giovedì 16 agosto 2012

Le Gardaland inesplorate

Prendete un piccolo borgo sperduto tra gli appennini a cavallo tra Liguria e Piemonte, desolato per undici mesi all'anno, ma che si ripopola ad Agosto quando i discendenti degli antichi abitanti ritornano per passare un po' di giorni di vacanza lontano dall'afa. Portatevi poche cose: lo stretto necessario per sopravvivere: vettovaglie, pochi vestiti, pochi soldi dato che non ci sono negozi e non si può spendere. Portatevi soprattutto, i vostri figli e lasciate che si organizzino la giornata con gli altri bambini. Pericoli tanto non ce ne sono visto che per le strette viuzze del bordo non passano le macchine. E scoprite come un gruppo di ragazzini di età diversa nel giro di poche ora possa toccare una libertà e una felicità mai assaporata prima, senza chiedervi nulla: nessun gelato, nessun gettone per il biliardino, nessun biglietto d'ingresso per il parco acquatico. Farete anche fatica a portarli via. 
E questo è toccato a me quando ero piccolo, ai miei cugini a mia madre e a mia nonna. Oggi, per fortuna, tocca alle mie figlie e sono contento che questo ambiente incontaminato riesca a trasformare pochi giorni di vacanza in uno dei ricordi più belli dell'infanzia. Come è possibile? La formula è semplice: la ricchezza che porta la scoperta della vita fatta di poche cose: una gallina e la sua nidiata di pulcini e un anziano che spiega che cosa succederà in seguito a quegli esseri implumi, i racconti sulle vipere, i tempi dei vecchi che non torneranno, l'acqua da andare a prendere alla fontana. Questo interessa ai ragazzi di oggi, come interessava a noi perché percepiscono la genuinità e la spontaneità del conteso: non è la scuola dove l'insegnamento è codificato, non è la televisione che non permette un confronto, non è museo o la riserva naturale dove la natura è sotto un cellophane. E non è il parco avventure dove tutto ha un limite che prima o poi vorremo superare. Qui tutto è vero è senza veli, senza sistemi di ritenuta, senza gettoni che scadono o tempi di durata della giostra. Tutto può andare avanti all'infinito quanto potrà essere illimitata la fantasia dei bambini e la pazienza dei vecchi. 
Per la cronaca, la località è Cerendero, frazione di Mongiardino Ligure in provincia di Alessandria, ma di posti così è piena l'Italia. Se avete lontane radici o lontane discendenze in un paesello sperduto, tornateci. Farà bene anche a voi.  

