sabato 22 marzo 2014

Improvvide dichiarazioni

Il signor Moretti, amministratore delegato di Trenitalia, deve avere pensato che se fosse stato zitto, adesso sarebbe meno esposto alle migliaia di critiche che gli stanno piovendo da tutte le parti. Critiche scontate, in alcuni casi ingenerose e offensive, ma pur sempre meritate. Non si dice che se qualcuno dovesse decidere di tagliargli lo stipendio, non gli resterebbe che andare all'estero, soprattutto dicendo che in Germania uno come lui lo pagherebbero tre volte tanto. In Germania, ma forse anche da altre parti, se ti pagano bene per fare andare i treni, i treni, guarda guarda, devono proprio andare bene, essere sicuri e offrire gli standard minimi di pulizia. A tutti, non solo a chi viaggia sull'alta velocità, ma anche ai dannati della bassa velocità, quella spina dorsale dell'economia italiana che si muove in treno per andare a lavorare. Al signor Moretti che vuole andare in Germania bisognerebbe dire che appena un pendolare tedesco s'incazza (ne basta uno, non una schiera che minaccia una class action) sarà lui quello tenuto a dovere rispondere delle inefficienze del sistema che governa. Non potrà certo fare spallucce, come pare faccia ogni tanto, scaricando le responsabilità su regioni e sottoposti vari. O sostenere che bisogna fare guadagnare l'azienda solo con quello che rende (vedi alta velocità) e che tutto il resto sono rami secchi. E soprattutto il signor Moretti, per quel che è pagato, che per poco possa sembrargli sono sempre novecento mila euro, dovrebbe comprendere che nella maggioranza dei casi, e soprattutto di questi tempi, certe cose le persone come lui non le dovrebbero dire. Forse il suo omologo tedesco lo pagano di più anche perché sarà più bravo di lui a mordersi la lingua. 

