di perenne terrore. 

Le cose non sono cambiate di molto, ma gli scenari si. Oggi le spinte verso il miglioramento del nostro Paese provengono soprattutto dalla capacità di assecondare o contrastare il processo di integrazione con le persone che hanno scelto di lasciare il proprio Paese e venire a vivere in Italia. Questo vuol dire riconoscere le diversità, e soprattutto immaginare quale potrà essere l'immagine del futuro degli italiani. Chi non riesce a fare uno sforzo per immaginare la società futura si trincera dietro la difesa delle tradizioni accusando di tradimento chi svende la propria identità in nome del supposto "buonismo" di cui, secondo la destra nazionalista che ci governa, sarebbero affette tutte le forze progressiste della sinistra. Chi invece intravede quello che potrà avvenire in un futuro prossimo comincia a mettere in atto le scenografie del domani. Come don Claudio Borghi che ha dato il via ai festeggiamenti per la fine del Ramadan mettendo a disposizione gli spazi comuni della sua parrocchia di Renate in Brianza, ospitando i duecento musulmani che hanno condiviso con altrettanti cristiani i cibi e le bevande di questo rito. La reazione non si è fatta attendere. Il capogruppo della lega in Regione si è subito dato da fare per sottolineare l'opportunità di una simile iniziativa stigmatizzando che un territorio che dovrebbe essere sottoposto all'esclusivo dominio della cristianità possa diventare terra di conquista di musulmani. Interpellato in merito don Borghi non si è speso in azzardate giustificazioni. Ha semplicemente ribadito quello che un vero cristiano dovrebbe avere ben presente: siamo figli dello stesso Dio. Oggi è Renate, ma l'anno prossimo ci saranno molte altre Renate e altri don Claudio che spalancheranno le porte degli oratori ai fratelli musulmani che verranno in pace. Questa si chiama integrazione. Chi resiste dovrà farsene una ragione.

giovedì 11 aprile 2024

Berlusconi Turrito

E' di questi giorni la notizia che il Governo italiano abbia dato il via libera all'emissione di un francobollo dedicato a Silvio Berlusconi. L'uscita è prevista a giugno in occasione dell'anniversario della morte. 

Un po' difficile da credere, ma in fondo non è poi così sbagliato ricordare con un francobollo un personaggio come Berlusconi. Di grandi cose ne ha fatte, ma certo non tutte egregie. Però, era proprio il caso di ricordarlo dopo neanche un anno dalla morte? Non sarebbe stato meglio fare decantare i suoi trascorsi? Così tanto per non appesantire quell'aria di agiografia forzata che necessariamente l'immagine vorrà trasmettere.


Ma poi chi usa ancora i francobolli? L'effige di Berlusconi (ma davvero scriveranno "il Berlusca"?)  non viaggerà poi tanto per posta ordinaria. Forse qualche vecchio nostalgico approfitterà per mandare una spiritosa cartolina agli amici del bar in occasione di qualche gita. L'uso esiguo e rarefatto che si fa di lettere e cartoline non fomenterà la notorietà del nostro personaggio tra le leve più giovani abituati ad altre missive. Interesse collezionistico? Forse, ma non si poteva continuare allora con la serie dell'Italia Turrita? 

A proposito di collezionisti: chi ha conoscenza dei francobolli usciti durante il periodo della Repubblica sa che i francobolli possono essere emessi anche per commemorare le disgrazie. Ecco...



giovedì 21 marzo 2024

Le nostre tradizioni

Il vescovo di Asti, monsignor Marco Prastaro, ha scritto una lettera rivolta alla comunità dei fratelli e delle sorelle musulmane per augurare che il periodo del Ramadan coincida con un un periodo di rinnovamento interiore che possa generare opere di misericordia. La parole contenute nella lettera toccano molti punti che le due religioni hanno in comune, soprattutto un cammino verso pace e giustizia. 

Questa lettera è un'iniziativa che aveva cominciato il predecessore di monsignor Prastaro, monsignor Ravinale ed è sempre risultata molto gradita alla comunità dei musulmani della città. A fine Ramadan l'imam di Asti invita sempre il vescono alla festa rituale. 