lunedì 6 agosto 2012

Da Rapallo a Santa Margherita, aspettando i Cavalieri di Malta

Via Ponte Annibale
L’aggiudicazione della sentenza da parte della società che gestisce il parcheggio privato in centro a Milano e la messa in bando dell’area “C” di Milano è una sconfitta ai punti di un match tra la morbosa debolezza degli interessi privati e il bene comune.  La salute, ovvero il diritto ad un ambiente più sicuro e salubre, soccombe di fronte alla rivendicazione del diritto di continuare a produrre profitti sulla pelle di tanti e per la pigrizia e l’indolenza di pochi. Su questioni come queste potrebbero nascere lotte con un’elevata valenza ideologica, ma nessun attore è disponibile a calcare il palcoscenico di una rappresentazione che potrebbe avere esiti incerti, soprattutto quando in ballo di sono forti interessi economici. Vedremo che atteggiamento assumerà il comune di Milano, ma il solo fatto che una questione di interesse pubblico abbia trovato il proprio terreno di scontro nell’aula di un tribunale civile dovrebbe dirla lunga sulla dimensione degli interessi in ballo e sulla inconsistenza degli strumenti a difesa degli interessi della collettività.Vedremo come andrà a finire con l’autunno e le consuete polemiche sul traffico e sui livelli di smog. Ma Milano non è il solo caso di interesse privato prevalente sul bene comune. Nel Golfo del Tigullio le amministrazioni municipali di Rapallo e Santa Margherita Ligure stanno discutendo da decenni sulla opportunità di costruire percorso pedonale tra Rapallo e Santa Margherita, un percorso di strada che sempre più spesso turisti, bagnanti, jogger e ciclisti sono costretti a percorrere affrontando il rischio di venire arrotati dal traffico automobilistico soprattutto nel tratto che da San Michele di Pagana porta a Santa Margherita. E pensare che i due comuni, di solito abbastanza litigiosi, sarebbero anche d’accordo. Il punto è che la proprietà che costeggia il tratto di strada pericoloso non vuole cedere un millimetro del proprio parco per permettere la costruzione di un passerella aerea che metterebbe in sicurezza i pedoni. E quando la proprietà appartiene ad un organismo sovranazionale come il Sovrano Ordine Militare di Malta (Smom) le cose si complicano. Si complicano al punto che nel corso di almeno tre decenni non si è mosso un granello di polvere senza il volere degli antichi rappresentanti della tutela della cristianità e dei valori cavallereschi. Con l’incongruenza di due municipi litigiosi e il sussiego nei confronti di un proprietario molto influente le cose sono destinate a rimanere immutate per secoli. O fino a quando non ci scappa il morto.
Fra l’altro una strada pedonale che collega i due centri rivieraschi esiste già. Ma nessuno si è preso la briga di segnalarla. Non sarà scenografica come la strada costiera, ma sicuramente più sicura e più salubre. Se volete approfittare della vostra prossima visita nel golfo Tigullio per percorrerla, di seguito troverete le indicazioni per raggiungerla e seguirne il percorso.
Buona passeggiata!
Il "Ponte di Annibale"
Partenza: da Rapallo percorrete la strada che porta a Santa Margherita e Portofino fino ad incontrare il cosiddetto “ponte di Annibale” che pare avesse visto il transito delle truppe del condottiero cartaginese (in verità il ponte è di epoca successiva anche se il tracciato dell’originaria via Aurelia è ancora evidente).
La scalinata prima dell'Aurelia

La croesa di Via Donega
In corrispondenza della via Ponte di Annibale prendete la strada pedonale lastricata (Via Ponte Annibale, appunto) e percorretela tenendo la sinistra (non salite cioè sulla salita San Gervasio e Protasio). La strada, che verosimilmente segue in parte il tracciato dell’antica Aurelia, ha un andamento in lieve salita per poi impennarsi verso la metà e diventare un’erta scalinata nel tratto finale. In cima alla scalinata vi trovate in corrispondenza di un tornante dell’Aurelia stradale che porta a Rapallo. Proseguite dritti seguendo la tangente del curvone e imboccate via San Nicola che punta verso il basso. Camminate per circa 10 minuti lungo un sentiero lastricato in pietra e contornato da ulivi e villini di recente ristrutturazione. Al termine del sentiero trovate una strada asfaltata. Siete arrivati nella frazione di San Michele di Pagana.  Prendete subito la scalinata alla vostra sinistra (via degli Aranci) e scendete.  In fondo alla scalinata girate a sinistra, passate davanti alla dismessa stazione ferroviaria di San Michele e seguendo le rotaie scendete in paese. Arrivati in via Meucci girate a destra e poi subito a sinistra, verso il mare, fino ad incontrare Via Donega. Dopo pochi metri, facendo attenzione, incontrate un piccolo sentiero che sale e che nel primissimo tratto corre parallelo ad una scalinata che porta ad un’abitazione privata. Siete adesso nel tratto più caratteristico del percorso. Una “croesa” che corre tra muri a secco ravvicinati, alcuni punti sono veramente molto stretti ed incombenti. Purtroppo è anche il tracciato più trascurato e meno curato, ma se non desisterete in pochissimi minuti vi troverete in cima alla collina di Pagana, praticamente pronti a scendere verso Santa Margherita.  Continuate a percorrerlo in salita tenendo la destra e ad un certo punto trovate alla vostra sinistra una stretta scalinata che passa di fianco a due belle ville con
La scalinata "nascosta"
giardini curati. Fate attenzione perché questa scalinata è praticamente invisibile fino a quando non si arriva al suo traverso. Arrivati in fondo alla scalinata siete obbligati a girare a destra e costeggiare alcune proprietà. Ad un certo punto dovete prendere la via Gimelli, in salita, e seguire percorso attraversando i vari quadrivi che incontrate. Ad un certo punto il sentiero diventa una scalinata che punta verso il basso. Dopo averla percorsa vi trovate dietro la stazione ferroviaria di Santa Margherita Ligure. Prendete il sottopassaggio che incontrerete alla vostra destra e sbucate a Santa in corrispondenza della passeggiata di Ghiaia.
Il sottopassaggio della Stazione di Santa Margherita

