lunedì 4 giugno 2012

La signora dei campi che aiuta chi vuole ripartire dalla terra


In occasione della manifestazione “MiFaccioImpresa” organizzata dalla provincia di Milano con il patrocinio del Ministero per lo Sviluppo Economico, è stata premiata un’imprenditrice agricola a capo di una fattoria improntata a metodologie di coltura ed allevamento non intensive o, per dirla tutta, di permacoltura.  Niente di strano premiare un’imprenditrice di successo. La faccenda diventa curiosa quando si viene a scoprire che “MiFaccioImpresa” si propone di sostenere lo sviluppo dell’imprenditoria che punta all’innovazione.
Allora dove sta l’innovazione? Semplice nell’idea.
La signora Irene di Carpegna Brivio ha valorizzato il concetto della terra, non tanto fine a se stessa, ma in forza dell’antico vincolo che la lega all’uomo. Un vincolo particolare, di cui oggi, assoggettati alla logica della macchina che lavora per noi, si è persa la vera essenza.
Condurre una fattoria che rispetta gli animali per quelle che sono le loro necessità fisiologiche non aiuta solo a produrre alimenti di migliore qualità che posso vendere a prezzi più alti del supermercato, ma serve ad imparare che le galline possono e devono razzolare in uno spazio aperto perché quello spazio fornirà a loro il cibo migliore ricevendo, grazie ai loro escrementi,  anche il nutrimento migliore. Lo stesso vale per i maiali che devono grufolare, le mucche, le capre.  Di questo avevamo perso la memoria perché abbiamo voluto ricompattare la cultura della terra alla dimensione industriale dei pollai a batteria, degli allevamenti intensivi, delle monocolture. Oppure l’abbiamo semplificata sopprimendo le infinite varietà di frutta e verdure per concentrarci solo su quelle più spendibili per ragioni commerciali.
Oggi abbiamo gli orti in casa; ci riprendiamo spazi naturali pensando di assumere comportamenti sostenibili e rispettosi dell’esiguità di risorse che attanaglia le economie occidentali. Ma sono mode, non espressioni di una cultura che non abbiamo più.
Ha detto la signora Irene ritirando il premio che lei non vuole solo fare l’imprenditrice agricola, ma vuole creare un humus per fare capire, a chi lo vorrà, che il ritorno all’agricoltura può essere una grande risorsa per ammortizzare la fuoriuscita dal sistema consumistico ormai alle corde, a patto che si voglia capire che cosa significhi - fuor di metafora - vivere dei frutti della terra.
La terra non è uno strumento che possiamo impiegare a nostro piacimento, ma è l’elemento fondamentale della nostra sopravvivenza. Ridicolizzarla, sminuire le sue prerogative e cercare di addomesticarla ai nostri bisogni, non è mai salutare. L’uomo dovrebbe avere imparato ormai.  
La fattoria si chiama Cascina Santa Brera ed è vicino a Pavia in  un luogo ameno che invita alla riconciliazione con le cose semplici e naturali. Come una vacanza in un isola in mezzo al mare. Ma non è alla vacanza che ci invita a pensare la signora Irene, ma ad un diverso modo di vivere concentrato su poche cose fondamentali depurato degli orpelli che appesantiscono la nostra vita fino a renderla, purtroppo per molti, insopportabile. Certo, non è una vita facile, ma dura e piena di incognite; ma in molti vogliono provarla: in Grecia i figli e nipoti di chi anni fa si inurbò nelle grandi città lasciando il villaggio sull’isola o sulla costa stanno tornando a vivere di pesca e agricoltura. In Italia, molti paesini dell’entroterra ligure spopolati durante gli anni della febbre dell’emigrazione stanno tornando ad essere abitati (e vissuti) da extracomunitari che hanno ancora fresca l'immagine dalla fatica quotidiana.
Perché è proprio la fatica alla base dell’idea di cultura agricola che vuole infondere la signora Irene. Non c’è niente di rilassante, non è meglio della palestra, non aiuta a dimagrire. Magari a fine giornata non ci si fa neppure la doccia. Di sicuro c’è solo sudore, ma i frutti non tarderanno ad arrivare.
Scavate nella vigna, perché è lì che troverete il tesoro. 

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