Una bella iniziativa che sicuramente scalda i cuori di chi crede che una perfetta integrazione tra culture diverse sia possibile quando persone intelligenti e volenterose si mettono in gioco aprendo il proprio cuore verso lo straniero. La strada a volte è segnata; altre volte bisogna cercarla. Il vescono di Asti, ma anche il preside della scuola di Pioltello la strada l'hanno dovuta cercare. Probabilmente è quella che porterà ai frutti migliori, ma per molti non lo è. 

A quei pochi che credono che si tratti di sottomissione e sudditanza verso chi vuole stravolgere "le nostre tradizioni" rispondono ancora i tanti che credono che la prevalenza sia solo quella del rispetto.

P.S.: quando si sente il politico di turno tuonare contro lo straniero che vuole privarci delle "nostre tradizioni" riferendosi alle grandi celebrazioni cristiane provo un certo imbarazzo. Le tradizioni sono il panettone, il pandoro, la colomba e l'uovo. Natale e Pasqua fanno parte della religione. In mezzo c'è solo ignoranza e supponenza.

Uomini di buona volontà

 Il Papa che dice parole di pace è sicuramente un buon Papa accettato da tutti. Il Papa che tuona contro la guerra va ascoltato, ma a molti da un po' fastidio che si occupi di aspetti di geopolitica invece che di anime e dogmi. Se poi arriva a raccomandare ad uno dei contendenti di adoperarsi per la pace allora è un invito alla resa, un inchino alle prevaricazioni del più forte. Eppure chi è cristiano dovrebbe avere bene in mente che il mondo migliore è fatto dalle persone di buona volontà. Quante volte abbiamo sentito parlare di uomini di buona volonta? Il Vangelo ci svela tanti uomini di buona volontà: dal padre del figliol prodigo al ladrone che si pente in croce. Ecco chi sono gli uomini di buona volontà: semplicemente sono coloro che sanno tendere una mano aperta per dire: io sono qua e sono pronto a confrontarmi con te se anche tu sei disposto a farlo come me. Senza false intenzioni, senza pregiudizi. Non è facile. Eppure io sono sicuro che Papa Francesco intendeva proprio questo. L'Ucraina faccia un passo avanti e riconosca un terreno sul quale trattare lasciando perdere il passato e guardando solo al futuro. Perché gli ucraini, come anche tutti i popoli in guerra, la cosa che desiderano di più è il futuro. Il passato, in fondo, sarà presto solo un libro di storia. 