Tempo di percorrenza: circa 45 minuti.



giovedì 2 agosto 2012

Il sonno delle istituzioni genera la 'ndrangheta


Quando gli stranieri parlano di mafia scadono spesso nei luoghi comuni che inevitabilmente assimilano gli italiani alle prodezze di padrini, picciotti, killer e madri coraggio.
Dopo avere letto “Fratelli di Sangue” che contiene i minuziosi resoconti redatti da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, rispettivamente un magistrato calabrese che da anni indaga sulla ‘ndrangheta e uno studioso che ha impostato la più ingente ricerca sui fenomeni mafiosi della Calabria, è possibile affermare che anche gli italiani sono spesso facile preda di cliché preconfezionati che sebbene non ci tocchino da un punto di vista di integrità morale, se siamo persone oneste, dall’altro non ci permettono di valutare appieno l’immane dimensione raggiunta oggi dalla ‘ndrangheta, la più potente mafia del mondo.
Oggi la ‘ndrangheta ha raggiunto proporzioni tali che un singolo stato, sebbene fermamente intenzionato a combatterla, non potrebbe fare molto per estirparla alla radice. Le proliferazioni, le interessenze, le collaborazioni e le dislocazioni sono talmente diffuse e consolidate che solo l’azione congiunta di singoli stati, altrettanto fermamente convinti di combatterla, potrebbero scalfire la sua tracotanza. Ma questo è ancora là da venire.
La forza della mafia calabrese poggia su alcuni fondamentali pilastri che nonostante l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine, sono ancora solidi ed inattaccabili. Il primo è la capacità di questa organizzazione di riproporre i propri modelli organizzativi  ovunque nel mondo: “in un casolare in Calabria, in un bar di Cinisello Balsamo o in un fattoria in Australia”, scrivono gli autori, il modello di affiliazione delle nuove leve, i  metodi di governo dei “locali” del posto, la somministrazione di gratifiche o punizioni come la decisione di eliminare un infame, rispecchia, salvo qualche minimo adattamento, le vecchissime tradizioni risalenti alla seconda metà dell’Ottocento che orecchiano modalità associative di stampo massonico e dogmi paganizzati della cristianità interpretati a proprio uso e consumo.
Poi c’è la prerogativa dei mafiosi calabresi di non prestarsi a fenomeni di pentitismo. La mafia calabrese è un meandro buio e poco esplorato anche perché pochi, pochissimi, decidono di parlare e collaborare. E su questo silenzio ostinato e invalicabile la mafia calabrese è riuscita a guadagnare la fiducia dei narco produttori sudamericani che hanno praticamente affidato alla ‘ndrangheta lo smercio di enormi quantitativi di cocaina in Europa.
In ultimo, e questa è la conseguenza dei primi due punti, la spaventosa mole di denaro che la mafia calabrese ha accumulato e che sta reinvestendo in attività legali localizzate nel nord Italia, in Germania, Australia, Canada e Sud America. Una rete fitta di collegamenti che svia le indagini, edulcora il colore del confine tra losco e pulito, richiede collaborazioni tra più organismi internazionali con tempi di reazione non sempre appropriati alla capacità di adattamento di un’organizzazione camaleontica.
Eppure su questa massa intricata di relazioni Gratteri e Nicaso hanno messo mano restituendo una mappa  di nomi di famiglie abbinate ai luoghi d’origine della ‘ndrangheta e alle rotte dell’immigrazione oltreoceano  specificando le attività principali di profitto e le cause scatenanti di faide che si trascinano da anni.
Un lavoro di ricerca destinato a colpire l’immaginazione di chi vive ancora di luoghi comuni: i due autori non pongono domande, non fanno inchiesta d’assalto. Si limitano semplicemente a snocciolare un rosario di nomi, di paesi che costituiscono l’ossatura di un sistema criminoso che sta attirando l’interesse delle principali organizzazioni anticrimine mondiale tra cui la FBI. Ed è su questo elenco minuzioso che descrive il fenomeno in modo quasi “anagrafico” che ci invitano a riflettere il magistrato e lo studioso:  la mafia calabrese è cresciuta, si è ramificata, ha intessuto alleanze dettando le regole sull’utilizzo di alcune voci importanti di spesa per lo sviluppo del Sud (due esempi su tutti: la Salerno-Reggio Calabria e il porto di Gioia Tauro) praticamente quando era tutto risaputo. Lo Stato semplicemente si è voltato dall’altra parte, salvo girare ogni tanto lo sguardo quando gli spari delle faide e dei regolamenti di conti diventavano troppo assordanti per essere ignorati.
Gli episodi di violenza, di crudeltà e omicidi di innocenti gettano ogni tanto una luce che illumina la realtà di una regione, la Calabria, con il più elevato indice di penetrazione mafiosa in Italia e ben rappresentano il senso di impunità che gli affiliati percepiscono nei confronti dei surrettizi impedimenti che lo Stato ha, fino a poco tempo fa, esercitato nei confronti del fenomeno.
Oggi l’azione della Magistratura e delle forze dell’ordine è più ingente, ma il tempo delle scelte drastiche, purtroppo, è passato da tempo. La ‘ndrangheta è adesso una realtà multinazionale con appoggi in tutto il mondo e un rating, se vogliamo metterla in termini finanziari, molto elevato e un “outlook” sempre positivo, in grado di controllare i flussi di droga in mezzo mondo, traffici di armi e rifiuti ad alto potenziale di tossicità come scorie radioattive e rifiuti di lavorazioni pericolose. Che vanno a contaminare un mare di struggente bellezza.
Ben vengano libri come quello di Gratteri e Nicasio. Informazioni , dati, nomi e località. Gli stessi sui quali lavora la magistratura per cercare di fare luce sul buoi per lunghi anni ha oscurato la vista di occhi compiacenti.   