martedì 18 marzo 2014

Macro-regioni e trasporti micragnosi

E' probabile che l'ultima volta che il signor Governatore Maroni, presidente della regione Lombardia, nonché di quella particella settentrionale d'Italia destinata a macroregionalizzarsi, sia salito su un treno fosse in occasione di una qualche gita scolastica in visita alla Fiera di Milano nei bei tempi andati della sua giovinezza. Per chi ha vissuto quell'esperienza, andare in gita con i compagnetti e non vedere l'ora di defilarsi dalla vista dei professori per qualche ora era una bella prospettiva di divertimento e libertà.  Anche se i treni di allora risalivano a prima della guerra e nel tepore di Aprile - quello era il periodo della Fiera - salire su una di quelle carrozze significava entrare in una specie di fornace, alla fine in fondo, chissenefregava! Adesso però la fiera di Milano non esiste più e anzi, fra un po' tireranno pure giù tutto per fare qualche bel complesso residenziale. Ma si sa, i tempi cambiamo e il mondo va avanti. Soprattutto se a spingerlo in avanti ci sono uomini politici lungimiranti come lei, signor Governatore. Se però, signor Governatore Maroni,  le saltasse in mente di tornare ai bei tempi andati e riassaporare il gusto della scorribande dei tempi le consiglierei di farsi una bella gitarella prendendo il treno in una delle tante stazioncine poste lungo le linee ferroviarie della Regione che amministra con tanto zelo (lo sapeva, vero, che ci sono anche i treni in Lombardia? o se lo era dimenticato?) Dovrebbe salire, per esempio a Busto Arsizio e scendere a Varese, che mi dicono essere anche la sua città, e dovrebbe, per cortesia farsi accompagnare da un amico o un parente con qualche problema a camminare (nulla di serio, per la carità, semplicemente senza più lo scatto e l'agilità di una volta) perché possa capire che per farsi male, questa volta seriamente, basta scendere dal treno visto che tra la carrozza e il marciapiede, chissà come mai, ci sono circa cinquanta centimetri di salto. Una volta c'era l'Orient Express con la pedana e i facchini per aiutare a fare scendere i viaggiatori facoltosi. Ma oggi non ci sono ammomenti neppure i controllori. Potrebbe, per cortesia ripristinare questa antica usanza, almeno per le persone più bisognose perché non sempre si trovano anime caritatevoli che si prodighino per aiutare. Se proprio vuole inviti anche una sua conoscente con una carrozzella da spingere (i bambini nonostante tutto nascono ancora e qualche genitore scriteriato li fa viaggiare in treno) così potrà scoprire quanto sia facile per una signora con prole a seguito riuscire a scendere e risalire due rampe di scale, oltre ad affrontare il simpatico saltino a cui si è già accennato. Eppure dicono che con gli ascensori questo sia un problema ovviabile. Ha presente? E' debole di vescica? Ahi, ahi questo è un problema, signor Maroni, dove può andare un Governatore per la minzione? Al gabinetto. Ma se il gabinetto non c'è bisogna andare al bar della stazione, pagare il caffè al barista cinese, farsi dare le chiavi, pisciare restituire le chiavi e pagare il caffè. Un governatore della lega nord che paga il caffè al cinese? Anche questo non va tanto bene. Meglio farla sui cespugli o contro i muretti come la moltitudine di balordi che affollano gli atrii e le sale d'aspetto abbandonate delle stazioni. Perché nonostante tutto, alla gente in stazione piace venire. Magari anche a dormire. A chi non piace tanto frequentare la stazione sono i pendolari per prendere il treno. Davvero ne farebbero a meno. Davvero non ha mai viaggiato in treno?. Ma venga signor Governatore Maroni, anzi venghi, venghi, sior Maroni, un'esperienza così le aprirà gli occhi. Si spera, beninteso, che lei gli occhi non li apra come il suo omologo della macroregionalizzanda regione Piemonte che avendo scoperto che i treni per spostarsi (e spostare persone) costano qualche soldino, non riuscendo proprio a capire come potesse esistere gente che usa ancora il treno, ha deciso bene di eliminarli tutti. Ma proprio tutti. Tabula rasa. Preferisce forse muoversi con il pullman? Ma si forse è meno plebeo del treno. Un gradino in su. Autopullman si dice, fa molto gruppo leghista di Lecco in trasferta al giuramento di Pontida (bei tempi, quelli). Allora le dico io cosa vuol dire andare da Varese a Busto Arsizio (che farà anche ridere come toponomastica, ma è comunque la seconda città della provincia): un'ora e mezza di bus e due cambi, se va bene. Se no due ore e mezza e tre cambi. Per fare 22 chilometri. Ha qualche problema con la lentezza dei trasporti del sud, Governatore Maroni? Marino, la linea di trasporti che collega l'industriosa Lombardia con la Puglia in due ore e mezza ha già raggiunto Bologna, E dopo poche ore fa già sentire odore di orecchiette ai suoi passeggeri. Dimenticavo: sempre ammesso che riesca a fare il biglietto giusto presso la rivendita giusta al prezzo giusto e nell'orario giusto. Giusto?
Governatore, io capisco che lei è oltremodo impegnato in epiche e gloriose battaglie per la terza pista, il quarto passante e il quinto valico, ma a me basterebbe il primo gabinetto a Busto Arsizio, anche con la turca che pare essere più igienico, nonostante la provenienza extracomunitaria. Capisco che il potere leghista è sempre pervaso dal fuoco sacro di andare a scovare le ruberie e gli sprechi della razza ladrona, e che una schiera di animosi Audi-zzati, BMW-izzati e Mercedes-izzati si scapicolla alla ricerca del guadagno serio, onesto e meritato da blindare al sicuro dal prelievo fiscale. Governatore Maroni, ora che si avvera il sogno dell'Expo del 2015, per il quale ha tanto lottato e sfidato i poteri forti che le avrebbero volentieri sabotato l'evento, perché non si fa veramente un giretto in treno. Glielo chiedo perché sembrerebbe che sui treni quelli che devono valutare e poi decidere non ci salgano mai, ma proprio mai. Pare che per evitarsi il disturbo preferiscano costruire una nuova strada, con tante gallerie, ponti e tonnellate di terra da spostare. Oppure per togliersi il problema le sopprimono.

giovedì 13 marzo 2014

Il mondo che riparte con Jérôme

Scrivere una lettera al Papa per farsi ricevere. Incontrarlo e poi decidere di tornare a casa a piedi. Millequattrocento chilometri prima di raggiungere la sua città, Parigi, che poco prima lo aveva visto furoreggiare per il suo spregiudicato agire di spregiudicato trader al servizio di un importante istituto di credito. Che si arricchiva come lui e tanti altri che a fine anno incassavano bonus milionari. Per avere fatto cosa? Quello che andava fatto con il beneplacito di tutti: mettere in atto manovre rischiose per garantire enormi guadagni in poco tempo. Ma una volta che da sani strumenti di arricchimento i future sono diventati la massima espressione di una finanza malata, tutti sono diventati nemici di tutti. E benché ricco, benestante e famoso, anche lui, Jérôme Kerviel è passato dalla parte dei deboli, dalla parte di quelli che il potere della finanza lo possono solo subire. Condannato, deve ora pagare cinque miliardi di euro a Société Gènerale che ovviamente nega candidamente ogni coinvolgimento nelle peripezie del giovanotto rampante. Oggi Jérôme ha in mente altri guadagni: sono i trenta chilometri al giorno che deve percorrere perché vuole tornare a casa. E quando pensa ai soldi pensa solo a risparmiarne il più possibile per potere riuscire a mantenersi con i pochi spiccioli che gli sono rimasti. Ma è sereno, non felice intendiamoci. Ha scoperto cose che per lui non avevano mai avuto valore: una borraccia da riempire lungo il cammino, lo zaino rosso che si porta sulle spalle, i vestiti asciutti dopo un giorno sotto la pioggia, le parole dal Papa che ha voluto parlargli e incoraggiarlo. Forse felice lo sarà dopo che arriverà a Parigi dopo millequattrocento chilometri di via Francigena perché avrà scoperto che si possono fare cose meravigliose anche con molto poco. Sarà felice perché avrà scoperto che è vero che una carriera che finisce non fa finire un uomo, ma è solo l'inizio di una nuova esperienza e che senza quella fine non ci sarebbe stato un nuovo inizio. Sarà felice perché, anche nella disperazione, ha pensato che è di conforto sapere che c'è una strada nuova da percorrere, anche a piedi.  E nella sua felicità si chiederà anche perché il suo vecchio mondo, quello che lo ha usato come un zerbino, non finisca mai. Ma non saranno più problemi suoi.
  

