sabato 26 novembre 2011

L'Italia dei (beni) comuni

Codacons  e Comitas (Coordinamento Microimprese per la Tutela e l'Assistenza) stanno cercando contributi per la redazione del manifesto del bene comune. Si cercano cittadini che abbiamo sviluppato una propria idea sulle "commonalities" e che abbiamo idee per mettere in pratica la propria sensibilità sul tema. E' possibile compilare on-line un questionario che raccoglie opinioni su aree particolarmente cruciali per la vita del nostro Paese. Perché è proprio per il bene dell'Italia che questa iniziativa è stata intrapresa. Non è antipolitica, ma la richiesta di fare uno sforzo che vada leggermente al di fuori della lagnanza da bar o da pausa caffè. Offrire delle idee, investire un'ora del proprio tempo per articolare idee e proposte su 13 temi distinti, per diventare azioni del bene comune.
Vi invito a partecipare.

Manifesto per gli azionisti del bene comune 

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giovedì 24 novembre 2011

Il futuro (già visto) dei trasporti

Immaginare scenari futuri è un bel gioco di fantasia. In ognuno di noi si nascondono doti di preveggenza che, correlatamente al nostro  livello di creatività e conoscenza, ci portano a fare previsioni su come potrebbero evolversi le cose in un futuro più o meno prossimo.
Giulio Verne ha narrato situazioni ed eventi che si sono puntualmente verificati a distanza di anni, compresa la condotta di vita alienata di un immaginario uomo dell’anno 2000, racconto che ben pochi hanno letto in quanto fu uno dei pochi manoscritti che il suo storico editore Hetzel non volle pubblicare poiché ritenuto non in linea con le aspettative dei lettori. Il futuro doveva essere solo benessere e felicità. Arthur Clarke, un altro visionario che ha puntato gli occhi verso gli abissi siderali immaginando trame che hanno fatto da sfondo a capolavori come il film “Odissea nello Spazio”, ha anche lui immaginato il verosimile sviluppo dei viaggi interstellari sbagliando, alla riprova dei fatti, la contestualizzazione temporale, benché avesse, rispetto a Verne, molti più elementi certi sui quali basare le proprie previsioni. Ma a differenza delle visioni immaginarie sul futuro dei nostri vicini antenati, non sarà più la “gaia scienza”, quel meraviglioso, impetuoso, inarrestabile angelo dello sviluppo scientifico e tecnologico che farà da promotore verso il progresso e il benessere dei popoli. Sarà, a mio vedere, il contrario. O meglio toccherà alla tecnologia “d’antan” somministrare la carica di energia per prefigurare scenari futuri. E ciò in ragione che lo sviluppo tecnologico dei tempi nostri non sembra portare a nulla di buono in determinati ambiti di applicazione. Uno di questi è senza dubbio il settore dei trasporti.
Lo sviluppo della motorizzazione di massa è stata fortemente alimentata dalla crescita di nuovi ritrovati tecnologici applicati alle automobili. Da alcuni anni la mancanza di applicazione di limiti alla proliferazione del tasso di auto pro-capite ha comportato situazioni di congestione particolarmente evidenti nel nostro Paese. Inoltre l’abiura che le case produttrici hanno universalmente professato nei confronti di motori a zero emissioni sta causando danni che potrebbero essere irreversibili nel giro di pochi anni. Come è possibile infatti che nessun produttore di auto abbia intrapreso strade diverse per sviluppare modelli spinti da motori elettici quando questa forma di alimentazione era già sufficientemente evoluta agli inizi del secolo scorso? Oggi ci si sta arrivando, ma non è forse un passo indietro?
Torniamo  a parlare di automobili. Il prezzo dei carburanti è destinato a salire nei prossimi anni: questo per due motivi principali: uno fisico dovuto all’esaurirsi delle riserve conosciute e alla sempre più scarsa propensione ad investire per ricercarne di nuove; il secondo è speculativo in quanto il petrolio verrà venduto a chi offrirà di più per averlo e in questo momento chi offre di più sono le economie emergenti di Asia e Sud America. Almeno Europa il destino dell’automobile è segnato, ma molti fanno finta di non saperlo.
Preoccupiamoci del dopo. Volenti o nolenti l’auto dovremo, se proprio non ce ne vorremo separare, dimenticarcela e fare ruotare le nostre modalità di trasporto in un modo totalmente diverso. Arrangianodoci o auspicando che i Governi abbiamo pensato in tempo. In più occasioni in questo blog ho sostenuto la centralità della bicicletta per la risoluzione dei problemi del traffico cittadino, soluzione che ancora stenta a farsi strada nei pensieri degli amministratori per incapacità di trovare soluzioni o forse per eccessive doti di preveggenza dato che una volta che tutti decideranno di rinunciare all’auto perché troppo dispendiosa, non ci sarà più bisogno di piste riservate. L’inettitudine degli amministratori nei confronti del problema del traffico può essere scavalcata attraverso il recupero delle antiche modalità di trasporto, apparentemente cancellate dalla frenetica galoppata dell’automobile. Per esempio i medi e piccoli centri urbani che in termini assoluti soffrono più delle metropoli i disagi della congestione del traffico hanno a disposizione un inestimabile tesoro da recuperare. Mi riferisco alle ferrovie dismesse o poco sfruttate che potrebbero tornare a funzionare come metropolitane leggere con corse in grado di raccogliere i pendolari di frazioni o comuni limitrofi che per venire in città non hanno alternative alle auto. Penso per esempio alla Asti-Chivasso, la Asti Casale e le linee che puntano verso la Liguria che vedono la frequentazioni di pochi treni al giorno quasi sempre desolatamente vuoti. Ebbene piccoli convogli navetta che percorrono le tratte periferiche della linea possono essere messe a disposizione degli abitanti per raggiungere il centro. Politiche di abbonamento e incentivi alla rinuncia al mezzo privato, promozione del car-sharing possono fare il miracolo e liberare le città dal delirio di un traffico ormai fuori controllo. Tenuto conto che nel corso della seconda metà del XIX secolo e nei primi due decenni del XX secolo furono moltissime le città italiane, sia a Nord che a Sud, che si dotarono di linee ferroviarie locali, la messa in pratica della soluzione che ho prospettato potrebbe trovare applicazione in molti aree urbane d’Italia.