Nicola GRATTERI, Antonio NICASIO (2012) "Fratelli di Sangue - Storie, boss e affari della 'ndrangheta, la mafia più potente del mondo" - Mondadori - ISBN 97-88-80458-4322

mercoledì 25 luglio 2012

La moto. A quando una campagna contro?


Puntale ogni anno, con l’arrivo della bella stagione, riprende la conta delle tante persone che lasciano la vita a causa di incidenti in moto.
I motociclisti sono un capitolo importante nelle statistiche di morte per incidenti stradali, ma come spesso accade, di fronte a fenomeni immani, lo Stato assiste inetto e imbelle e tollera una scempio di vite umane che lascia impietriti per lo strazio di una vita spezzata, per il raccapriccio di un corpo martoriato e per l’assurda inutilità di una corsa che non porta da nessuna parte.
Essere motociclisti è sicuramente parte di un modo di vivere, di condividere esperienze e conoscenza in nome della tecnica e della velocità e di una scolorita percezione di libertà, ma questo non deve presupporre l’assoluta libertà di rischiare la vita senza una scopo, senza una ragione.
L’Italia è il Paese delle moto: si progettano, si costruiscono, si vendono e si riparano. Il colori nazionali sono spesso portati sul podio più alto da motociclette e piloti italiani. E’ senza dubbio un grande motivo di orgoglio, anche per i più scettici. Ma tutto questo non deve permettere la carneficina che si compie ogni giorno sulle strade. Correre su una pista è, paradossalmente, meno pericoloso che sfrecciare su una strada di periferia o affrontare tornanti durante una gita domenicale. I pericoli della strada sono molteplici, incontrollabili, ineliminabili. E per i motociclisti sono delle vere e proprie trappole.
E’ dunque logica conseguenza che un Paese che vive sui fasti motociclistici passati, presenti e auspica nuovi successi futuri non possa fare altro che incentivare il consumo legato alla moto, ma come combatte la droga, la guida sotto l’effetto di alcol, la velocità, il gioco d’azzardo, l’obesità l’eccesso di sedentarismo, ovvero tutti quei comportamenti che fanno male a noi e agli altri, allo stesso modo dovrebbe attivare campagne per tenere lontano le persone dalle moto. Almeno fino a quando si è giovani e ribelli.
Un ragazzino che a 14 anni inizia a girare in motorino intraprende una potenziale carriera di motociclista destinata ad interrompersi, se gli andrà bene, su una sedia a rotelle. L’escalation della potenza prosegue fino all’età di 21, 22 anni quando la legge gli darà la possibilità di guidare moto dalla potenza impressionante. E a quell’età la morte è solo un nemico facilmente eludibile.
Ma cosa si può fare per impedire ad un ragazzo di iniziare il flirt con la moto? Innanzitutto stimolarlo verso altri mezzi di locomozione, proponendogli, per esempio, dei crediti scolastici se si asterrà dal conseguire la patente per guidare la moto fino a 18 anni. Quattro anni senza guidare la moto sono per lui una ragione per aumentare le sue possibilità di sopravvivenza e arrivare alla maggiore età sano. I crediti potranno essere trasformati in un premio consistente in mezzi di locomozione a zero o basso impatto, come una bicicletta elettrica.  Se poi, proprio non potrà fare a meno della moto almeno inizierà la sua carriera da maggiorenne, con un minimo di sale in zucca in più.
Se un ragazzo su una moto non percepisce il pericolo, potrebbe però percepire che il rischio ogni tanto c’è. Sarebbe dunque opportuno, di concerto con le scuole, gli oratori e i circoli sportivi, proporre un volontariato obbligatorio in affiancamento agli operatori del soccorso ai quali tocca spesso recuperare corpi smembrati di chi, come loro, pensava che la morte fosse un problema di poco conto. Cruento, forse, ma sicuramente edificante.
Per finire, sarebbe opportuno iniziare a smantellare l’immaginario legato alla moto che accompagna il bambino fin dalla tenera età: tricicli a forma di moto, moto elettriche, modellini di moto.
La moto è uno strumento di morte. Meglio tenerlo fuori dalla portata dei bambini.

