mercoledì 27 novembre 2013

La repubblica da ri-fondare sul telelavoro

Impiegare un’ora e mezza per fare poco più di trenta chilometri imbottigliato in un flusso di automobili che si muovono a passo d’uomo tutte nella stessa direzione. Un’occasione unica per fare un po’ di sociologia spicciola e tirare qualche considerazione su che tipo di soluzione si potrebbe escogitare per rendere la vita migliore. Guardandosi intorno è facile arguire che si  tratta di persone che si stanno spostando per andare a lavorare in un grande centro urbano,  probabilmente legate ad un orario di inizio che potrebbe essere flessibilmente impostato per le 9 di mattina. Da come sono vestite di direbbe che sono tutte persone che svolgono lavori di una certa levatura. Di certo non sono legati ad una pressa o ad un tornio. Ma neppure ad una scopa o una chiave inglese. Dispongono di una buona conoscenza di strumenti informativi a vedere con quale frenesia utilizzino dispositivi wireless come tablet e smartphone.  Dal tono animato delle conversazioni telefoniche che intrattengono si può arguire che siano già attivi, “sul pezzo”, a discutere con i colleghi, trattare con clienti o a spettegolare su qualcuno, dato che anche questa pratica costituisce quel valore fondante che è la socialità del lavoro. E sebbene interconnesse con l’ufficio, la famiglia e il resto del mondo, sono sole, nel senso di assenza di altri passeggeri che condividano i tre o quattro comodi sedili che lo circondano. Migliaia di auto incolonnate che procedono a passo di lumaca che trasportano una sola persona che per altre 10 ore si siederà su una sedia o poltrona che si voglia, che abbonderà per una mezz'oretta per andare a mangiare un boccone, se ci va. E tornare a casa, facendo la strada inversa, sempre alla stessa ora.   
Dopo avere assistito alla morte per consunzione della figura del mobility manager, quel ruolo volutamente inconsistente che avrebbe dovuto apportare qualche elemento di razionalità negli spostamenti  casa ufficio dei dipendenti di medie e grandi aziende, dopo avere verificato che i timidi tentativi di incentivare un uso meno individualista dello spostamento privato proponendo corsie preferenziali al cosiddetto autopooling non hanno sortito nessun tipo di entusiasmo, dopo la constatazione che il treno pendolare metropolitano è un’esperienza che tende a disinnamorare anche il più convinto de sostenitori dei mezzi pubblici e avere, infine, decretato che nonostante i costi, la crisi e i rischi gli italiani non rinunceranno mai a privilegiare lo spostamento con il mezzo proprio, sarebbe opportuno pensare  a delle soluzioni in grado di attuare un deciso cambiamento di rotta.
Il telelavoro sembrava una parola ormai destinata a finire nello sgabuzzino delle profezie del futuro prossimo venturo, un po’ come i panorami dell’anno 2000 pieno di macchine volanti e gente in tuta da astronauta che va a lavorare con la valigetta 24 ore. Qui da noi è così, forse. Ma non in altri Paesi che hanno capito da un bel pezzo che una buona fetta di migliore qualità di vita passa proprio dalla possibilità di gestire in modo autonomo il proprio lavoro decidendo quali sono le occasioni in cui è necessario interagire fisicamente (sempre meno funzionalmente necessarie) e quelle in cui la tecnologia digitale può sopperire alla condivisione dello spazio fisico (sempre più caro). Negli Stati Uniti sono stati fatti pesanti investimenti per rendere possibile una maggiore disarticolazione dei processi lavorativi e produttivi al fine di creare una maggiore autonomia gestionale del proprio contributo agli obiettivi aziendali. L’investimento in tecnologia dell’America di Steve Jobs mostra il suo lato migliore. Il miglioramento del benessere passa anche da qui: una società maggiormente evoluta da un punto di vista informatico può gettare le fondamenta per un’organizzazione del lavoro migliore. Bisogna saperla cavalcare come stanno facendo le principali aziende del settore informatico con l’aiuto di alcuni Stati, in primis la California. Sapere usare un tablet oggi non è solo una moda, ma potrebbe essere un passo concreto verso un mondo diverso.
E’ un aspetto importante, ma in Italia non siamo preparati. Per una serie di ragioni, alcune banali come la mancanza di programmazione e di riferimenti normativi certi, resistenze a vari livelli, ma anche per l’assenza di una “Ragioneria” in grado di soppesare il dare e l’avere di valori intangibili come la serenità, la  maggiore efficienza lavorativa, il benessere familiare, la tranquillità dei figli. Purtroppo tutto questo non esiste perché non se ne avverte neppure il bisogno. Si sa per esempio che l’inquinamento di una grande città come Milano dipende in larghissima misura dal numero spropositato di auto che ogni giorno si riversa da una periferia sconfinata. Eppure non si sono imposti effettivi limiti all'afflusso di mezzi privati approntando mezzi di trasporto efficienti in grado escludere la necessità del ricorso all'auto. Da una città che stenta a riconoscere l’utilità delle piste ciclabili è arduo pensare che possa arrivare a programmare un sistema più razionale di spostamenti verso il proprio centro. Ma il gravame dell’aria inquinata e i danni per la salute non rientrano tra i conti della Ragioneria del Benessere che ogni Stato oggi dovrebbe avere.
Riformulare un sistema di organizzazione del lavoro dovrebbe rientrare nei compiti principali di un Governo di un Paese avanzato. Almeno tanto quanto trovare per tutti un’opportunità di impiego dignitoso e in grado renderci adeguate soddisfazioni. E anche su questo sappiamo che l'Italia non è che faccia molto bene. Eppure una migliore suddivisione degli impegni legati al lavoro potrebbe favorire la crescita di partite contabili in grado di alleggerire il costo del lavoro stesso aumentando allo stesso tempo la propensione all'offerta di impiego da parte delle parti datoriali. Il beneficio di un lavoro fatto da casa potrebbe inoltre, rendere maggiormente predisposte le frange deboli dei lavoratori ad accettare impieghi poco allettanti soprattutto nel settore dei servizi come addetti alle attività di call centre, personale di back office, amministrativo e contabile. Riformulare i modelli di occupazione privilegiando l'autonomia e il lavoro distanza è un processo complesso che deve passare attraverso lunghe stagioni di maturazione e gestazione che solo un’attenta regia può gestire. Alleggerendo le proprie strutture direzionali le aziende potrebbero vedere alleviati i propri costi fissi e una parte delle economie gestionali potrebbero andare a parziale contributo per la copertura delle spese per le spese della casa dei dipendenti come luce, gas e riscaldamento. Un gioco con che potrebbe trovare entrambe le parti vincenti in ragione del valore sempre positivo delle contropartite. Una sfida per i Governi dei prossimi anni. Un progetto programmatico ambizioso e prestigioso che potrebbe portare a ottimi risultati di lungo respiro a livello sociale ed economico. Ma anche di miglioramento dell'ambiente fisico in cui viviamo. Un progetto che dovrebbe già essere messo in pista a partire da oggi. Per esempio istituendo una scuola di specializzazione per giovani ingegneri gestionali laureati o laureandi dove possano acquisire i ferri del mestiere di una imponente task force che per conto del Governo verrà inviata presso le aziende per studiare e predisporre dei piani di delocalizzazione del lavoro basati sul telelavoro alle quali le stesse dovranno, obbligatoriamente a questo punto, assoggettarsi. Tempi di realizzazione? Meno di una inutile linea ferroviaria tra Italia e Francia. 

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