La modalità di spostamento più consona alle città è muoversi a piedi. Se proprio vogliamo velocizzarci possiamo predisporre dei marciapiedi mobili (si, proprio come immaginava Giulio Verne) come d’altra parte troviamo negli aeroporto, dove, senza che ce se ne accorga e senza che nessuno si lamenti, si percorrono a piedi parecchie centinaia di metri ancorché spostandosi  con pesanti ed ingombranti carrellini al traino.
La bicicletta deve diventare il minimo comune denominatore delle politiche di spostamento in ambito regionale. Perché non dotare tutti i mezzi di trasporto collettivo come treni, autobus, metropolitane di idonei alloggiamenti che rendano facile ed immediato il trasporto della bicicletta al seguito? Le piste ciclabili, a vedere lungo, in buona parte esistono e sono i tragitti ferroviari, tramviari e metropolitani che ogni giorno portano migliaia di pendolari dalla periferia al centro.
La riduzione del traffico privato o comunque di automezzi spinti da carburanti fossili, aprirà anche la strada per una nuova visione del trasporto merci. Le autostrade saranno sempre più vuote e libere al punto che una sola corsia potrebbe bastare a smaltire le poche auto circolanti. Allora perché non usare le corsie ridondanti per impiantare un sistema a cremagliera abilitato al trasporto di container e altre merci? Mi immagino un sistema di piattaforme destinate ad ospitare le merci che girano ininterrottamente come il nastro trasportatore dei bagagli in aeroporto. Ovviamente tutto su scala maggiore. Un sistema informatico gestirà la destinazione e in prossimità dello svincolo d’uscita il container verrà sganciato e caricato su un veicolo elettrico che lo porterà a destinazione. Ovviamente nulla osterà che l’infrastruttura realizzata possa anche servire per il trasporto di persone, magari su brevi distanze e per spostamenti in ambito metropolitano, ingaggiando un regime di concorrenza con la linea ferrovia. Questa “ferro strada” sarà opera congiunta dell’ente proprietario delle strade, le grandi aziende di logistica e trasporto e le amministrazioni territoriali locali. Anche qui nulla di nuovo sotto il sole dato che si tratta di aggiornare il vecchio sistema della trazione a cremagliera inventato e collaudato più di 150 anni fa.
La ferrovia deve diventare il canale principale di flusso anche per le merci e non solo per le grandi necessità legate alla logistica industriale, ma anche per il fabbisogno di imprese locali, amministrazioni e privati. Gli scali merci che oggi sono in situazioni di degrado dovrebbero essere ripristinati e diventare i punti di smistamento per le consegne in ambito cittadino effettuate mediante veicoli leggeri a trazione elettrica. Questa soluzione permetterebbe l’eliminazione delle centinaia di camioncini che corrono forsennatamente nelle strade urbane delle nostre città per trasportare merci dal centro terminale locale, usualmente ubicato in periferia, verso l’utenza commerciale prevalentemente localizzata in centro. Abbiamo la fortuna di avere stazioni ferroviarie nel cuore delle città e non le usiamo.
Un enorme problema che dovremo sicuramente affrontare una volta raggiunto il momento di stop all’auto privata sarà lo smaltimento del parco automezzi che nessuno userà più. Adesso ci pensano i centri di riciclaggio che smontano, differenziano e rigenerano  i materiali dei mezzi arrivati allo stadio finale. Tenuto conto però che se nessuno vorrà più acquistare auto, logicamente nessuno sarà disposto a costruirle, il business del recupero dei rottami non sarà più conveniente e l’attività  di smaltimento risulterà oltremodo dispendiosa. Immagino che i Governi dovranno intervenire con politiche ad hoc e stanziamenti elevati per impedire una quasi certa catastrofe ecologica.
L’ultima previsione riguarda il traffico aereo dove, almeno per volare, non c’è stata un sovraffollamento di mezzi privati. È facile immaginare che il costo dei carburanti contribuirà ad un aumento dei prezzi dei passaggi e che le economie gestionali che in questi ultimi anni hanno dato origine al fenomeno dei voli low-cost non potranno fare più di tanto per calmierare il costo dei biglietti. L’alternativa più conveniente alla tratta di medio raggio tornerà ad essere il treno, tenuto anche conto che offrirà maggiori possibilità di intermodalità, ma è probabile che grazie al flusso migratorio degli ultimi anni che ha visto popolazioni di Paesi alquanto remoti come Africa sub-Sahariana, Africa equatoriale, Asia centrale ed Estremo Oriente le compagnie possano intravedere in questo nuovo target i potenziali fruitori e a tale proposito escogiteranno nuove strategie di marketing. Questo  ovviamente compatibilmente con le prospettive di benessere e sicurezza economica che offrirà il Paese ospitante.