giovedì 21 giugno 2012

Il trasporto pubblico secondo Cota


Ci sono molti modi per decidere come spendere meglio i soldi. La regione Piemonte ha deciso di optare per la soluzione più facile e banale e cioè non spendere.
La Regione Piemonte con il consenso della divisione del trasporto locale di Trenitalia ha decretato di procedere alla soppressione di ben 14 linee ferroviarie locali. Motivo: non sono redditizie. Bella scoperta e da quando lo sono? O meglio, come potrebbero essere visto che non si spende un centesimo per promuovere l’uso del treno come mezzo di trasporto, svago e acculturamento?
Questa decisione spiazza definitivamente le illusioni di alcuni comitati di cittadini riuniti sotto gli auspici democratici di Agenda21 che avevano proposto di riattare almeno le tratte più prossime ai principali centri urbani per un utilizzo del treno come metropolitana leggera per dare un minimo di sollievo al traffico in entrata dai piccoli centri o frazioni limitrofe. Molto probabilmente a Cota non interessa sapere che Asti è una della città con la qualità dell’aria peggiore di tutta Italia per colpa dei gas di scarico di un traffico demenziale.
Alcune delle linee dismesse attraversavano territori di particolare valore storico, artistico, enologico e gastronomico. Guarda caso le leve sulle quali la Regione Piemonte sta investendo per la propria promozione. Le ferrovie stesse sono, in alcuni casi, opere di valore architettonico particolare. La Asti-Chivasso realizzata già nel secolo scorso dispone di un unico patrimonio di stazioni arricchite di elementi liberty, stile imperante ai tempi della costruzione. Ovviamente oggi sono tutte in abbandono. Fra l’altro la ferrovia Asti-Chivasso transita a pochissimi metri dall'insediamento proto romano di Industria, un sito archeologico di grandissimo interesse. Che il treno potrebbe valorizzare. Lo stesso vale per il territorio e quello che potrebbe offrire ad un turismo sempre più attento a evitare le proposte becere e banali: le Langhe, il Monferrato con la loro storie e le loro particolari ed uniche espressioni di cultura.
Bella decisione quella di Cota. Ha deciso di rimpiazzare il mezzo ferroviario con corse di corriere aumentando il traffico e l’inquinamento sulle strade. Una decisione che ha i suoi  epigoni nelle scellerate politiche di chiusura delle linee locali praticate dalla fine degli anni ’50 per buona parte degli anni ’60 e ’70. Ma allora si voleva (e si doveva) fare largo all’incursione dell’automobile che avrebbe dotato tutti di un mezzo proprio per muoversi. Con le conseguenze che ben sappiamo. Ma che molti continuano a fingere di non conoscere. Ma Cota, si sa, non guarda indietro, punta dritto al futuro.
Strano bifrontismo quello della regione Piemonte che rivendica l’utilità di linee poco utili e dispendiose come la TAV Torino-Lione in ragione delle emergenti necessità di mobilità per poi eliminare quello che già esiste di buono. Ma strano è anche il bi-frontismo delle associazioni ambientaliste che si sono ben guardate dall’inscenare manifestazioni di protesta contro una così evidente dimostrazione di incapacità di pianificazione. Probabilmente il palcoscenico della Valsusa porta più pubblico pagante che una dimostrazione in una stazioncina frequentati da 4 pendolari emigrati.
