mercoledì 6 marzo 2024

Non basta essere bravi

 Nel periodo in cui in Italia si sviluppava l'industria automobilistica, oltre a Fiat e Lancia, tra Torino e Milano, nascevano una miriade di piccole officine dedite alla costruzione di auto. Alcune arrivarono a sfornare alcune centinaia di esemplari l'anno, altre poche decine o unità. Si trattava di ottimi prodotti, ben costruiti, robusti e destinati a durare. L'Itala l'auto che vinse la Pechino Parigi del 1907 ben rappresenta questo tipo di produzioni. Purtroppo quasi tutte queste piccole aziende sopravvissero solo pochi anni dopo la crisi del '29. Sparirono quasi tutte. Nonostante la qualità del loro prodotto i modelli che venivano proposti al pubblico erano praticamente tutti uguali in quanto i progettisti riprendevano soluzioni tecniche già adottate dai concorrenti o al massimo, costruivano su licenza di affermati marchi italiani, francesi e tedeschi. Tutte queste piccole aziende non ebbero però possibilità di crescere e prosperare. Il motivo l'aveva ben compreso Vincenzo Lancia fondatore dell'omonima Casa che attraverso molteplici passaggi di mano è arrivata sino ad oggi. Agli inizi del secolo scorso l'automobile era un oggetto che suscitava intense emozioni. La possibilità di dominare la forza, di controllare la velocità e padroneggiare un mezzo che sviluppava potenze sino ad allora inaudite, colpiva l'immaginario collettivo. Chi poteva comprava, chi non aveva i mezzi guardava. Ma tutti, sia dalla parte di chi poteva e di chi no, erano affascinati dalla tecnica e dalla novità. Fare buone auto che duravano non bastava. Il pubblico voleva saggiare la novità, l'innovazione, il primato tecnologico. Vincenzo Lancia lo capì da subito e oltre a fare ottime automobili fu sempre impegnato nella ricerca del nuovo e nell'introduzione della novità tecnica e meccanica. La Lancia Lambda introdotta sul mercato nel 1923 e rimasta in produzione fino al 1931 presentava ben cinque innovazioni tecniche destinate a diventare uno standard in tutti i modelli successivi. Tra queste vi erano le sospensioni a ruote indipendenti, il baule integrato nella carrozzeria e, più importante di tutte, la scocca portante che eliminava la costruzione tradizionale che prevedeva l'abbinamento di telaio e carrozzeria. Il risultato fu quello di un'automobile con una linea molto filante grazie alla minore altezza dal suolo (il telaio comportava una maggiore altezza in quanto gli assali dovevano stare sotto il pianale) che fece impazzire tutto il mondo e che con il contributo delle innovative sospensioni permetteva stabilità e tenuta di strada impensabili fino ad allora. Ma il genio di Vincenzo non si fermava alla componente meccanica. Anche l'occhio voleva la sua parte. La collaborazione con importanti disegnatori contribuì alla creazione di modelli eleganti e all'avanguardia destinati a durare anche nel dopoguerra come l'Aprilia e la Aurelia, che venne concepita quando il fondatore della casa era ormai scomparso. Per l'Aurelia - splendida la versione spider disegnata da Pininfarina - era stato progettato dall'ingegner De Virgilio il primo motore a 6 cilindri a V stretto prodotto in serie. Un primato che ancora oggi inorgoglisce l'industria automobilistica italiana. Per quel poco che ne è rimasto.

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