sabato 27 luglio 2013

Protesta, ma con stile

Glielo si spieghi ai tartassati stilisti Dolce e Gabbana che l'efficacia della protesta si misura in termini di disagio che azioni ed omissioni intraprese da una parte possono arrecare alla controparte. Scioperi delle maestranze per causare mancati profitti ai padroni del vapore e da parte datoriale, serrate per stremare gli operai decurtati del salario, la loro fonte di sostentamento principale. Certo le cose potevano essere sinteticamente descritte così se le rapportassimo al periodo delle grandi lotte operaie in Europa e Nord America, ma oggi le cose sono cambiate anche perché si sono aggiunte parti terze che spesse volte di sovrappongono tra di loro in un giro di disagi incrociati: consumatori di beni di largo consumo, fruitori di servizi di trasporto, pazienti di grandi strutture sanitarie, cittadini e opinione pubblica. A maggior ragione non si comprende la ratio che ha portato i due irosi stilisti a chiudere le loro vetrine di Milano per protesta contro le avventate parole del consigliere comunale. Posso capire le offese per le parole dette senza il fondamento di una sentenza passata in giudicato e il sacrosanto diritto di vantare una potenziale innocenza fino all'ultimo grado di giudizio, ma non si capisce chi avrebbe dovuto danneggiare la serrata di via della Spiga. I dipendenti hanno dichiarato di avere approfittato della fermata per andare qualche giorno in vacanza, che non denota certo soverchie preoccupazioni per il rischio di pane e companatico. Non penso che frotte di consumatori "con i soldi in bocca" abbiamo subito l'affronto di trovarsi davanti ad una vetrina chiusa tappezzata con stilosi volantini che spiegavano i motivi di tanta rabbia. Forse qualche russo, cinese o arabo che avrebbe potuto terminare di spendere gli ultimi spiccioli nella tappa di Milano per acquistare indumenti per potere affrontare con un minimo di confort il penoso tragitto del rientro a casa. Ah ecco, forse era questo il disagio della protesta firmata D&G. Vergognati Milano città ingrata! Non ti meriti gli sforzi di chi lavora e si prodiga per te. E se per caso venissero anche condannati per evasione hanno già detto che loro lasceranno l' Italia e pertanto anche via da te, cara Milano. Vedi di moderare i termini la prossima volta. Hai visto di che cosa sono capaci?

venerdì 19 luglio 2013

L'intelligenza politica. Deputato e ministro a confronto.

Si è sentito dire che Calderoli, che uomo sprovveduto certo non è, abbia saputo sapientemente cavalcare l'onda emotiva del proprio esiguo elettorato facendo giungere alla loro orecchie ingiurie volgari e infantili a carico di un ministro della Repubblica di pelle scura. Proprio quello il popolo padano avrebbe voluto sentire profferire da uno con la cravatta verde. Nonostante le scuse e le clamorose marce indietro per recuperare una pur minima dignità all'interno del sempre meno dignitoso emiciclo, esperti abili nel leggere le tattiche di sopravvivenza di asfittici partiti continuano a sostenere che nulla è nato per caso e che tutto corrisponde ad un disegno di propaganda politica che tenta il tutto per tutto pur di sopravvivere. Cosa certa è, che risulta difficile immaginare un Calderoli quasi timoroso nel profferire insulti tribali e deprecabili all'indirizzo di chi riveste, anche per aspetto fisico, la più deleteria nomenclatura delle colpe che costellano l'immaginario leghista: nero, donna, comunista e progressista. E' parimenti arduo immaginare un Calderoli a guinzaglio corto che vorrebbe esorcizzare le paure della valle padana, ma che per ragioni demagogiche sacrifica la propria intelligenza di fine uomo di Stato a vantaggio e consumo di un manipolo di scalmanati. Lui, in fondo, che con le parole in libertà ha sempre combinato qualche danno: dalle vignette al maiale sacrilego, dai commenti sulla tintarella di giornaliste troppo abbronzate,  all'autodafé sul proprio Frankestein elettorale. Ammettendo anche, con ingenti sforzi di fantasia e buona dose di indulgenza, che il fine ultimo della tattica di Calderoli sia la sopravvivenza, che ben sappiamo essere la quintessenza di quella particolare dote che ci permette di scampare agli agguati che i sempiterni predatori ci tendono, è lecito domandarsi: perché nessuno parla dell'intelligenza della parte offesa? Il ministro della Repubblica Italiana Cecile Kienge, che mi pregio e mi onoro di scrivere nell'interezza della carica ricoperta, ha dimostrato un'intelligenza quasi inusuale per il panorama politico italiano. Ha smorzato subito i toni della polemica, portando l'accadimento da un piano personale ad uno istituzionale. Non ha replicato alle offese, mantenendo un tono distaccato dalla polemica che stava montando. Immagino che per il ministro l'incidente si sia chiuso nel momento stesso in cui era nato. Semplicemente perché, intelligentemente, più la bufera saliva, più si confaceva alle mire del nostro eroe della volgarità. Una tattica saggia, da politico navigato abituato a scansare i siluri della controparte. Un vero politico di stampo britannico, come d'altra parte il ministro, nato in un contesto culturale tipicamente anglosassone, è. E allora come non ravvisare quei primi segnali di cambiamento culturale che una vera politica di integrazione può portare? I commenti di Calderoli sono beceri, irrispettosi e soprattutto denotano una forte componente razziale. Ma non è il primo che parla senza riguardi per le differenze e non sarà certo l'ultimo. Il ministro Kienge, con la sua calma, la sua capacità di vedere al di là dell'ostacolo è veramente la prima a regalarci un comportamento da politico esemplare. Augurandoci che non sia l'ultima. 

lunedì 15 luglio 2013

Miracolo a Milano


Senza soffermarsi troppo sul significato di una bravata esibizionista e scellerata del giovanotto in cerca di "facili" momenti di gloria, un merito va comunque riconosciuto a Maurizio Di Palma, il base jumper autore del lancio dal Duomo di Milano degli scorsi giorni. Un merito che non tutti gli riconosceranno, soprattutto i Milanesi, così distratti e lontani, ormai soggetti senza alcuna storia che si muovono dietro le quinte di una città che oggi non offre più niente di concreto e vero. Quando Maurizio ha raccontato la sua notte sui tetti del Duomo, accuratamente celato alla vista dei sorveglianti per evitare di vedere sfumare il suo gesto eclatante (e fare passare dei guai ai malaccorti guardiani), ebbene, è riuscito a trasmettere le immagini in bianco e nero di una Milano viva, attiva, forte e altruista. La Milano degli anni del dopoguerra, produttrice, animatrice, promotrice. Severa con i suoi cittadini, ma anche con quelli che aspiravano a diventarlo. Ma sempre incline a concedere una nuova opportunità a tutti. E come tutte le città attive e dinamiche aveva i suoi ritmi e i suoi rumori: le saracinesche dei bar che aprivano di prima mattina, i primi passanti che attraversavano la piazza, i voli di piccioni da una parte all'altra, la ronda della polizia. E poi ll sole che incominciava a traforare le guglie e spandere i suoi raggi benefici sul tetto del Duomo. Immagini in bianco e nero, appunto, di una Milano che oggi non c'è più, ma che sa ancora farsi rimpiangere. Maurizio prima di fare il suo grande balzo, ha vissuto da una posizione privilegiata un'esperienza che ormai non prova più nessuno. E ha saputo raccontarcela. Tanti notti come queste Maurizio (e qualche salto in meno).

La forza della reazione