mercoledì 12 marzo 2014

Budapest 2014

Il senso della storia può essere compreso in vari modi. Uno è sicuramente quello di leggere un libro che
racconta fatti di ieri e alzare gli occhi per accorgersi che gli stessi fatti stanno accadendo nello stesso momento da un’altra parte. Leggere per puro caso un accuratissimo resoconto dei fatti di Budapest nell'autunno del 1956 mentre televisioni e giornali propongono in diretta le immagini in diretta delle recenti sommosse di Kiev è sicuramente una di quelle coincidenze che aiutano a capire molte cose. Una su tutte che la Storia bisogna studiarla e non farsela cadere addosso. Eppure sembra che a molti gli insegnamenti di quello che è successo nel passato prossimo non siano serviti a evitare epiloghi drammatici. L’Ungheria del 1956 è un Paese dove l’oppressione sovietica era particolarmente crudele e malvagia. In quanto alleata della Germania nazista aveva dichiarato guerra all'Unione Sovietica insieme alle altre forze dell’Asse, inclusa l’Italia. Ovviamente alla resa dei conti questo fatto avrebbe pesato in modo considerevole e le purghe di stampo staliniano non sarebbero mancate. Il gruppo dirigente del Paese, cresciuto e alimentato nel tetro Hotel Lux di Mosca, adottava in modo pedissequo gli strumenti di programmazione economica sovietici con risultati ancora peggiori della stessa nazione guida. In ultimo il saccheggio sistematico delle miniere di uranio ungheresi a condizioni capestro che non garantivano il minimo beneficio economico per le casse del Paese. Odio, inefficienza della classe politica, sistemi di giustizia sommari, povertà e mancanza di prospettive portarono la popolazione a ribellarsi, contribuendo, a prezzi altissimi, a scrivere le pagine di quella eroica sconfitta che pesò per molti anni sulle coscienze dei Paesi occidentali. L’Ucraina di oggi, è per molti versi simile: le nuove prospettive che un’apertura verso l’Europa avrebbe dato ai cittadini vengono tarpate da un’azione di repressione violenta, senza mediazioni e senza vie di scampo. La rivolta di Budapest costò la vita a quasi tremilacinquecento persone tra soldati sovietici male armati, affamati e demotivati, partigiani e membri dell’esercito regolare passati dalla parte dei rivoltosi e civili tra i quali tantissimi ragazzi in età giovanissima. Come in tutte le rivoluzioni anche Budapest ebbe i suoi eroi tra i quali la leggendaria figura di Imre Nagy capo del Governo di transizione che sconfessò il patto di Varsavia e Pal Maleter, il generale che per primo vide nei germogli della ribellione del suo popolo le speranze di un mondo nuovo. Entrambi pagarono con la vita la loro scelta di fondo: il primo impiccato un anno dopo a seguito di un processo farsa, il secondo attirato in una roccaforte sovietica e lì trattenuto e poi giustiziato. I giorni di Budapest pesarono come macigni nelle coscienze dell’occidente; in Europa la fede di comunisti intelligenti e sensibili cominciarono a disallinearsi con casi clamorosi di fuoriuscita di intellettuali famosi ed influenti. Sugli Stati Uniti pesò per lungo tempo l’imbarazzo di avere voluto mettere mano alle polveri – anche grazie ai focosi messaggi trasmessi da Radio Free Europe – ma di non avere altrettanto voluto mettere a disposizione il braccio nel momento in cui questo era l’ultimo appiglio prima del massacro. Oggi la storia si ripete. Anche se non ci saranno tante coscienze da scuotere e governanti  con il senso di colpa.

Victor SEBESTYEN (2006), Budapest 1956 - La prima volta contro l'impero Sovietico, Rizzoli - ISBN 88-1704042-1

La forza della reazione