martedì 27 agosto 2013

Il mare di plastica

In questa estate di scontrini da capogiro, nelle località di vacanza frequentate da qualche vip e tanti  “sip”, self important person, ovvero persone che si “auto” definiscono vip, l’ostentazione rimane uno dei must del divertimento privilegiato. Divulgare sulla rete scontrini che reclamano cifre da capogiro giustificate solo dal contesto in cui vengono emessi è, in fondo una inconscia dimostrazione di potere anche perché chi si tiene ben stretto il portafoglio sta ben attento a non posare le chiappe su divanetti posizionati a portata di udito o di vista mozzafiato. A tutto c’è un prezzo. Il problema è che a chi decide il prezzo nessun può o vuole dire niente. Pertanto, nel dubbio, meglio stare alla larga.
L’altra ostentazione estiva, quella che sbalordisce i plebei avviene nei porticcioli delle località turistiche di mare dove galleggiano barconi di tenore hollywoodiano sui quali pendono bandiere di piccole isole britanniche che hanno attualmente problemi a ospitare nei loro porticcioli qualche barca a vela, una piccola flotta di pescherecci di granchi e il traghetto che le collega all’Isola Madre.
Ma è l’ostentazione di tanta potenza che stride con la cultura del mare e che risulta, in ultima analisi, una grande dimostrazione di ignoranza.
Il mare è una riserva di energia enorme e l’uomo ha impiegato millenni per sfruttarne le potenzialità affinando le regole della navigazione per renderla sempre più sicura e affidabile. Il buon senso e la capacità di conoscere il mare e i suoi molteplici aspetti ha portato l’uomo a sviluppare una strategia minimalista per potere essere sempre in grado di affrontare le situazioni più proibitive. Le canoe leggere e flessibili hanno permesso la colonizzazione delle isole del Pacifico. Migliaia di miglia in mare aperto affrontate con fragili imbarcazioni in grado però di reggere il mare più tempestosi del mondo. Piccoli approdi dislocati lungo la costa per permettere ancoraggi a ridosso di venti e mari pericolosi per la navigazione. Cabine piccole e raccolte per ottimizzare lo spazio con cuccette anguste che però permettevano di evitare di venire sballottati dalle onde. Vele piccole, frazionate e riducibili per evitare di farsele strappare dalla forza dal vento, e potere, allo stesso tempo avanzare. Le navi che donarono gloria all'impero Britannico non erano più lunghe di un modesto vaporetto in servizio sul Canale Grande. L’ammiraglia che ospitava Sir Francis Drake non raggiungeva la lunghezza di peschereccio.
Il gigantismo sul mare è un’invenzione dei tempi moderni e vari incidenti di percorso non hanno arrestato questa tendenza contro natura. 
L’ostentazione griffata del plutocrate ha intrapreso la strada della lunghezza smisurata per ospitare a bordo altrettanti simboli pacchiani e oltraggiosi della cultura del mare: suite a tema, tavoli da consiglio di amministrazione con ridicoli orpelli cittadini, palestre e altri dispositivi per consumare energie in eccesso. E poi, il mondo è diventato più grande grazie ai vantaggi della navigazione a vela, milioni di persone hanno lasciato il proprio Paese per raggiungere altri continenti e fino a qualche decennio fa navi a vela erano adibite al trasporto di merci su tratte di piccolo e medio cabotaggio. L'ostentazione impone la barca a motore. Un'altra insensata dimostrazione di dispendio oltraggioso se si pensa che queste barche hanno motori dalla forza mostruosa e vengono usare solo per qualche giorno all'anno. Eppure basterebbe pensare alle gite informali in barca a vela a Cape Cod della famiglia Kennedy per farsi un'idea di ineguagliato potere e prestigio. 
In mare tutto è funzionale a due cose: sfruttare la sua energia per navigare e sopravvivere alle dimostrazioni estreme di questa. Tutto lo sfarzo che si vede a bordo di queste rappresentazioni di kitsch galleggiante non serve assolutamente a nulla durante la navigazione in acque agitate. Nettuno non si fa intenerire da un vaso di fiori esposto sul ponte di comando, ma considera solo il coraggio degli uomini che dimostrano perizia nell'aggirare i pericoli. E di solito quei bestioni non fanno altrettanto bella figura come nelle placide acque di un marina o di un porticciolo alla moda.
Anche la terminologia è indicativa del rispetto che di dimostra per la cultura del mare.  Yacht o panfilo sono parole si leggono solo sui rotocalchi estivi, ma non hanno corrispondenza tra i termini marinareschi. Se si vuole “ostentare” dimestichezza con le cose di mare  quando parlate di imbarcazioni da diporto dite semplicemente barca. Oppure chiamatele con il loro vero nome: sloop, schooner, yawl, ketch, anche se questi termini sono più consoni alle barche a vela che non sempre incontrano i favori e le voglie di ostentazione dei nuovi ricchi. Sappiate che chi comanda a bordo non è il capitano, ma il comandante. Per chi va per mare il capitano è solo un militare. Noi diciamo capitano perché in inglese si dice allo stesso modo, captain, ma per noi non è la stessa cosa. Se vi capita di assistere alle manovre di una grossa barca che entra in porto astenetevi dal dire che sta parcheggiando. La barca ormeggia, non butta l'ancora, ma dà fondo, non parte, ma salpa. Le finestre sono oblò, i letti cuccette, la ringhiera è la falchetta e il balcone è il pulpito. La passerella che vi porta a bordo è lo scalandrone. La nave non è un palazzo pertanto non ha piani, ma ponti e ogni ponte ha una sua dignità crescente. Così come non ha un tetto, ma una tuga, non muri, ma murate, i pavimenti sono paglioli. Inoltre a chi governa una barca non piace essere assimilato ad un automobilista: pertanto evitate di dire volante (anche se il timone sembra il volante di una Ferrari). Esprimetevi in miglia e nodi e non dite nodi all'ora per intendere la  velocità perché nodi vuole dire già miglia all'ora.
Se si vuole perfezionare la propria cultura sulle cose di mare, allora è consigliabile leggere i meravigliosi racconti di Conrad, Melville, Salgari, Stevenson, Jack London. Oppure leggere qualche cosa sulla fantastica ed incredibile avventura di Ernest Shackleton o altri resoconti sulle esplorazioni polari. Un modo per guardare con sufficienza quel mondo fasullo e plastificato dei magnati in accappatoio cifrato e cocktail alla mano.