Il nodo della questione è sempre lo stesso: in Italia la Ferrovia non piace. E ai pochi che piace spetta quasi sempre trovarsi dalla parte soccombente. Lo spregio per il treno, ma vale in generale per il mezzo di trasporto pubblico, ha sempre comportato finanziamenti con contagocce che hanno contribuito al peggioramento del servizio e di conseguenza alla disaffezione dell’utenza che ha optato per mezzi alternativi, quasi sempre, data la mancanza di alternative, di tipo individuale. Il circolo vizioso non si è mai interrotto e i recenti provvedimenti adottati dalla Regione Piemonte sono la tragica, scontata conseguenza.
Sopprimere le ferrovie locali oggi è una scelta che non ammette ragioni. Una società che sta sempre più abbandonando la realtà del bene fruito individualmente per cedere il passo al bene comune, penalizzare il trasporto collettivo è stata una scelta di una classe dirigente che ha perso di vista l’orizzonte più ampio degli scenari futuri a furia di spulciare bilanci e libri mastri.
Un politico al passo coi tempi dovrebbe perlomeno sapere che la redditività di una ferrovia non è data solo dai biglietti venduti e i costi per il suo esercizio, ma comprende anche tutto quello è un valore oggi difficilmente computabile, ma che qualcuno domani farà pesare sul nostro tornaconto: il degrado del paesaggio, l’imbarbarimento dei modelli di vita, la scarsa attenzione per le necessità dei più deboli.
Ma Cota, si sa, cammina troppo svelto per stare al passo coi tempi. Per andare dove, chissà

lunedì 18 giugno 2012

L’Europa che riparte da Trás-os-Montes .


Per fronteggiare la gravissima crisi finanziaria che pesa sul Portogallo, il governo ha stanziato 63 milioni di euro per incentivare i giovani al ritorno alla campagna. La regione che beneficerà del riflusso di persone  ben istruite con elevate conoscenze tecnologiche e con qualificate esperienze lavorative è quella di Trás-os-Montes, una delle zone più povere del Portogallo e di conseguenza, d’Europa.
L’obiettivo ufficiale è il ripopolamento, ma la vera sfida è potere dimostrare che un altro tipo di sviluppo è possibile. Uno sviluppo che non integra il sistema costituito, ma procede esattamente nella direzione opposta. Un nuovo sistema che riparte proprio da dove temiamo di rovinare. Dal fondo del tunnel in cui tutti paventano di cadere. Ma un’altra luce proviene dall’oscurità ed è quella della frugalità che salverà i popoli.
Anche in Italia si assiste ad un fenomeno simile. Ne abbiamo già parlato su questo blog. Sono i piccoli centri dell’Appennino ligure che si stanno ripopolando grazie all’afflusso di migranti nordafricani che hanno deciso di ripartire dalla terra. Con la collaborazione di qualche sindaco di buon senso che vede valore e ricchezza in chi viene da lontano.
Non aprono, ben inteso, centri benessere, agriturismo o bed and breakfast per quella fetta di Mondo che continua a ritenersi immune dalle tenaglie dalla crisi. Aprono solo una nuova prospettiva di vita che antepone la sussistenza al guadagno, la dignità alla malversazione e la virtù al vizio.
La terra è una grande opportunità che l’Europa può giocarsi. La  cultura contadina è ancora prevalente in buona parte del nostro continente. Basta solo farla riaffiorare.
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lunedì 4 giugno 2012

