giovedì 21 marzo 2024

Le nostre tradizioni

Il vescovo di Asti, monsignor Marco Prastaro, ha scritto una lettera rivolta alla comunità dei fratelli e delle sorelle musulmane per augurare che il periodo del Ramadan coincida con un un periodo di rinnovamento interiore che possa generare opere di misericordia. La parole contenute nella lettera toccano molti punti che le due religioni hanno in comune, soprattutto un cammino verso pace e giustizia. 

Questa lettera è un'iniziativa che aveva cominciato il predecessore di monsignor Prastaro, monsignor Ravinale ed è sempre risultata molto gradita alla comunità dei musulmani della città. A fine Ramadan l'imam di Asti invita sempre il vescono alla festa rituale. 

Una bella iniziativa che sicuramente scalda i cuori di chi crede che una perfetta integrazione tra culture diverse sia possibile quando persone intelligenti e volenterose si mettono in gioco aprendo il proprio cuore verso lo straniero. La strada a volte è segnata; altre volte bisogna cercarla. Il vescono di Asti, ma anche il preside della scuola di Pioltello la strada l'hanno dovuta cercare. Probabilmente è quella che porterà ai frutti migliori, ma per molti non lo è. 

A quei pochi che credono che si tratti di sottomissione e sudditanza verso chi vuole stravolgere "le nostre tradizioni" rispondono ancora i tanti che credono che la prevalenza sia solo quella del rispetto.

P.S.: quando si sente il politico di turno tuonare contro lo straniero che vuole privarci delle "nostre tradizioni" riferendosi alle grandi celebrazion cristiane provo un certo imbarazzo. Le tradizioni sono il panettone, il pandoro, la colomba e l'uovo. Natale e Pasqua fanno parte delle religione. In mezzo c'è solo ignoranza e supponenza.

Uomini di buona volontà

 Il Papa che dice parole di pace è sicuramente un buon Papa accettato da tutti. Il Papa che tuona contro la guerra va ascoltato, ma a molti da un po' fastidio che si occupi di aspetti di geopolitica invece che di anime e dogmi. Se poi arriva a raccomandare ad uno dei contendenti di adoperarsi per la pace allora è un invito alla resa, un inchino alle prevaricazioni del più forte. Eppure chi è cristiano dovrebbe avere bene in mente che il mondo migliore è fatto dalle persone di buona volontà. Quante volte abbiamo sentito parlare di uomini di buona volonta? Il Vangelo ci svela tanti uomini di buona volontà: dal padre del figliol prodigo al ladrone che si pente in croce. Ecco chi sono gli uomini di buona volontà: semplicemente sono coloro che sanno tendere una mano aperta per dire: io sono qua e sono pronto a confrontarmi con te se anche tu sei disposto a farlo come me. Senza false intenzioni, senza pregiudizi. Non è facile. Eppure io sono sicuro che Papa Francesco intendeva proprio questo. L'Ucraina faccia un passo avanti e riconosca un terreno sul quale trattare lasciando perdere il passato e guardando solo al futuro. Perché gli ucraini, come anche tutti i popoli in guerra, la cosa che desiderano di più è il futuro. Il passato, in fondo, sarà presto solo un libro di storia. 

