giovedì 6 ottobre 2011

A scuola a piedi, in ufficio in bicicletta

Che le Amministrazioni si dimostrino preoccupate per i danni creati dal traffico è abbastanza evidente. Che si adoperino veramente per arrivare ad una soluzione efficace è altrettanto chiaro e, in molti casi, prevedibile: con scarso entusiasmo e poco costanza. Pisapia, neo eletto sindaco di Milano ha cavalcato in modo convinto la battaglia di pedoni e ciclisti, ma assunta la carica, i proclami sono caduti nel vuoto. La Giunta avrebbe dovuto approfittare della pausa estiva per varare proposte più o meno sgradite ai milanesi, notoriamente poco avvezzi a lasciare l’auto a casa. Avrebbe potuto, per esempio, obbligare le aziende e gli enti pubblici con più di 800 dipendenti ad approntare i piani di trasferimento quotidiani dei propri impiegati coinvolgendo la figura del mobility manager, obbligatoria per aziende con tali dimensioni, ma mai entrato nel cuore delle amministrazioni aziendali. Ma così, prevedibilmente non è stato e, con la ripresa delle scuole, il traffico è tornato alle stelle. Un altro anno di immancabili sforamenti dei livelli di PM10 è alle porte come lo saranno le polemiche, le diatribe le denuncie che si quieteranno con lo scemare del traffico in attesa delle vacanze. Rimandare il problema è un comodo artificio per esimersi dal dovere emanare provvedimenti che immancabilmente troveranno più scontenti che entusiasti. Senza considerare che sono sempre oggetto di revisioni, manipolazioni e compromessi che ne snaturano l’intento principale contribuendo solo ad ammassare nuove leggi e disposizioni poco convinte e disattese dai più. Le politiche attendiste dello Stato italiano in materia di trasporti pubblici contribuiscono, in modo molto più deleterio, a spostare sempre più in là nel tempo lo scavalcamento di quella ideale linea che separa la mentalità del trasporto energivoro da una nuova visione del trasporto pulito, sostenibile e prevalentemente collettivo. Le nuove generazioni, e sono queste le leve che permetteranno una risolutiva riduzione del trasporto privato ed inquinante, faticano oggi a vedere i segnali di una svolta. Non notano nulla che possa suggerire che il modello al quale loro presto dovranno conformarsi è sbagliato e non coerente con la contemporaneità di città sempre più inquinate e congestionate. Faticano a trovare i germogli di una mentalità diversa, come faticano a trovare qualcuno che si prenda cura di questi germogli affinché crescano e si irrobustiscano. Proviamo a identificare i momenti topici durante i quali sarebbe opportuno lanciare gli opportuni inviti a non replicare comportamenti scorretti e adottarne di più virtuosi. Dall’età di tre anni i bambini iniziano ad andare all’asilo più o meno regolarmente e da questo momento fino alle medie i genitori suppliscono con il mezzo privato a quello che era un volta il bus, la bicicletta o il leggiadro scarpinare a piedi per andare e tornare dalla scuola. Fino a 13, 14 anni l’abitudine a spostarsi a piedi è tarpata da un eccessivo interventismo dei genitori che si offrono (a buon mercato) di fare gli autisti. Le amministrazioni cosa fanno per contrastare il dilagare di questo eccesso di motorizzazione (o per contro rarefazione dell’uso delle attività motorie proprie dell’essere umano)? Ben poco. Alcuni comuni hanno istituito, più per celia che per effettiva convinzione, percorsi protetti, comitive organizzate e sorvegliate di bambini che vengono accompagnati a piedi (i cosiddetti “Pedibus”), ma l’assenza di piste ciclabili e nessuna inibizione per prevenire gli ingorghi davanti alle scuole hanno quasi sempre decretato l’abbandono di queste semplici, ma educative iniziative. A 14 anni i ragazzini hanno la possibilità di guidare uno scooter sostenendo un corso di educazione stradale, impartito dalla stessa scuola. Il bello è che questi corsi sono stati istituiti con la scusa di insegnare ai ragazzi l’educazione stradale, trascurando che la vera educazione passa soprattutto nella responsabilizzaziione dell'uso del mezzo privato. Insegnare l’educazione stradale senza un invito a riflettere sull’uso che i futuri motociclisti ed automobilisti faranno del mezzo proprio contribuisce solo a fare crescere successive generazioni di persone che non valuteranno molte altre alternative al mezzo di trasporto individuale. L’apprendimento delle tecniche di guida deve andare di pari passo con l’acquisizione di maggiore sensibilità al ricorso all’auto