venerdì 11 novembre 2011

Stay hungry, be a ciclist!

Se è vero che guardando ai fatti di ieri si possono prevedere gli accadimenti del domani, è plausibile immaginare che tra i campioni di ciclismo che trionferanno tra qualche anno ci sarà sicuramente un considerevole quoziente di italiani di nuova generazione: marocchini, indiani, cingalesi...
Nelle nostre strade invase da colonne immobili di automobili, chi si destreggia nel traffico con una certa disinvoltura sono ormai solo gli extracomunitari che vanno a lavorare in bicicletta, non potendosi permettere ancora altri mezzi di trasporto. E giorno per giorno accumulano chilometri nelle gambe, resistenza e capacità di adattamento al freddo al vento e alla pioggia. Un investimento che un giorno potrebbe dare dei frutti.
Nulla di diverso da quanto succedeva all’alba del secolo scorso e nel corso di buona parte dei decenni successivi che portarono alla ribalta campioni e campionissimi entrati ormai a fare parte della nostra storia e del nostro immaginario.
Chi si doveva spostare optava per la bicicletta e sicuramente non la usava per andare in centro città a fare shopping. Luigi Ganna, vincitore della prima edizione del Giro d’Italia corsa nel 1909 da Induno Olona alle porte di Varese dove viveva, andava a lavorare a Milano, percorrendo tutti i sacrosanti giorni più di cento chilometri. E non faceva certo un mestiere di tutto riposo, visto che era muratore.
Lo sforzo prolungato di garzoni di fornai, ambulanti, braccianti che si spostavano per lavorare nei campi ha animato una folta schiera di ardimentosi che si confrontarono con le tappe dei primi Giri d’Italia, veri e propri cimenti per super-uomini dato che la lunghezza delle tappe di allora erano sconsideratamente lunghe rispetto a quelle di oggi con percorrenze medie superiori ai trecento chilometri e punte di quattrocentotrenta chilometri. Praticamente delle prove di resistenza.
Chissà se i vari Mustafà, Ibrahim, Nanghitt, Amid sentiranno prima o poi la voglia di mettere a frutto il proprio allenamento iscrivendosi a qualche gruppo sportivo e iniziando a fare di necessità virtù?
Giannetto Cimurri, poco conosciuto oggi, ma assai popolare nel mondo del ciclismo degli anni ’50 e ’60 sosteneva, esprimendosi in dialetto modenese, che per diventare campioni  “ag vol d’la fam”. A modo suo un precursore nostrano del “stay hungry stay foolish” del troppo compianto Steve Jobs.
Alcuni spunti per questo post sono tratti da libro L’Italia del Giro d’Italia” di Daniele Marchesini, Edizioni il Mulino 1996 ISBN 88-15-05484-7