martedì 12 marzo 2024

Strappata ai giochi

 Il paese era molto piccolo e non si poteva considerare una rinomata località di villeggiatura estiva. Di quelle che le altolocate famiglie genovesi eleggevano come destinazione mondana per le vacanze. Era comunque in una bella posizione: aria e acqua buona, gente tranquilla molto affezionata e riguardosa nei contronti della famiglia Peregalli anche perchè la signora Letizia aveva parenti originari di lì. Puntuali come ogni anno arrivavano verso la fine di giugno per stabilirsi nella bella casa acquistata e di recente ristrutturata dall'ingegnere. La famiglia arrivava in carrozza seguita da tre o quattro carri con i bagagli, dei mobili nuovi, stovigliame, bottiglie di vino e regali quasi per tutti. La signora Peregalli, a scignua, come era chiamata cominciava a diramare ordini, indicazioni e raccomandazioni affinchè tutto venisse sistemato in fretta nella grande casa. Allora le vacanze potevano iniziare. Il giovane Giovanni Battista, per tutti Giobatta, guardava con curiosità quel movimento. Si ricordava che l'anno prima aveva conosciuto la figlia piccola della coppia, Emanuela, chiamata in casa Molly, una bambina molto delicata che veniva sorvegliata senza sosta dalle due bambinaie che si portavano dietro. La rivide. Pensò che doveva essersi sbagliato con un'altra persona. La figura che vide era diversa da quella bambina allegra e vivace che ricordava; pallida e magra. Solo gli occhi restituivano la vitalità che lui ricordava. Cercò subito di farsi avanti per salutarla, ma la sorveglianza delle governanti non gli permise di avvicinarsi. Allora la chiamò, ma lei fece finta di non averlo sentito continuando a giocare con i fratelli. La sera a tavola suo padre commentò l'arrivo della famiglia Peregalli senza particolare interesse a differenza degli altri anni quando l'insediamento della famiglia per le vacanze significava per lui un notevole incremento di lavoro. Augusto, infatti, buon carpentiere riusciva sempre a farsi commissionare qualche lavoro dall'ingegnere. Ma durante quell'estate per suo padre era diverso. Aspettava delle risposte da alcuni compaesani parttiti per gli Stati Uniti per fare fortuna. Aspettava che si aprisse una porta anche per lui. Ma la risposta tardava ad arrivare. Le occasioni per vedere Molly erano molto poche. Eppure l'anno prima era facile incontrarsi per strada, fare anche una corsa o un gioco tutti insieme. Quell'anno no. Dicevano che l'ingegnere era diventato un uomo d'affari molto importante a Genova e addirittura pareva che volesse entrare in politica. E allora la gente del paese sosteneva che come tutte le famiglie benestanti ci tenessero a mantenere le distanze. Giobatta non capiva molto di quei discorsi. Però Molly la guardava solo di sfuggita e lei continuava ad ignorarlo. Solo di domenica a messa riusciva almeno ad incrociare i suoi occhi; aspettava che lei gli passasse davanti per andare verso i banchi in prima fila per poi alzarsi di scatto fingendo di dovere andare a prendere qualche cosa fuori dalla chiesa. Notava che la governante interveniva subito per allontanare la bambina che si faceva docilmente trascinare. Una domenica in chiesa decise che doveva fare un passo avanti: alle fine della messa rimase seduto sulla panca, aspettò Molly che passava e le prese la mano. Lei la strinse debolmente, portandosela dietro per pochi passi, poi mollemente la lasciò andare. Era morbida, ma fredda. Camminava senza guardarlo, ma lui sapeva che erano vicini come non sarebbero stati mai più. La notizia arrivò pochi giorni dopo. Tutta la famiglia di Giobatta sarebbe andata in America. La partenza era molto vicina. Il carro che li avrebbe portati alla stazione e poi col treno a Genova era già pronto con i bagagli e con tutti quegli averi che è possibile portarsi dietro in un viaggio in nave così lungo. Sua madre piangeva. Suo padre era nervoso mentre controllava che tutto fosse assicurato al carro. Giobatta guardava le facce di tutti quelli che erano venuti per salutare e augurare buona fortuna. Vide anche Molly. Scese dal carro e corse vero quella bambina così indifferente. La guardò negli occhi e le diede il suo regalo, un burattino di legno fatto con semplici listelli di legno tenuti assieme da ganci di metallo per poterlo muovere e fargli assumere buffe posizioni. Era molto bello e lui ne era molto fiero. Glielo offrì e lei lo prese e lo guardò finalmente. Subito arrivarono la governante che liberò Molly da quella situazione imbarazzante strappandole dalle mani il gioco e suo padre che gli disse di tornare subito sul carro. 

Ormai la nave era lontana dalla costa. Suo padre lo teneva in braccio e guardava la costa. Vedeva ancora le luci della città, la lanterna. Sentiva che piangeva. Lui guardava dalla parte opposta, verso il mare aperto è già vedeva la fiaccola della statua della Libertà. 