giovedì 1 agosto 2013

Il governo del non sapere dove andare

La gestione di governo da parte delle forze politiche che hanno retto l'Italia per buona parte degli ultimi due lustri non ha brillato per chiarezza di intenti su quale fosse la rotta migliore da tenere, ma ha sicuramente avuto idee molto precise su dove non si sarebbe dovuto andare. E precisamente non si sarebbe dovuti arrivare ad un giorno come quello di oggi che sancisce la definitiva fuoriuscita del Cavaliere e l'inizio dei suoi guai più grossi, quelli che non potranno trovare soluzioni legislative, ma si confronteranno solo con l'oggettività dell'ordinamento costituito. Se si potesse raggomitolare il filo dell'operato legislativo partendo da oggi fino ad arrivare al momento in cui Berlusconi ha sentito il fiato pesante della Giustizia che indugiava sul suo collo, tutte le azioni che inizialmente avrebbero garantito imperiture indennità al principe, avrebbero brillato per machiavellica coerenza e diabolico tempismo. Ma questo non è successo.Per fortuna, anche se lungo il tragitto di quel filo di Arianna rimangono le croci di problemi che non hanno mai incontrato gli alfieri e i paladini di immediate ed efficaci soluzioni. Con le conseguenze che sappiamo e che fanno sembrare ancora più amari giorni come questi. 


La forza della reazione