martedì 12 marzo 2024

Strappata ai giochi

 Il paese era molto piccolo e non si poteva considerare una rinomata località di villeggiatura estiva. Di quelle che le altolocate famiglie genovesi eleggevano come destinazione mondana per le vacanze. Era comunque in una bella posizione: aria e acqua buona, gente tranquilla molto affezionata e riguardosa nei contronti della famiglia Peregalli anche perchè la signora Letizia aveva parenti originari di lì. Puntuali come ogni anno arrivavano verso la fine di giugno per stabilirsi nella bella casa acquistata e di recente ristrutturata dall'ingegnere. La famiglia arrivava in carrozza seguita da tre o quattro carri con i bagagli, dei mobili nuovi, stovigliame, bottiglie di vino e regali quasi per tutti. La signora Peregalli, a scignua, come era chiamata cominciava a diramare ordini, indicazioni e raccomandazioni affinchè tutto venisse sistemato in fretta nella grande casa. Allora le vacanze potevano iniziare. Il giovane Giovanni Battista, per tutti Giobatta, guardava con curiosità quel movimento. Si ricordava che l'anno prima aveva conosciuto la figlia piccola della coppia, Emanuela, chiamata in casa Molly, una bambina molto delicata che veniva sorvegliata senza sosta dalle due bambinaie che si portavano dietro. La rivide. Pensò che doveva essersi sbagliato con un'altra persona. La figura che vide era diversa da quella bambina allegra e vivace che ricordava; pallida e magra. Solo gli occhi restituivano la vitalità che lui ricordava. Cercò subito di farsi avanti per salutarla, ma la sorveglianza delle governanti non gli permise di avvicinarsi. Allora la chiamò, ma lei fece finta di non averlo sentito continuando a giocare con i fratelli. La sera a tavola suo padre commentò l'arrivo della famiglia Peregalli senza particolare interesse a differenza degli altri anni quando l'insediamento della famiglia per le vacanze significava per lui un notevole incremento di lavoro. Augusto, infatti, buon carpentiere riusciva sempre a farsi commissionare qualche lavoro dall'ingegnere. Ma durante quell'estate per suo padre era diverso. Aspettava delle risposte da alcuni compaesani parttiti per gli Stati Uniti per fare fortuna. Aspettava che si aprisse una porta anche per lui. Ma la risposta tardava ad arrivare. Le occasioni per vedere Molly erano molto poche. Eppure l'anno prima era facile incontrarsi per strada, fare anche una corsa o un gioco tutti insieme. Quell'anno no. Dicevano che l'ingegnere era diventato un uomo d'affari molto importante a Genova e addirittura pareva che volesse entrare in politica. E allora la gente del paese sosteneva che come tutte le famiglie benestanti ci tenessero a mantenere le distanze. Giobatta non capiva molto di quei discorsi. Però Molly la guardava solo di sfuggita e lei continuava ad ignorarlo. Solo di domenica a messa riusciva almeno ad incrociare i suoi occhi; aspettava che lei gli passasse davanti per andare verso i banchi in prima fila per poi alzarsi di scatto fingendo di dovere andare a prendere qualche cosa fuori dalla chiesa. Notava che la governante interveniva subito per allontanare la bambina che si faceva docilmente trascinare. Una domenica in chiesa decise che doveva fare un passo avanti: alle fine della messa rimase seduto sulla panca, aspettò Molly che passava e le prese la mano. Lei la strinse debolmente, portandosela dietro per pochi passi, poi mollemente la lasciò andare. Era morbida, ma fredda. Camminava senza guardarlo, ma lui sapeva che erano vicini come non sarebbero stati mai più. La notizia arrivò pochi giorni dopo. Tutta la famiglia di Giobatta sarebbe andata in America. La partenza era molto vicina. Il carro che li avrebbe portati alla stazione e poi col treno a Genova era già pronto con i bagagli e con tutti quegli averi che è possibile portarsi dietro in un viaggio in nave così lungo. Sua madre piangeva. Suo padre era nervoso mentre controllava che tutto fosse assicurato al carro. Giobatta guardava le facce di tutti quelli che erano venuti per salutare e augurare buona fortuna. Vide anche Molly. Scese dal carro e corse vero quella bambina così indifferente. La guardò negli occhi e le diede il suo regalo, un burattino di legno fatto con semplici listelli di legno tenuti assieme da ganci di metallo per poterlo muovere e fargli assumere buffe posizioni. Era molto bello e lui ne era molto fiero. Glielo offrì e lei lo prese e lo guardò finalmente. Subito arrivarono la governante che liberò Molly da quella situazione imbarazzante strappandole dalle mani il gioco e suo padre che gli disse di tornare subito sul carro. 

Ormai la nave era lontana dalla costa. Suo padre lo teneva in braccio e guardava la costa. Vedeva ancora le luci della città, la lanterna. Sentiva che piangeva. Lui guardava dalla parte opposta, verso il mare aperto è già vedeva la fiaccola della statua della Libertà. 

