
Se però andiamo a vedere come si sia stia preparando da un punto di vista ideologico al tema dell'Expo, non sembra che ci sia altrettanta attenzione e fervore. Forse a parole. Decantiamo le virtù della nostra cucina, degli alimenti genuini che ne fanno parte, le nostre tradizioni e condiamo tutto con la creatività dei nostri cuochi, imprenditori del gusto, ambasciatori del made in italy e orgogli nazionali vari, ma a fatti facciamo proprio poco. A Milano, per esempio, la città che per un semestre sarà, almeno ufficialmente la capitale mondiale dell'alimentazione, le cose non vanno molto bene. Nei bar del centro si assiste sempre al solito spettacolo della famiglia di stranieri intrappolata in un tavolino esposto al pubblico ludibrio alle prese con il solito raccapricciante spettacolo di spaghetti precotti scaldati nel microonde, pizze mezze crude, panini gommosi, gelati industriali e vino estratto dal brik. Il tutto per cifre da capogiro. Parliamo di Milano, ma nel resto del Paese non è meglio: a Roma, Firenze e Venezia chi si occupa di ristorazione più che alla qualità di quello che serve pensa a buggerare turisti ignari con menu improbabili e molto lontani dall'idea di alimentazione sana, corretta e rispettosa delle tradizioni locali che l'Expo vuole dare. Nel "cerimoniale" della manifestazione non è previsto che, almeno a ridosso dell'evento, chi lo sta preparando dimostri almeno un minimo di sensibilità verso il tema che farà da sottofondo? Che cosa deve pensare della cucina italiana il turista incappato nel bar in Galleria a Milano, nella pizzeria di Roma dove servono pizza imbustate e nella gelateria di Venezia che propone gusti dai colori improbabili? Probabilmente poco, visto che quello che mangia in Italia è sicuramente più allettante di quello che mangia a casa sua, ma almeno diciamoglielo che la cucina italiana non è solo quella.
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