martedì 8 novembre 2011

Lettera a Giacomo

A Milano un ragazzino di dodici anni ha perso la vita investito da un tram. Stava tornando da catechismo, una semplice attività quotidiana che fanno tutti i nostri figli. Pedalava sulla sua bicicletta, in un viale semicentrale di Milano reso insidioso dai binari del tram che diventano micidiali quanto piove. E quel giorno pioveva. Scansava le macchine parcheggiate in divieto di sosta che quel giorno erano numerose come al solito. Per scantonare uno sportello aperto maldestramente ha perso l’equilibrio proprio nel momento in cui su quelle rotaie a cui faceva tanta attenzione, passava il tram arancione.
Caro Giacomo, la tua vita è finita in modo stupido e scellerato e io sono triste per la tua giovane esistenza che se ne va e per il dolore indescrivibile che vivranno i tuoi genitori, i tuoi amici, i tuoi insegnanti. Ma vorrei dirti qualche cosa di come sarebbe stata la tua vita di ciclista perché mi piace pensare che tu su quei pedali avresti trascorso ancora tanti anni. Mi aiuta a vederti ancora felice pensare al tuo desiderio di allargare l’orizzonte dei tuoi tragitti abitudinari e scoprire nuove strade, nuovi quartieri. Coscienzioso ed attento come dicono che sei sempre stato, con le mani ben salde sul manubrio della tua mountain-bike a guardare il mondo sempre più vicino. E poi più grande fare le gite con lo zaino e le borse sul portapacchi; il treno sul quale avresti caricato la bicicletta o forse no perché saresti stato forte e resistente e allora le trasferte te le saresti fatte tutte in sella pedalando. E poi, chissà, avresti girato qualche Paese che ha fatto della bici quasi una filosofia di vita e allora saresti tornato a casa con tante idee e tanti progetti per la tua città. O magari un campione, addirittura! Uno di quelli di un tempo e avremmo commentato una tua foto famosa dicendo che quello che passa la borraccia al grande rivale eri senza dubbio tu perché nella vita sei sempre stato generoso.
In ogni caso, sono quasi sicuro che saresti diventato un grande fanatico della bici anche perché avresti cominciato ad assaporare quel senso di superiorità che hanno tutti quelli che sono stati abituati da piccoli a muoversi sulla sella. Ti saresti mosso sicuro e veloce in mezzo al traffico passando in mezzo ai fiumi di macchine che, ne sono altrettanto sicuro, sarebbero state ancora troppe anche quanto saresti diventato grande perché il problema del traffico a Milano nessuno sarà stato in grado di risolverlo.
Anche se molti nuovi sindaci avranno fatto il loro bel giro in bicicletta a promettere tante piste ciclabili che puntualmente non si sarebbero mai costruite e nonostante le promesse che tragedie come la tua non si sarebbero mai più ripetute.
Ti scrivo questa lettera perché io tutte queste cose con la bicicletta le ho fatte e continuo a farle, ma solo perché sono quando io ero piccolo come te c’erano meno macchine che giravano; nella mia città non c’erano le rotaie del tram e i vigili erano severissimi con chi parcheggiava male la sua automobile. Allora i sindaci non promettevano le piste ciclabili perché le cose che i cittadini volevano erano altre, anche se oggi anche da me cominciano a costruirle.
Nella tua città quelli che prometteno le piste ciclabili e poi non le fa, non sono necessariamente persone cattive o negligenti, ma non sono come noi, caro Giacomo, appassionate delle bicicletta. Semplicemente perché se lo fossero capirebbero che non si possono fare circolare i ciclisti sulle strade dove passano i tram perché è pericoloso. E se non fanno le piste ciclabili per proteggere chi va in bici è solo perché questo rischio non lo avvertono, non lo capiscono.
Come non capiscono che le strade devono essere più sicure per chi va a piedi. Soprattutto i bambini come te che vanno a scuola e che troppo spesso vengono investiti sulle strisce da chi guida senza cervello. Ti faccio una domanda Giacomo: è ricco un Paese che non è in grado di proteggere i propri bambini? E’ possibile avere tutto e non avere una cosa così importante?
Per me il sindaco di Milano è una brava persona; penso che sia veramente dispiaciuto di quello che è successo e farà il possibile per aiutare tua mamma e tuo papà. Ma se fosse veramente un bravo sindaco, subito, il giorno dopo appena arrivato nel suo ufficio, sai cosa dovrebbe fare secondo me? Prendere tutte le scartoffie che ha sulla scrivania (anche quei progettoni importanti che costano tanti soldi) e con un braccio, come il tergicristallo della macchina, buttarle per terra e dire ai suoi collaboratori: voglio che da oggi si costruisca la più estesa rete di piste ciclabili di tutta l’Italia; anzi d’Europa. Ma che dico del Mondo. Su mettetevi al lavoro!
Cosa facciamo Giacomo, ci crediamo?