Un anziano signore cammina lungo i viali del cimitero monumentale di Staglieno. Lo precede muovendosi a passo d'uomo una lucente macchina americana guidata da un autista in livrea. L'uomo cammina e tiene un bastone in mano. E' molto elegante e nonostante il viso invecchiato e il fisico incurvato ha un incedere deciso e sicuro. Ogni tanto si ferma a guardare qualche tomba. Cerca di ricordare nomi, volti e storie, ma gli è molto difficile. Un groviglio di rovi, erbacce e piante rampicanti che coprono una cappella attira la sua attenzione. Si avvicina curioso e con il bastone scosta la vegetazione per scoprire la statua funebre di una bambina che anni di incuria hanno reso ormai un rudere scrostato. Ma il volto della bambina si vede ancora; sorride e tiene in mano, appoggiato alla gonna un burattino di legno tutto snodato in una buffa posizione. Legge solo una parte dell'epitaffio, quella rimasta: Molly Peregalli che strappata ai giochi...

mercoledì 6 marzo 2024

Non basta essere bravi

 Nel periodo in cui in Italia si sviluppava l'industria automobilistica, oltre a Fiat e Lancia, tra Torino e Milano, nascevano una miriade di piccole officine dedite alla costruzione di auto. Alcune arrivarono a sfornare alcune centinaia di esemplari l'anno, altre poche decine o unità. Si trattava di ottimi prodotti, ben costruiti, robusti e destinati a durare. L'Itala l'auto che vinse la Pechino Parigi del 1907 ben rappresenta questo tipo di produzioni. Purtroppo quasi tutte queste piccole aziende sopravvissero solo pochi anni dopo la crisi del '29. Sparirono quasi tutte. Nonostante la qualità del loro prodotto i modelli che venivano proposti al pubblico erano praticamente tutti uguali in quanto i progettisti riprendevano soluzioni tecniche già adottate dai concorrenti o al massimo, costruivano su licenza di affermati marchi italiani, francesi e tedeschi. Tutte queste piccole aziende non ebbero però possibilità di crescere e prosperare. Il motivo l'aveva ben compreso Vincenzo Lancia fondatore dell'omonima Casa che attraverso molteplici passaggi di mano è arrivata sino ad oggi. Agli inizi del secolo scorso l'automobile era un oggetto che suscitava intense emozioni. La possibilità di dominare la forza, di controllare la velocità e padroneggiare un mezzo che sviluppava potenze sino ad allora inaudite, colpiva l'immaginario collettivo. Chi poteva comprava, chi non aveva i mezzi guardava. Ma tutti, sia dalla parte di chi poteva e di chi no, erano affascinati dalla tecnica e dalla novità. Fare buone auto che duravano non bastava. Il pubblico voleva saggiare la novità, l'innovazione, il primato tecnologico. Vincenzo Lancia lo capì da subito e oltre a fare ottime automobili fu sempre impegnato nella ricerca del nuovo e nell'introduzione della novità tecnica e meccanica. La Lancia Lambda introdotta sul mercato nel 1923 e rimasta in produzione fino al 1931 presentava ben cinque innovazioni tecniche destinate a diventare uno standard in tutti i modelli successivi. Tra queste vi erano le sospensioni a ruote indipendenti, il baule integrato nella carrozzeria e, più importante di tutte, la scocca portante che eliminava la costruzione tradizionale che prevedeva l'abbinamento di telaio e carrozzeria. Il risultato fu quello di un'automobile con una linea molto filante grazie alla minore altezza dal suolo (il telaio comportava una maggiore altezza in quanto gli assali dovevano stare sotto il pianale) che fece impazzire tutto il mondo e che con il contributo delle innovative sospensioni permetteva stabilità e tenuta di strada impensabili fino ad allora. Ma il genio di Vincenzo non si fermava alla componente meccanica. Anche l'occhio voleva la sua parte. La collaborazione con importanti disegnatori contribuì alla creazione di modelli eleganti e all'avanguardia destinati a durare anche nel dopoguerra come l'Aprilia e la Aurelia, che venne concepita quando il fondatore della casa era ormai scomparso. Per l'Aurelia - splendida la versione spider disegnata da Pininfarina - era stato progettato dall'ingegner De Virgilio il primo motore a 6 cilindri a V stretto prodotto in serie. Un primato che ancora oggi inorgoglisce l'industria automobilistica italiana. Per quel poco che ne è rimasto.

