Se è vero che guardando ai fatti di ieri si possono prevedere gli accadimenti del domani, è plausibile immaginare che tra i campioni di ciclismo che trionferanno tra qualche anno ci sarà sicuramente un considerevole quoziente di italiani di nuova generazione: marocchini, indiani, cingalesi...
Nelle nostre strade invase da colonne immobili di automobili, chi si destreggia nel traffico con una certa disinvoltura sono ormai solo gli extracomunitari che vanno a lavorare in bicicletta, non potendosi permettere ancora altri mezzi di trasporto. E giorno per giorno accumulano chilometri nelle gambe, resistenza e capacità di adattamento al freddo al vento e alla pioggia. Un investimento che un giorno potrebbe dare dei frutti.
Nulla di diverso da quanto succedeva all’alba del secolo scorso e nel corso di buona parte dei decenni successivi che portarono alla ribalta campioni e campionissimi entrati ormai a fare parte della nostra storia e del nostro immaginario.
Chi si doveva spostare optava per la bicicletta e sicuramente non la usava per andare in centro città a fare shopping. Luigi Ganna, vincitore della prima edizione del Giro d’Italia corsa nel 1909 da Induno Olona alle porte di Varese dove viveva, andava a lavorare a Milano, percorrendo tutti i sacrosanti giorni più di cento chilometri. E non faceva certo un mestiere di tutto riposo, visto che era muratore.
Lo sforzo prolungato di garzoni di fornai, ambulanti, braccianti che si spostavano per lavorare nei campi ha animato una folta schiera di ardimentosi che si confrontarono con le tappe dei primi Giri d’Italia, veri e propri cimenti per super-uomini dato che la lunghezza delle tappe di allora erano sconsideratamente lunghe rispetto a quelle di oggi con percorrenze medie superiori ai trecento chilometri e punte di quattrocentotrenta chilometri. Praticamente delle prove di resistenza.
Chissà se i vari Mustafà, Ibrahim, Nanghitt, Amid sentiranno prima o poi la voglia di mettere a frutto il proprio allenamento iscrivendosi a qualche gruppo sportivo e iniziando a fare di necessità virtù?
Giannetto Cimurri, poco conosciuto oggi, ma assai popolare nel mondo del ciclismo degli anni ’50 e ’60 sosteneva, esprimendosi in dialetto modenese, che per diventare campioni “ag vol d’la fam”. A modo suo un precursore nostrano del “stay hungry stay foolish” del troppo compianto Steve Jobs.
Alcuni spunti per questo post sono tratti da libro L’Italia del Giro d’Italia” di Daniele Marchesini, Edizioni il Mulino 1996 ISBN 88-15-05484-7
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