Un anziano signore cammina lungo i viali del cimitero monumentale di Staglieno. Lo precede muovendosi a passo d'uomo una lucente macchina americana guidata da un autista in livrea. L'uomo cammina e tiene un bastone in mano. E' molto elegante e nonostante il viso invecchiato e il fisico incurvato ha un incedere deciso e sicuro. Ogni tanto si ferma a guardare qualche tomba. Cerca di ricordare nomi, volti e storie, ma gli è molto difficile. Un groviglio di rovi, erbacce e piante rampicanti che coprono una cappella attira la sua attenzione. Si avvicina curioso e con il bastone scosta la vegetazione per scoprire la statua funebre di una bambina che anni di incuria hanno reso ormai un rudere scrostato. Ma il volto della bambina si vede ancora; sorride e tiene in mano, appoggiato alla gonna un burattino di legno tutto snodato in una buffa posizione. Legge solo una parte dell'epitaffio, quella rimasta: Molly Peregalli che strappata ai giochi...

mercoledì 6 marzo 2024

Non basta essere bravi

 Nel periodo in cui in Italia si sviluppava l'industria automobilistica, oltre a Fiat e Lancia, tra Torino e Milano, nascevano una miriade di piccole officine dedite alla costruzione di auto. Alcune arrivarono a sfornare alcune centinaia di esemplari l'anno, altre poche decine o unità. Si trattava di ottimi prodotti, ben costruiti, robusti e destinati a durare. L'Itala l'auto che vinse la Pechino Parigi del 1907 ben rappresenta questo tipo di produzioni. Purtroppo quasi tutte queste piccole aziende sopravvissero solo pochi anni dopo la crisi del '29. Sparirono quasi tutte. Nonostante la qualità del loro prodotto i modelli che venivano proposti al pubblico erano praticamente tutti uguali in quanto i progettisti riprendevano soluzioni tecniche già adottate dai concorrenti o al massimo, costruivano su licenza di affermati marchi italiani, francesi e tedeschi. Tutte queste piccole aziende non ebbero però possibilità di crescere e prosperare. Il motivo l'aveva ben compreso Vincenzo Lancia fondatore dell'omonima Casa che attraverso molteplici passaggi di mano è arrivata sino ad oggi. Agli inizi del secolo scorso l'automobile era un oggetto che suscitava intense emozioni. La possibilità di dominare la forza, di controllare la velocità e padroneggiare un mezzo che sviluppava potenze sino ad allora inaudite, colpiva l'immaginario collettivo. Chi poteva comprava, chi non aveva i mezzi guardava. Ma tutti, sia dalla parte di chi poteva e di chi no, erano affascinati dalla tecnica e dalla novità. Fare buone auto che duravano non bastava. Il pubblico voleva saggiare la novità, l'innovazione, il primato tecnologico. Vincenzo Lancia lo capì da subito e oltre a fare ottime automobili fu sempre impegnato nella ricerca del nuovo e nell'introduzione della novità tecnica e meccanica. La Lancia Lambda introdotta sul mercato nel 1923 e rimasta in produzione fino al 1931 presentava ben cinque innovazioni tecniche destinate a diventare uno standard in tutti i modelli successivi. Tra queste vi erano le sospensioni a ruote indipendenti, il baule integrato nella carrozzeria e, più importante di tutte, la scocca portante che eliminava la costruzione tradizionale che prevedeva l'abbinamento di telaio e carrozzeria. Il risultato fu quello di un'automobile con una linea molto filante grazie alla minore altezza dal suolo (il telaio comportava una maggiore altezza in quanto gli assali dovevano stare sotto il pianale) che fece impazzire tutto il mondo e che con il contributo delle innovative sospensioni permetteva stabilità e tenuta di strada impensabili fino ad allora. Ma il genio di Vincenzo non si fermava alla componente meccanica. Anche l'occhio voleva la sua parte. La collaborazione con importanti disegnatori contribuì alla creazione di modelli eleganti e all'avanguardia destinati a durare anche nel dopoguerra come l'Aprilia e la Aurelia, che venne concepita quando il fondatore della casa era ormai scomparso. Per l'Aurelia - splendida la versione spider disegnata da Pininfarina - era stato progettato dall'ingegner De Virgilio il primo motore a 6 cilindri a V stretto prodotto in serie. Un primato che ancora oggi inorgoglisce l'industria automobilistica italiana. Per quel poco che ne è rimasto.