giovedì 29 febbraio 2024

Bello Figo Gu

Si vuole che dall'Africa vengano tutti, ma proprio tutti in Italia perché li invita Mattarella che promette una casa a tutti, telefonini gratis, trentacinque euro al giorno da spendere come si crede. Se poi qualcuno volesse prendersi pure il disturbo di lavorare è benvenuto, ma dato che non è obbligatorio, perché ammazzarsi nelle fabbriche, nei cantieri, sulle strade quando hai diritto a tutto? Soprattutto quando sai che sono gli italiani che devono lavorare per mantenerti. Per non parlare dei favori che fa il PD e i suoi elettori buonisti; belle e comode case agli africani prima che agli italiani. E loro non pagano l'affitto. Perché? Oh bella, perché sono neri africani, soprattutto immigrati e tanto bisognosi di aiuto. E che dire dei servizi sanitari? Gli africani non devono fare la fila per le visite. Hanno la corsia preferenziale. Prima loro, poi gli italiani. Pare addirittura che abbiano avuto il vaccino anticovid prima degli italiani. Anche le donne gli vengono messe a disposizione. Donne bianche mica nere, come dovrebbe essere, ma chi sia che le mette a disposizione non ci è dato da capire. Poi mica devono rispettare le leggi e le regole. I neri africani hanno un salvacondotto per guidare senza patente, sfrecciare a centotrenta all'ora in città e trecento in autostrada, tanto mica li fermano. E se li fermano li lasciano subito andare, con tante scuse.  Loro sono neri africani. La multa la faranno al primo italiano che gli capiterà a tiro. Arrivati in Italia diventano subito tutti belli, ricchi e famosi. A spese nostre. Ma a noi sta bene così perché qualcuno (Mattarella, Renzi, Bersani, il Papa, ecc) è ben disposto nei loro confronti. A costo di sacrificare i diritti degli italiani. In fondo siamo tutti buonisti. Aiutiamoli a casa loro? E perché? Ci vadano gli italiani in Africa e poi vediamo che se qualcuno li aiuta. 

Non è così? Non ci potete credere? E' fantasia? No, no! Tutto vero. Parola di Bello Figo Gu, che queste cose le dice senza peli sulla lingua. Anzi ce lo dice cantando. Per facilitare la comprensione da parte di quelli che a queste cose non credano mica poi tanto (vedi Lega, Fratelli d'Italia e cospirazionisti della sostituzione etnica). Bello Figo vi dice le cose come stanno: siamo neri e possiamo fare quello che vogliamo. Alla faccia di voi italiani che ancora pensate di accoglierci e integrarci. Duro da credere, ma è così. Non era così difficile immaginarlo, ma ci è voluto un genio come Bello Figo per farcelo capire.

