La stazione di Busto Arsizio,
nonostante il lifting facciale di qualche mese fa non riesce a proprio a nascondere
il suo imbarazzo per lo stato di degrado di cui è vittima. L’atrio, la sala
d’aspetto di prima e seconda classe
adesso unificate solo per dare asilo ai disperati, i binari con le erbacce, lo
sconfinato piazzale delle merci da dove partivano chilometri di filati per
tutto il mondo. Tutto risuona di abbandono, di sfacelo, di ostentato
disinteresse. L’unico flebile battito che anima questo posto di anime morte è
il bar e il giornalaio. Il bar, gestito da due cinesi perennemente attivi e
sorridenti, concede anche sollievo ai bisognosi, nel senso che dietro ad un
pessimo caffè ti lascia accedere all’unica toilette funzionante. Quelle vere,
cioè quelle che le stazioni, notoriamente luoghi di passaggio e elevata frequentazione,
hanno per contratto sono chiuse da tempo e le targhette dell’omino e della donnina coperte
di falli e numeri di cellulare di
aspiranti gigolo. I giornali vengono venduti da una famiglia di persone che
vengono dall’est, che parlano un ottimo italiano e sono a caccia di clienti
offrendo la consegna del giornale direttamente al finestrino di chi va di
fretta o non riesce a parcheggiare la macchina. Mi hanno detto che quello per
loro è “servizio al cliente”. Quando dicono che la prima cosa che si impara di
una lingua sono le paralacce...
Passa un treno; TiLo lo hanno
chiamato, perché collega il Canton Ticino con la Lombardia, Bellinzona con l’aeroporto
della Malpensa. Fa specie vedere quel trenino, colorato, moderno, pulito
passare in uno scenario da post-industrializzazione sovietica. Ci aspetteremmo
di vederlo sulla scatola di un puzzle. Ma alla TiLo, la società a capitale
italo-elvetico che gestisce la linea, interessa poco lo scenario. A breve, alla fine
del 2014, termineranno i lavori che completeranno la sua nuova linea ferroviaria
che da Chiasso collegherà Como e Varese, quel vasto bacino che raccoglie
migliaia di pendolari transfrontalieri che oggi sono obbligati a muoversi in
macchina. Oggi forzati dell’automobile, domani liberati dal treno. Gli svizzeri sono fatti così: trovano opportunità sulle nostre carenze. La Hupac, dopo che il Governo Federale ha limitato il transito di merci su gomma che attraversano il Paese,
gestisce tutto il traffico di container che arrivano sui camion allo scalo di
Gallarate, li caricano sui loro treni e li traghettano fino ai confini della
Germania, se non più su. E' la Hupac è interamente svizzera.
Nell’immondo sottoposso coperto
di scritte di studenti e di extracomunitari che sfoggiano i rudimenti
linguistici appresi, non esiste un ausilio per chi ha carrozzine, bagagli
pesanti o chi si sposta su una sedia a rotelle. Bisogna confidare nell’aiuto di
qualche addetto delle pulizie, unici rappresentanti di quell’umanità che in
passato restituiva il vissuto del viaggio in treno: capistazione, bigliettai,
controllori, portabagagli, venditori di panini, bibite… sono tutti spariti,
volatilizzati e dietro a loro hanno lasciato solo macerie. E le macerie ti
accompagnano per tutto il viaggio verso Varese, il capoluogo del Leghismo, la
culla della ribellione allo sperpero e all’irrazionalità di Roma. Dopo
Gallarate, che forse è riuscita a tenere un po’ più alto il proprio decoro
ferroviario, inizia una teoria di stazioncine che dicono “impresidiate” e
termine non potrebbe essere più azzeccato data la desolazione di muri
scrostati, porte e finestre murate, macerie arrugginite, pareti imbrattate,
vetri rotti e i giardinetti della stazione, che una volta erano il vanto del
capostazione, con i pesci rossi e le
ninfee, oggi sono immondi ricettacoli di rifiuti stratificati.
A Varese, tre poliziotti
schierati scrutano l’uscita dal sottopasso e fermano le facce coincidenti con
lo standard della devianza leghista: negro, arabo, zingaro, barbuto, con le
ciabatte, con troppe borse, con troppi figli. Un filtro più che altro di mera
circostanza tenuto conto che per la Lega tutti quelli che viaggiano in treno
sarebbero pericolosi. Aiuto la donna di colore che deve farsi una rampa a
scendere e una a salire con la carrozzina; ovviamente non esistono ascensori e
scale mobili, e le rampe sono ripide, al limite della legge. Che cosa farà il
poliziotto? Mi ferma perché ho aiutato una negra? Ci ferma tutti e due? Ferma
la donna e mi lascia andare con un cenno di rimprovero?
Fuori dalla stazione lo
spettacolo cambia. Aitanti pensionati su fuoristrada a lucido abbordano e
caricano frettolosamente mature e
procaci donne dell’est in transito a Varese per necessità legate alla
professione: badanti, infermiere, massaggiatrici, estetiste. I neri fuggono
trafelati per andare a lavorare nelle imprese di pulizie, in quelle che
movimentano rifiuti, nei magazzini e nei supermercati. La sera, prima di tornare
a casa, fanno un salto in uno dei tanti negozi di telefoni e servizi per gli immigrati
che costellano il centro di Varese, uniche macchie di colore nella desolazione
di serrande abbassate da tempo. Poi tornano a casa in treno e fanno l’ultimo
tratto in bicicletta o a piedi.
Qualche chilometro più sotto, le
verdi colline che annunciano il sipario delle Prealpi lombarde vengono trafitte
dai moderni macchinari che a tempo record costruiranno la Pedemontana, l’autostrada
alla quale le autorità locali hanno anelato per anni e che finalmente diventa
realtà per dare impulso ed energia alla solerzia della gente della Padania.
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