In occasione della manifestazione “MiFaccioImpresa”
organizzata dalla provincia di Milano con il patrocinio del Ministero per lo
Sviluppo Economico, è stata premiata un’imprenditrice agricola a capo di una
fattoria improntata a metodologie di coltura ed allevamento non intensive o,
per dirla tutta, di permacoltura. Niente
di strano premiare un’imprenditrice di successo. La faccenda diventa curiosa
quando si viene a scoprire che “MiFaccioImpresa” si propone di sostenere lo
sviluppo dell’imprenditoria che punta all’innovazione.
Allora dove sta l’innovazione? Semplice nell’idea.
La signora Irene di Carpegna Brivio ha valorizzato il
concetto della terra, non tanto fine a se stessa, ma in forza dell’antico
vincolo che la lega all’uomo. Un vincolo particolare, di cui oggi, assoggettati
alla logica della macchina che lavora per noi, si è persa la vera essenza.
Condurre una fattoria che rispetta gli animali per quelle
che sono le loro necessità fisiologiche non aiuta solo a produrre alimenti di
migliore qualità che posso vendere a prezzi più alti del supermercato, ma serve
ad imparare che le galline possono e devono razzolare in uno spazio aperto
perché quello spazio fornirà a loro il cibo migliore ricevendo, grazie ai loro
escrementi, anche il nutrimento
migliore. Lo stesso vale per i maiali che devono grufolare, le mucche, le
capre. Di questo avevamo perso la
memoria perché abbiamo voluto ricompattare la cultura della terra alla
dimensione industriale dei pollai a batteria, degli allevamenti intensivi, delle monocolture. Oppure l’abbiamo semplificata sopprimendo le infinite varietà di frutta
e verdure per concentrarci solo su quelle più spendibili per ragioni
commerciali.
Oggi abbiamo gli orti in casa; ci riprendiamo spazi naturali
pensando di assumere comportamenti sostenibili e rispettosi dell’esiguità di
risorse che attanaglia le economie occidentali. Ma sono mode, non
espressioni di una cultura che non abbiamo più.
Ha detto la signora Irene ritirando il premio che lei non
vuole solo fare l’imprenditrice agricola, ma vuole creare un humus per fare
capire, a chi lo vorrà, che il ritorno all’agricoltura può essere una grande
risorsa per ammortizzare la fuoriuscita dal sistema consumistico ormai alle
corde, a patto che si voglia capire che cosa significhi - fuor di metafora - vivere dei frutti della terra.
La terra non è uno strumento che possiamo impiegare a nostro
piacimento, ma è l’elemento fondamentale della nostra sopravvivenza.
Ridicolizzarla, sminuire le sue prerogative e cercare di addomesticarla ai
nostri bisogni, non è mai salutare. L’uomo dovrebbe avere imparato ormai.
La fattoria si chiama Cascina Santa Brera ed è vicino a
Pavia in un luogo ameno che invita alla
riconciliazione con le cose semplici e naturali. Come una vacanza in un isola
in mezzo al mare. Ma non è alla vacanza che ci invita a
pensare la signora Irene, ma ad un diverso modo di vivere concentrato
su poche cose fondamentali depurato degli orpelli che appesantiscono la nostra
vita fino a renderla, purtroppo per molti, insopportabile. Certo, non è una vita
facile, ma dura e piena di incognite; ma in molti vogliono provarla: in Grecia i figli e
nipoti di chi anni fa si inurbò nelle grandi città lasciando il villaggio
sull’isola o sulla costa stanno tornando a vivere di pesca e agricoltura. In Italia,
molti paesini dell’entroterra ligure spopolati durante gli anni della febbre
dell’emigrazione stanno tornando ad essere abitati (e vissuti) da
extracomunitari che hanno ancora fresca l'immagine dalla fatica quotidiana.
Perché è proprio la fatica alla base dell’idea di cultura
agricola che vuole infondere la signora Irene. Non c’è niente di rilassante,
non è meglio della palestra, non aiuta a dimagrire. Magari a fine giornata non
ci si fa neppure la doccia. Di sicuro c’è solo sudore, ma i frutti non
tarderanno ad arrivare.
Scavate nella vigna, perché è lì che troverete il tesoro.
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