giovedì 22 febbraio 2024

Radio Nacional de Argentina

Erano appena scesi dai loro taxi in quella via trafficata di Buenos Aires, sotto la sede della Radio Nazionale Argentina. Un sabato pomeriggio dell'ottobre del 1952. Ogni componente della piccola orchestra di Juan d'Arienzo sembrava preso da altri pensieri. Era la musica che passava per le loro teste. Si salutavano stringendosi la mano senza guardarsi in faccia non per disinteresse, ma per la consuetudine di chi ha una frequentazione abituale. Per loro trovarsi in una milonga, un locale notturno o negli studi della Radio Nazionale Argentina era sempre la stessa cosa. Si spostarono tutti nei locali messi a loro disposizione e iniziarono a disporsi. Parlavano tra di loro senza enfasi. Discorsi di circostanza mentre accordavano gli strumenti. Poi la musica iniziò. Dal grosso microfono appeso al centro della stanza il segnale radio si svolse verso l'alto, fino alla cima dell'enorme antenna e da lì un fascio di elettroni iniziò a volare. Sopra le case della Boca dove la radio accesa nella casa rimasta vuota di Alfonso Perasso portava le note della Cumparsita. Per lui fu naturale guardare la foto di sua moglie morta pochi anni prima, prenderla in mano e scuotere la testa. Da Chiavari all'Argentina, il lavoro e i figli lontani, la vita dura, ma felice che aveva avuto con lei non tornerà più. Ma la musica lo portava ad altri pensieri. Appoggiò la foto sul tavolo vicino alle foto dei figli e ai ninnoli portati dall'Italia e si voltò per guardare fuori dalla finestra: l'immensa primavera australe si affacciava sulla città. Sul mare gli elettroni lanciati dall'antenna si incontrarono con l'antenna del mercantile Aqualonga. Il comandante e il resto dell'equipaggio erano intorno alla radio per cercare di captare qualche stazione che trasmettesse musica. Arrivò il segnale e portava le note della Cumparsita. Il comandante Hèlenio ascoltò. I suoi marinai lo guardarono preoccupati. Lui fece un gesto distratto, indifferente, ma uscì dalla sala di comando, si appoggiò alla battagliola dando le spalle all'equipaggio e guardò lontano a est, verso il mare aperto. Nessuno disse nulla. Non c'era niente da chiedere. Dietro il vetro i tecnici della radio controllavano la qualità e la potenza del segnale. Dentro la sala di audizione l'orchestra suonava. I due fisarmonicisti seguivano il pianoforte. Il maestro dirigeva con l'usuale compostezza. Sulla cordigliera in un piccolo rifugio dove si radunavano i gauchos in libera uscita, la musica accompagnava i movimenti di uomini induriti che ballavano tra di loro. Sguardi che non si incrociano mai, ma non è vergogna. E' la vita che ha fatto un callo a tutto. Enrique ascoltò per un po', ma poi uscì dalla porta. L'aria fredda lo colpì. Si volto verso la montagna che sovrastava il rifugio e iniziò a fissare la vetta. Ormai quella era la sua vita, ma non voleva che finisse lì in mezzo a quelle montagne. Vedeva ancora le strade larghe di Buenos Aires, i negozi e i locali, la gente per strada e la stazione della Radio da dove proveniva quella musica. Vedeva le teste calve dei violinisti che suonavano apparentemente senza trasporto. Sembrava che non badassero a quel microfono che pendeva sopra di loro che catturava un sogno che per lui e per molti altri non si sarebbe mai avverato. Camminava sul marciapiede con un passo lungo, che accentuava la sua flessuosità. Entrò nella più rinomata merceria di Buenos Aires e si guardò intorno. Ekzel, il piccolo armeno la vide, abbandonò con una scusa le due clienti che stava seguendo e si portò dietro il bancone per farsi notare, facendo capire a Lucen che era a sua completa disposizione. Ekzel la guardava. Era furiosamente innamorato di lei. Le fece vedere le calze. Il piccolo armeno prese una calza finissima e ci infilò la mano per farle apprezzare la trasparenza. Lucen tastò la calza con la sua mano. Il piccolo armeno la prese e attraverso la seta si sfiorarono. Lucen prese il pacchetto e come se volesse scappare, si diresse alla cassa. Ekzel non vedeva più le due donne che si lamentavano di essere state abbandonate. I maestri continuavano a suonare. In un locale da ballo semivuoto con la radio accesa, una coppia ballava il tango. Lui era bellissimo. Lei si notava anche per quelle gambe fasciate in calze di seta. L'antenna intanto continuava a trasmettere un fascio di elettroni.    

martedì 20 febbraio 2024

Signori della Corte

Signori della Corte, c'è il pericolo che questo processo finisca per essere inconsciamente e involontariamente un processo alle idee di Braibanti. Signori, vi ricordo che l'articolo 21 della nostra Costituzione consente a tutti i Cittadini la piena libertà di espressione e di comunicazione del proprio pensiero. Nel pensiero di Braibanti non vi è dunque nulla che possa essere condannato. In quest'aula, Signori, si è usata a pretesto l'omosessualità per dare l'immagine negativa dell'imputato, per cercare di giustificare emotivamente una condanna che giuridicamente non è motivabile. Signori, dovete decidere; o mettete fuori legge la capacità di influire sugli altri e allora dovete evitare alla gente di seguire un maestro, di innamorarsi, dovete evitare il cinema, la pubblicità, la televisione... Oppure ammettete come normale la possibilità di influenzare gli altri e non potete colpire questa capacità in Braibanti. Quest'uomo che viene descritto come ossessionato dal sesso è pervenuto a risultati più che dignitosi in tutte le attività di arte e di studio alle quali si è dedicato. Il momento più grave in cui il Paese si trovava durante la guerra civile ha preso la posizione che comportava rischi. Ha subito il carcere. Per tre giorni le SS lo hanno torturato per strappargli dei nomi che non ha fatto. Questa è la tempra morale di Braibanti...