giovedì 29 febbraio 2024

Bello Figo Gu

Si vuole che dall'Africa vengano tutti, ma proprio tutti in Italia perché li invita Mattarella che promette una casa a tutti, telefonini gratis, trentacinque euro al giorno da spendere come si crede. Se poi qualcuno volesse prendersi pure il disturbo di lavorare è benvenuto, ma dato che non è obbligatorio, perché ammazzarsi nelle fabbriche, nei cantieri, sulle strade quando hai diritto a tutto? Soprattutto quando sai che sono gli italiani che devono lavorare per mantenerti. Per non parlare dei favori che fa il PD e i suoi elettori buonisti; belle e comode case agli africani prima che agli italiani. E loro non pagano l'affitto. Perché? Oh bella, perché sono neri africani, soprattutto immigrati e tanto bisognosi di aiuto. E che dire dei servizi sanitari? Gli africani non devono fare la fila per le visite. Hanno la corsia preferenziale. Prima loro, poi gli italiani. Pare addirittura che abbiano avuto il vaccino anticovid prima degli italiani. Anche le donne gli vengono messe a disposizione. Donne bianche mica nere, come dovrebbe essere, ma chi sia che le mette a disposizione non ci è dato da capire. Poi mica devono rispettare le leggi e le regole. I neri africani hanno un salvacondotto per guidare senza patente, sfrecciare a centotrenta all'ora in città e trecento in autostrada, tanto mica li fermano. E se li fermano li lasciano subito andare, con tante scuse.  Loro sono neri africani. La multa la faranno al primo italiano che gli capiterà a tiro. Arrivati in Italia diventano subito tutti belli, ricchi e famosi. A spese nostre. Ma a noi sta bene così perché qualcuno (Mattarella, Renzi, Bersani, il Papa, ecc) è ben disposto nei loro confronti. A costo di sacrificare i diritti degli italiani. In fondo siamo tutti buonisti. Aiutiamoli a casa loro? E perché? Ci vadano gli italiani in Africa e poi vediamo che se qualcuno li aiuta. 

Non è così? Non ci potete credere? E' fantasia? No, no! Tutto vero. Parola di Bello Figo Gu, che queste cose le dice senza peli sulla lingua. Anzi ce lo dice cantando. Per facilitare la comprensione da parte di quelli che a queste cose non credano mica poi tanto (vedi Lega, Fratelli d'Italia e cospirazionisti della sostituzione etnica). Bello Figo vi dice le cose come stanno: siamo neri e possiamo fare quello che vogliamo. Alla faccia di voi italiani che ancora pensate di accoglierci e integrarci. Duro da credere, ma è così. Non era così difficile immaginarlo, ma ci è voluto un genio come Bello Figo per farcelo capire.

