lunedì 19 febbraio 2024

Là, dove crescevano gli ulivi...

La natura umana non cambia così rapidamente come le mode, gli orientamenti politici, le idee e il tipo di automobile che andremo a scegliere per i prossimi anni. La percezione della bellezza, l'amore per la pace e la tranquillità, l'ambizione di vivere in un posto bello, incontaminato che sappia solo donarci serenità e predisposizione verso la natura sono orientamenti naturali nell'uomo. In una piana dove crescevano innumerevoli ulivi, su una superfice sterminata che finiva in un mare di smeraldo, dove perdersi era caro a bestie e uomini qualcuno decise di costruire e di mettere in funzione una delle più micidiali invenzioni del progresso industriale: la fonderia. Quel qualcuno, terribilmente simile all'uomo, ha estirpato centinaia di migliaia di alberi, scavato buchi neri, canali di scolo per liquami fetenti, costruito enormi contenitori pieni di carbone e catrame, eretto enormi ciminiere con pennacchi perenni di fumi mortali. E il paese idilliaco è diventato un paesaggio di morte e desolazione.
A Taranto la morte inizia nel 1960 quando un politico pose la prima pietra per la costruzione di un insediamento che avrebbe dovuto fare invidia al mondo. L'invidia la suscitò certamente, ma da parte di chi avrebbe voluto vivere e lavorare da un'altra parte, non certo nel quartiere Tamburi dove sin dal 1965, l'anno in cui entro in funzione a pieno regine lo stabilimento, la gente cominciava a morire, anche se la malattia valeva sempre meno di un lavoro a stipendio fisso e garantito. 
Esplode dunque la micidiale bomba a duplice effetto che da una parte vorrebbe inibire l'iniziativa industriale che raccoglie consenso e il posto di lavoro che porta voti e dall'altra la vita intesa come vita biologica di donne, uomini e bambini che di questo lavoro ci moriranno per decenni. 
L'obiettivo era l'occupazione, il contenimento dell'emigrazione verso le fabbriche del Nord, lo sviluppo graduale per induzione dell'indotto che avrebbe fatto da volano per ulteriore occupazione. I risultati purtroppo sono sempre stati modesti e le conseguenze infauste: prima la privatizzazione, poi la cessione e l'acquisto da parte di gruppi stranieri, la contrazione della produzione, della manodopera, le malattie, le morti e le cause in tribunale. 
Non resta che qualche foto di come era la piana di Taranto prima dello scempio, o meglio, prima della  corsa alla morte. 

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