Arringa difensiva dell'avvocato Giuseppe Sotgiu durante il processo ad Aldo Braibanti (1968) unica persona in Italia a venire condannata per il reato di plagio previsto da codice penale all'articolo 603 e abrogato dalla Corte Costituzionale nel 1981. 

lunedì 19 febbraio 2024

Là, dove crescevano gli ulivi...

La natura umana non cambia così rapidamente come le mode, gli orientamenti politici, le idee e il tipo di automobile che andremo a scegliere per i prossimi anni. La percezione della bellezza, l'amore per la pace e la tranquillità, l'ambizione di vivere in un posto bello, incontaminato che sappia solo donarci serenità e predisposizione verso la natura sono orientamenti naturali nell'uomo. In una piana dove crescevano innumerevoli ulivi, su una superfice sterminata che finiva in un mare di smeraldo, dove perdersi era caro a bestie e uomini qualcuno decise di costruire e di mettere in funzione una delle più micidiali invenzioni del progresso industriale: la fonderia. Quel qualcuno, terribilmente simile all'uomo, ha estirpato centinaia di migliaia di alberi, scavato buchi neri, canali di scolo per liquami fetenti, costruito enormi contenitori pieni di carbone e catrame, eretto enormi ciminiere con pennacchi perenni di fumi mortali. E il paese idilliaco è diventato un paesaggio di morte e desolazione.
A Taranto la morte inizia nel 1960 quando un politico pose la prima pietra per la costruzione di un insediamento che avrebbe dovuto fare invidia al mondo. L'invidia la suscitò certamente, ma da parte di chi avrebbe voluto vivere e lavorare da un'altra parte, non certo nel quartiere Tamburi dove sin dal 1965, l'anno in cui entro in funzione a pieno regine lo stabilimento, la gente cominciava a morire, anche se la malattia valeva sempre meno di un lavoro a stipendio fisso e garantito. 
Esplode dunque la micidiale bomba a duplice effetto che da una parte vorrebbe inibire l'iniziativa industriale che raccoglie consenso e il posto di lavoro che porta voti e dall'altra la vita intesa come vita biologica di donne, uomini e bambini che di questo lavoro ci moriranno per decenni. 
L'obiettivo era l'occupazione, il contenimento dell'emigrazione verso le fabbriche del Nord, lo sviluppo graduale per induzione dell'indotto che avrebbe fatto da volano per ulteriore occupazione. I risultati purtroppo sono sempre stati modesti e le conseguenze infauste: prima la privatizzazione, poi la cessione e l'acquisto da parte di gruppi stranieri, la contrazione della produzione, della manodopera, le malattie, le morti e le cause in tribunale. 
Non resta che qualche foto di come era la piana di Taranto prima dello scempio, o meglio, prima della  corsa alla morte. 

giovedì 8 febbraio 2024

Discussione archiviata

Sinner in inglese vuol dire peccatore, ma il nome è di origine tedesca e si pronuncia "zinner" con la S che assomiglia più ad una Z. Comunque il peccato al povero Jannik glielo abbiamo voluto attribuire a tutti i costi addossandogli la colpa di avere trasferito la residenza a Montecarlo, per evidenti motivi fiscali. Subito la questione è diventata di interesse generale e per giorni si è discusso se dovesse prevalere l'onere delle tasse al Paese natio oppure se fosse tollerato concorrere per il tricolore ma andare a beneficiare di tassazione agevolata sotto altre bandiere. Accusatori e conciliatori, come al solito. Stride però che la questione dell'elusione fiscale se non vera e propria evasione (ma non è certo il caso di Sinner) continui a tenere banco in Italia quando la memoria ci dovrebbe rammentare che per ben tre volte gli italiani hanno espresso il proprio consenso verso un personaggio che di evasione, elusione, giri di bonifici, trasferimenti all'estero, società all'estero e versamenti sospetti ad avvocati reticenti ne ha fatto una vera e propria arte. Consenso espresso dunque da una buona parte degli elettori che non ritenevano per niente sconveniente farsi governare da un siffatto personaggio. E' la democrazia bellezza e il voto è sacrosanto. Ma allora evitiamo di aprire questioni ormai archiviate negli armadi della coscienza nazionale.  