giovedì 3 novembre 2011

Blocchi neri e blocchi bianchi: il vuoto della stessa ideologia

Potrebbe sembrare un’esagerazione, ma vedere come faccio io, lo stesso vuoto di idee nel blocco di Ponte Milvio per prendere d’assalto il megastore e portarsi a casa il telefonino e la televisione a basso prezzo o nelle vetrine sfondate dai  black bloc alcuni giorni fa, non è poi così azzardato.
Non sto facendo raffronti di gravità sull’atto in sé, ovviamente. Assieparsi di fronte alle vetrine per conquistare un telefonino è criticabile, sfondarle è esecrabile. Ma interrogarsi sul vuoto che in tutti e due i casi ha guidato le scelte di chi ha causato gravi disagi alla normalità è più che legittimo.
Siamo d’accordo: gli extracomunitari in coda davanti alle vetrine di Trony (perché poi si trattava in grande maggioranza di queste persone) hanno disciplinatamente rispettato la coda, osservato le indicazioni del servizio d’ordine e, soprattutto pagato alla cassa anche se è pur vero che i veri artefici dei disagi sono state le autorità cittadine che non hanno saputo prevedere le conseguenze. I black bloc hanno distrutto, sfregiato la città, non hanno pagato il conto e i disagi subiti dai romani non sono stati solo momentanei, ma destinati a permanere per lungo tempo ancora.
I black bloc hanno cercato di annientare i simboli del mercato che li ha mantenuti ed allevati per anni, gli extracomunitari si sono annullati in lunghe soste all’addiaccio per conquistare generi latori del benessere che hanno sempre solo avvistato dalla sponda  più povera.
Un grande vuoto in entrambi i casi. Un vuoto che tuttavia blocca e mette in ginocchio le città. Non sarebbe giusto accusare gli uni o dare delle attenuanti agli altri. Ci sono sicuramente ragioni di fondo al comportamento dei ragazzi in casco e tuta nera, ragioni che sono oggetto delle ricerche degli opinionisti dei giornali di queste settimane o aspetti irrazionali nell’impeto consumistico di chi a stento raggiunge la fine del mese, ma rimane pur sempre vero che l’aspetto  più preoccupante è proprio che nessuno riesce a dare una ragione plausibile di fronte a questi atteggiamenti vacui ed autodistruttivi.

In ultimo un avvertimento per le forze di polizia, amministratori, investigatori e servizi segreti: colpire le ragioni della protesta quando queste sono palesate e i loro portatori identificabili è facile come dimostrano i fatti della stazione Tiburtina dove cariche di polizia stanno disperdendo  300 studenti minorenni che vogliono sfilare in un corteo non autorizzato. Più difficile, ma non impossibile è fermare i black block distruttivi che sono filtrati nella capitale senza che alcuna autorità preposta al controllo della sicurezza riuscisse ad intercettarli o i consumatori d’assalto che si erano assembrati già dalla sera prima di fronte all’ingresso del magazzino senza che nessuna pattuglia dei vigili urbani, carabinieri o polizia ne denunciasse l’anomala presenza.

La forza della reazione