Il senso della storia può essere
compreso in vari modi. Uno è sicuramente quello di leggere un libro che
racconta fatti di ieri e alzare gli occhi per accorgersi che gli stessi fatti stanno accadendo nello stesso momento da un’altra parte. Leggere per puro caso un accuratissimo resoconto dei fatti di Budapest nell'autunno del 1956 mentre televisioni e giornali propongono in diretta le immagini in diretta delle recenti sommosse di Kiev è sicuramente una di quelle coincidenze che aiutano a capire molte cose. Una su tutte che la Storia bisogna studiarla e non farsela cadere addosso. Eppure sembra che a molti gli insegnamenti di quello che è successo nel passato prossimo non siano serviti a evitare epiloghi drammatici. L’Ungheria del 1956 è un Paese dove l’oppressione sovietica era particolarmente crudele e malvagia. In quanto alleata della Germania nazista aveva dichiarato guerra all'Unione Sovietica insieme alle altre forze dell’Asse, inclusa l’Italia. Ovviamente alla resa dei conti questo fatto avrebbe pesato in modo considerevole e le purghe di stampo staliniano non sarebbero mancate. Il gruppo dirigente del Paese, cresciuto e alimentato nel tetro Hotel Lux di Mosca, adottava in modo pedissequo gli strumenti di programmazione economica sovietici con risultati ancora peggiori della stessa nazione guida. In ultimo il saccheggio sistematico delle miniere di uranio ungheresi a condizioni capestro che non garantivano il minimo beneficio economico per le casse del Paese. Odio, inefficienza della classe politica, sistemi di giustizia sommari, povertà e mancanza di prospettive portarono la popolazione a ribellarsi, contribuendo, a prezzi altissimi, a scrivere le pagine di quella eroica sconfitta che pesò per molti anni sulle coscienze dei Paesi occidentali. L’Ucraina di oggi, è per molti versi simile: le nuove prospettive che un’apertura verso l’Europa avrebbe dato ai cittadini vengono tarpate da un’azione di repressione violenta, senza mediazioni e senza vie di scampo. La rivolta di Budapest costò la vita a quasi tremilacinquecento persone tra soldati sovietici male armati, affamati e demotivati, partigiani e membri dell’esercito regolare passati dalla parte dei rivoltosi e civili tra i quali tantissimi ragazzi in età giovanissima. Come in tutte le rivoluzioni anche Budapest ebbe i suoi eroi tra i quali la leggendaria figura di Imre Nagy capo del Governo di transizione che sconfessò il patto di Varsavia e Pal Maleter, il generale che per primo vide nei germogli della ribellione del suo popolo le speranze di un mondo nuovo. Entrambi pagarono con la vita la loro scelta di fondo: il primo impiccato un anno dopo a seguito di un processo farsa, il secondo attirato in una roccaforte sovietica e lì trattenuto e poi giustiziato. I giorni di Budapest pesarono come macigni nelle coscienze dell’occidente; in Europa la fede di comunisti intelligenti e sensibili cominciarono a disallinearsi con casi clamorosi di fuoriuscita di intellettuali famosi ed influenti. Sugli Stati Uniti pesò per lungo tempo l’imbarazzo di avere voluto mettere mano alle polveri – anche grazie ai focosi messaggi trasmessi da Radio Free Europe – ma di non avere altrettanto voluto mettere a disposizione il braccio nel momento in cui questo era l’ultimo appiglio prima del massacro. Oggi la storia si ripete. Anche se non ci saranno tante coscienze da scuotere e governanti con il senso di colpa.
Victor SEBESTYEN (2006), Budapest 1956 - La prima volta contro l'impero Sovietico, Rizzoli - ISBN 88-1704042-1
racconta fatti di ieri e alzare gli occhi per accorgersi che gli stessi fatti stanno accadendo nello stesso momento da un’altra parte. Leggere per puro caso un accuratissimo resoconto dei fatti di Budapest nell'autunno del 1956 mentre televisioni e giornali propongono in diretta le immagini in diretta delle recenti sommosse di Kiev è sicuramente una di quelle coincidenze che aiutano a capire molte cose. Una su tutte che la Storia bisogna studiarla e non farsela cadere addosso. Eppure sembra che a molti gli insegnamenti di quello che è successo nel passato prossimo non siano serviti a evitare epiloghi drammatici. L’Ungheria del 1956 è un Paese dove l’oppressione sovietica era particolarmente crudele e malvagia. In quanto alleata della Germania nazista aveva dichiarato guerra all'Unione Sovietica insieme alle altre forze dell’Asse, inclusa l’Italia. Ovviamente alla resa dei conti questo fatto avrebbe pesato in modo considerevole e le purghe di stampo staliniano non sarebbero mancate. Il gruppo dirigente del Paese, cresciuto e alimentato nel tetro Hotel Lux di Mosca, adottava in modo pedissequo gli strumenti di programmazione economica sovietici con risultati ancora peggiori della stessa nazione guida. In ultimo il saccheggio sistematico delle miniere di uranio ungheresi a condizioni capestro che non garantivano il minimo beneficio economico per le casse del Paese. Odio, inefficienza della classe politica, sistemi di giustizia sommari, povertà e mancanza di prospettive portarono la popolazione a ribellarsi, contribuendo, a prezzi altissimi, a scrivere le pagine di quella eroica sconfitta che pesò per molti anni sulle coscienze dei Paesi occidentali. L’Ucraina di oggi, è per molti versi simile: le nuove prospettive che un’apertura verso l’Europa avrebbe dato ai cittadini vengono tarpate da un’azione di repressione violenta, senza mediazioni e senza vie di scampo. La rivolta di Budapest costò la vita a quasi tremilacinquecento persone tra soldati sovietici male armati, affamati e demotivati, partigiani e membri dell’esercito regolare passati dalla parte dei rivoltosi e civili tra i quali tantissimi ragazzi in età giovanissima. Come in tutte le rivoluzioni anche Budapest ebbe i suoi eroi tra i quali la leggendaria figura di Imre Nagy capo del Governo di transizione che sconfessò il patto di Varsavia e Pal Maleter, il generale che per primo vide nei germogli della ribellione del suo popolo le speranze di un mondo nuovo. Entrambi pagarono con la vita la loro scelta di fondo: il primo impiccato un anno dopo a seguito di un processo farsa, il secondo attirato in una roccaforte sovietica e lì trattenuto e poi giustiziato. I giorni di Budapest pesarono come macigni nelle coscienze dell’occidente; in Europa la fede di comunisti intelligenti e sensibili cominciarono a disallinearsi con casi clamorosi di fuoriuscita di intellettuali famosi ed influenti. Sugli Stati Uniti pesò per lungo tempo l’imbarazzo di avere voluto mettere mano alle polveri – anche grazie ai focosi messaggi trasmessi da Radio Free Europe – ma di non avere altrettanto voluto mettere a disposizione il braccio nel momento in cui questo era l’ultimo appiglio prima del massacro. Oggi la storia si ripete. Anche se non ci saranno tante coscienze da scuotere e governanti con il senso di colpa.
Victor SEBESTYEN (2006), Budapest 1956 - La prima volta contro l'impero Sovietico, Rizzoli - ISBN 88-1704042-1
Nessun commento:
Posta un commento