mercoledì 31 gennaio 2024

Il Cervello di Elon

Chissà se quel genio strampalato di Elon Musk avrà ricevuto qualche suggestione dai film di fantascienza americani degli anni '50 che, a differenza di quanto si sia portati a credere, non parlavano solo di marziani e di sbarchi di dischi volanti, ma affrontavano anche temi che oggi definiremmo "etici". E' il caso del cult movie "Il cervello di Donovan" uscito nel '53, ma ancora oggi in grado di fare riflettere in merito alle frontiere che la scienza deve o non deve oltrepassare. La storia è questa: il talentuoso dottor Patrick J.Cory per sfuggire alla monotona vita del medico condotto di provincia, si diletta in sfortunati tentativi di innesto di cervelli di scimmie in ambienti favorevoli ad una vita autonoma in vitro per studiare future applicazioni su appartenenti al genere umano. In queste imprese casalinghe è coadiuvato dalla moglie Janice (interpretata da Nancy Davis che poi diverrà Nancy Reagan first lady americana) e il loro amico Frank Schratt, un altro valoroso medico, ma minato dall'alcolismo che gli ha procurato numerosi guai e diffide. Capita che in un incidente aereo avvenuto poco lontano dall'abitazione/laboratorio rimanga gravemente ferito un milionario spregiudicato e avido, tale signor Donovan, il quale portato d'urgenza a casa del dottor Cory perisca sotto in ferri durante un disperato tentativo di salvarlo. Tutto finito? Per il povero malcapitato Donovan la vita corporale finisce davvero, ma non per il suo cervello, che prontamente e fraudolentemente innestato in vitro mantiene parametri vitali e una autonoma capacità di sentire, vedere e in un certo senso, di parlare. A farne le spese sarà proprio il geniale medico che influenzato dalla materia cerebrale di Donovan, sempre più attiva e pulsante, lo obbligherà a trasmutarsi in uno spregiudicato e insolente uomo d'affari, come era stato Donovan in vita, e portare avanti azzardate speculazioni finanziarie e clamorosi ricatti nei confronti di soci e uomini politici da lui blanditi in vita. Il tranquillo medico condotto di una città di provincia diventa, contro la sua volontà, una persona perfida, spregevole e avida arrivando a ripudiare la moglie devota e umiliare l'amico Franck, compagno di mille avventure. Fortunatamente un fulmine provvidenziale manda in fumo il laboratorio dove il cervello è conservato e il dottor Cory ritorna in se, pronto a ripagare per le sue malefatte. 

Il primo tentativo di innesto di un microchip in un cervello umano è stato ufficializzato da Musk in persona, ma non sappiamo molto su quali siamo i reali intendimenti dell'esperimento. C'è chi parla di finalità terapeutiche e riabilitative, ma anche di potenziamento delle facoltà intellettive. Oppure semplicemente per finalità ludiche. Al momento nessuna pubblicazione in merito all'argomento è apparsa sulle principali di divulgazione scientifica e medica e questo equivale ad un nulla di fatto. Poi non sappiamo nulla sul paziente che si è sottoposto volontariamente al trapianto. Potrebbe essere anche lui, Elon Musk. E chissà che cosa inventerà di nuovo stavolta, con la sua mente potenziata. Su chi vorrà influire o da chi si vorrà farsi influenzare? Non è dato a sapersi. Nel frattempo guardiamo i danni causati dal cervello di Donovan. 

   

La forza della reazione