giovedì 22 febbraio 2024

Radio Nacional de Argentina

Erano appena scesi dai loro taxi in quella via trafficata di Buenos Aires, sotto la sede della Radio Nazionale Argentina. Un sabato pomeriggio dell'ottobre del 1952. Ogni componente della piccola orchestra di Juan d'Arienzo sembrava preso da altri pensieri. Era la musica che passava per le loro teste. Si salutavano stringendosi la mano senza guardarsi in faccia non per disinteresse, ma per la consuetudine di chi ha una frequentazione abituale. Per loro trovarsi in una milonga, un locale notturno o negli studi della Radio Nazionale Argentina era sempre la stessa cosa. Si spostarono tutti nei locali messi a loro disposizione e iniziarono a disporsi. Parlavano tra di loro senza enfasi. Discorsi di circostanza mentre accordavano gli strumenti. Poi la musica iniziò. Dal grosso microfono appeso al centro della stanza il segnale radio si svolse verso l'alto, fino alla cima dell'enorme antenna e da lì un fascio di elettroni iniziò a volare. Sopra le case della Boca dove la radio accesa nella casa rimasta vuota di Alfonso Perasso portava le note della Cumparsita. Per lui fu naturale guardare la foto di sua moglie morta pochi anni prima, prenderla in mano e scuotere la testa. Da Chiavari all'Argentina, il lavoro e i figli lontani, la vita dura, ma felice che aveva avuto con lei non tornerà più. Ma la musica lo portava ad altri pensieri. Appoggiò la foto sul tavolo vicino alle foto dei figli e ai ninnoli portati dall'Italia e si voltò per guardare fuori dalla finestra: l'immensa primavera australe si affacciava sulla città. Sul mare gli elettroni lanciati dall'antenna si incontrarono con l'antenna del mercantile Aqualonga. Il comandante e il resto dell'equipaggio erano intorno alla radio per cercare di captare qualche stazione che trasmettesse musica. Arrivò il segnale e portava le note della Cumparsita. Il comandante Hèlenio ascoltò. I suoi marinai lo guardarono preoccupati. Lui fece un gesto distratto, indifferente, ma uscì dalla sala di comando, si appoggiò alla battagliola dando le spalle all'equipaggio e guardò lontano a est, verso il mare aperto. Nessuno disse nulla. Non c'era niente da chiedere. Dietro il vetro i tecnici della radio controllavano la qualità e la potenza del segnale. Dentro la sala di audizione l'orchestra suonava. I due fisarmonicisti seguivano il pianoforte. Il maestro dirigeva con l'usuale compostezza. Sulla cordigliera in un piccolo rifugio dove si radunavano i gauchos in libera uscita, la musica accompagnava i movimenti di uomini induriti che ballavano tra di loro. Sguardi che non si incrociano mai, ma non è vergogna. E' la vita che ha fatto un callo a tutto. Enrique ascoltò per un po', ma poi uscì dalla porta. L'aria fredda lo colpì. Si volto verso la montagna che sovrastava il rifugio e iniziò a fissare la vetta. Ormai quella era la sua vita, ma non voleva che finisse lì in mezzo a quelle montagne. Vedeva ancora le strade larghe di Buenos Aires, i negozi e i locali, la gente per strada e la stazione della Radio da dove proveniva quella musica. Vedeva le teste calve dei violinisti che suonavano apparentemente senza trasporto. Sembrava che non badassero a quel microfono che pendeva sopra di loro che catturava un sogno che per lui e per molti altri non si sarebbe mai avverato. Camminava sul marciapiede con un passo lungo, che accentuava la sua flessuosità. Entrò nella più rinomata merceria di Buenos Aires e si guardò intorno. Ekzel, il piccolo armeno la vide, abbandonò con una scusa le due clienti che stava seguendo e si portò dietro il bancone per farsi notare, facendo capire a Lucen che era a sua completa disposizione. Ekzel la guardava. Era furiosamente innamorato di lei. Le fece vedere le calze. Il piccolo armeno prese una calza finissima e ci infilò la mano per farle apprezzare la trasparenza. Lucen tastò la calza con la sua mano. Il piccolo armeno la prese e attraverso la seta si sfiorarono. Lucen prese il pacchetto e come se volesse scappare, si diresse alla cassa. Ekzel non vedeva più le due donne che si lamentavano di essere state abbandonate. I maestri continuavano a suonare. In un locale da ballo semivuoto con la radio accesa, una coppia ballava il tango. Lui era bellissimo. Lei si notava anche per quelle gambe fasciate in calze di seta. L'antenna intanto continuava a trasmettere un fascio di elettroni.    

martedì 20 febbraio 2024

Signori della Corte

Signori della Corte, c'è il pericolo che questo processo finisca per essere inconsciamente e involontariamente un processo alle idee di Braibanti. Signori, vi ricordo che l'articolo 21 della nostra Costituzione consente a tutti i Cittadini la piena libertà di espressione e di comunicazione del proprio pensiero. Nel pensiero di Braibanti non vi è dunque nulla che possa essere condannato. In quest'aula, Signori, si è usata a pretesto l'omosessualità per dare l'immagine negativa dell'imputato, per cercare di giustificare emotivamente una condanna che giuridicamente non è motivabile. Signori, dovete decidere; o mettete fuori legge la capacità di influire sugli altri e allora dovete evitare alla gente di seguire un maestro, di innamorarsi, dovete evitare il cinema, la pubblicità, la televisione... Oppure ammettete come normale la possibilità di influenzare gli altri e non potete colpire questa capacità in Braibanti. Quest'uomo che viene descritto come ossessionato dal sesso è pervenuto a risultati più che dignitosi in tutte le attività di arte e di studio alle quali si è dedicato. Il momento più grave in cui il Paese si trovava durante la guerra civile ha preso la posizione che comportava rischi. Ha subito il carcere. Per tre giorni le SS lo hanno torturato per strappargli dei nomi che non ha fatto. Questa è la tempra morale di Braibanti...

Arringa difensiva dell'avvocato Giuseppe Sotgiu durante il processo ad Aldo Braibanti (1968) unica persona in Italia a venire condannata per il reato di plagio previsto da codice penale all'articolo 603 e abrogato dalla Corte Costituzionale nel 1981. 

Le nostre tradizioni