La signora dei campi che aiuta chi vuole ripartire dalla terra


In occasione della manifestazione “MiFaccioImpresa” organizzata dalla provincia di Milano con il patrocinio del Ministero per lo Sviluppo Economico, è stata premiata un’imprenditrice agricola a capo di una fattoria improntata a metodologie di coltura ed allevamento non intensive o, per dirla tutta, di permacoltura.  Niente di strano premiare un’imprenditrice di successo. La faccenda diventa curiosa quando si viene a scoprire che “MiFaccioImpresa” si propone di sostenere lo sviluppo dell’imprenditoria che punta all’innovazione.
Allora dove sta l’innovazione? Semplice nell’idea.
La signora Irene di Carpegna Brivio ha valorizzato il concetto della terra, non tanto fine a se stessa, ma in forza dell’antico vincolo che la lega all’uomo. Un vincolo particolare, di cui oggi, assoggettati alla logica della macchina che lavora per noi, si è persa la vera essenza.
Condurre una fattoria che rispetta gli animali per quelle che sono le loro necessità fisiologiche non aiuta solo a produrre alimenti di migliore qualità che posso vendere a prezzi più alti del supermercato, ma serve ad imparare che le galline possono e devono razzolare in uno spazio aperto perché quello spazio fornirà a loro il cibo migliore ricevendo, grazie ai loro escrementi,  anche il nutrimento migliore. Lo stesso vale per i maiali che devono grufolare, le mucche, le capre.  Di questo avevamo perso la memoria perché abbiamo voluto ricompattare la cultura della terra alla dimensione industriale dei pollai a batteria, degli allevamenti intensivi, delle monocolture. Oppure l’abbiamo semplificata sopprimendo le infinite varietà di frutta e verdure per concentrarci solo su quelle più spendibili per ragioni commerciali.
Oggi abbiamo gli orti in casa; ci riprendiamo spazi naturali pensando di assumere comportamenti sostenibili e rispettosi dell’esiguità di risorse che attanaglia le economie occidentali. Ma sono mode, non espressioni di una cultura che non abbiamo più.
Ha detto la signora Irene ritirando il premio che lei non vuole solo fare l’imprenditrice agricola, ma vuole creare un humus per fare capire, a chi lo vorrà, che il ritorno all’agricoltura può essere una grande risorsa per ammortizzare la fuoriuscita dal sistema consumistico ormai alle corde, a patto che si voglia capire che cosa significhi - fuor di metafora - vivere dei frutti della terra.
La terra non è uno strumento che possiamo impiegare a nostro piacimento, ma è l’elemento fondamentale della nostra sopravvivenza. Ridicolizzarla, sminuire le sue prerogative e cercare di addomesticarla ai nostri bisogni, non è mai salutare. L’uomo dovrebbe avere imparato ormai.  
La fattoria si chiama Cascina Santa Brera ed è vicino a Pavia in  un luogo ameno che invita alla riconciliazione con le cose semplici e naturali. Come una vacanza in un isola in mezzo al mare. Ma non è alla vacanza che ci invita a pensare la signora Irene, ma ad un diverso modo di vivere concentrato su poche cose fondamentali depurato degli orpelli che appesantiscono la nostra vita fino a renderla, purtroppo per molti, insopportabile. Certo, non è una vita facile, ma dura e piena di incognite; ma in molti vogliono provarla: in Grecia i figli e nipoti di chi anni fa si inurbò nelle grandi città lasciando il villaggio sull’isola o sulla costa stanno tornando a vivere di pesca e agricoltura. In Italia, molti paesini dell’entroterra ligure spopolati durante gli anni della febbre dell’emigrazione stanno tornando ad essere abitati (e vissuti) da extracomunitari che hanno ancora fresca l'immagine dalla fatica quotidiana.
Perché è proprio la fatica alla base dell’idea di cultura agricola che vuole infondere la signora Irene. Non c’è niente di rilassante, non è meglio della palestra, non aiuta a dimagrire. Magari a fine giornata non ci si fa neppure la doccia. Di sicuro c’è solo sudore, ma i frutti non tarderanno ad arrivare.
Scavate nella vigna, perché è lì che troverete il tesoro.