o alla moto suffragato anche del dato statistico che la stragrande maggioranza degli spostamenti che si fanno in auto (più dell’ottanta per cento) potrebbe essere fatto a piedi o con mezzi pubblici. Arrivando anche prima! Senza la comprensione che il miglioramento delle condizioni dell’ambiente dove andranno a vivere i neo-automobilisti da adulti e da anziani e che accoglierà i loro figli e nipoti dipende dalle conseguenze delle loro azioni di oggi è difficile arrivare a fare maturare nelle nuove generazioni la percezione che esistono valide alternative allo spostamento motorizzato. Iniziare ad usare senza limitazioni un mezzo che inquina a 14 anni è il modo migliore per iniziare la carriera di inquinatore di domani. Basterebbe solo una più frequente sollecitazione ad usare il miglior mezzo di locomozione di cui disponiamo, le nostre gambe, per iniziare l’avventura del piccolo uomo che contribuirà al migliorare il mondo di domani. Come le goffe creature primordiali che per prime uscirono dall’acqua oggi i ragazzi potrebbero iniziare ad assaporare il tragitto casa scuola e ritorno senza dipendere dagli altri e assaggiare la sensazione di indipendenza a basso costo che se ne trae. E’ curioso constatare che le nuove generazioni sono le meglio calzate di tutti i tempi e che, per ironia della sorte, sono anche quelle meno propense a camminare. Vogliamo parlare dei motorini? La scuola dovrebbe essere in prima fila nel fornire agli studenti validi stimoli a rinunciare al mezzo proprio (fra l’altro oltremodo pericoloso e dispendioso) evitando di interrompere la loro incipiente carriera di ciclista o camminatore, qualora l’abbiano mai iniziata. Se si istituissero dei crediti scolastici per quei ragazzi che rinunceranno a patentarsi e di conseguenza a condurre un mezzo motorizzato, l’incentivo sarebbe sicuramente in grado di trasformare una condizione di perdente (senza il motorino) ad esempio di virtù oltre che di vantaggio personale. Inutile dire che il plauso delle autorità scolastiche dovrebbe proseguire con l’avanzare degli studi prevedendo anche l’elargizione di sostegni allo studio a coloro che rinunceranno a conseguire la patente durante il periodo degli studi. Anche per i patentati adulti le aziende e le autorità possono fare molto. Le prime, con l’ausilio della già citata figura del mobility manager, se presente, concordare con le aziende di mobilità urbana e interurbana condizioni di abbonamento già inserite nel pacchetto retributivo, ovviamente decorrenti dall’esplicita rinuncia a raggiungere, salvo casi di forza maggiore, la postazione di lavoro con un mezzo proprio. Inoltre passando attraverso gli opportuni strumenti di relazioni industriali anche il trattamento dei ritardi in entrata potrebbero essere “discriminati positivamente” alleggerendo le conseguenze disciplinari qualora il ritardo dipenda da oggettivi disservizi del mezzo pubblico. Le amministrazioni comunali, oltre a seguire l’esempio proposto per le aziende private, dovrebbero inibire l’incresciosa abitudine di trasformare i cortili interni di comuni, uffici, enti e ministeri in parcheggi a disposizione dei propri dipendenti, oggi ormai un vero status symbol. Se proposti con saggezza possono esserci ben altri moti di gratificazione. E poi i cortili senza auto sono anche più belli. Un fatto è certo: essere artefice dei propri spostamenti è molto allettante e una volta acquisita l’indipendenza nella mobilità diventa difficile abbandonare abitudini consolidate. Non è una questione di ritardi, di perdite di tempo di costi sproporzionati: è un’insana abitudine dura a morire. L’assunzione di scelte virtuose in tema di mobilità non origina mai “motu proprio”, ma deve essere stimolata: la remunerazione l’emulazione sono leve fondamentali. Provate a chiedere a qualche amico che ha visitato l’Olanda se non si è fatto tentare dal fare un giro in bicicletta solo per confondersi con il paesaggio. Nel novanta per cento dei casi vi risponderà di si, ma provate anche a chiedergli quante altre volte ha rimesso il sedere su una sella.

1 commento:

  1. Si, tanti parlano dei problemi del traffico e dei rischi per i bambini ma poi non escono di casa senza le chiavi della "macchina".
    Per di più i marciapiede vengono ristretti per dar spazio alle auto.
    Che dire?
    Sto pensando anche al monopattino come accessorio da pendolare (è più facile da caricare in treno).
    ciao

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