martedì 11 ottobre 2011

Com'e giovin la bicicletta!

"Com'è giovin la terra" disse l'ottimo abate Zanella contemplando il fossile. E sulla falsariga dello studioso vicentino ci va di commentare il beffardo il destino della bicicletta. Se si pensa che tra la scoperta della ruota e l’invenzione della bicicletta, quella nella sua forma attuale con i pedali che trasmettono il moto al pignone della ruota posteriore, sono passate molte migliaia di anni sorge spontaneo chiedersi come mai si sia fatto trascorrere così tanto tempo senza che nessuno arrivasse al fatidico “eureka”. Leonardo invero aveva visto giusto, ma già allora qualcuno aveva convenuto che non valeva la pena investire più di tanto su quel veicolo a due ruote e il progetto tornò nel dimenticatoio. Per riapparire qualche secolo dopo, siamo alla fine del ‘700, ma l’assenza dei pedali che ne garantiva la semovenza faceva si che il cavallo risultasse comunque ancora più pratico. Per giungere a quel meraviglioso strumento che ancora oggi non ha rivali nell’ottimizzare le energie per profuse dall’uomo per spostarsi, bisognerà arrivare quasi alla fine del secolo XIX. Ma, destino bieco e sciagurato, chi si trova la bicicletta a contenderle il primato di mezzo di trasporto del domani? Lei, la famigerata automobile. Per ironia della sorte la bicicletta è nata assieme al mezzo di trasporto a motore termico, ma da allora, e sono passati più di cento anni, un vero rapporto di pacifica convivenza non si è ancora riuscito ad instaurare. Eppure sarebbe bastato un briciolo di immaginazione in più per arrivare a concepire la bicicletta, uno strumento geniale come la ruota, ma semplice e replicabile stesso tempo. Talmente semplice che se ne sarebbe sicuramente potuta costruire una già dai tempi della civiltà egizia: Iegno per il telaio, una cinghia di pelle per la trasmissione come anche una pelle cucita in modo da assomigliare ad un copertone come ruota. Volete proprio che quei diabolici ingegneri egizi che tiravano su le piramidi senza neppure chiedere aiuto agli extraterrestri non fossero in grado di inventarla. No, niente. Allora gli etruschi, geniacci italici bravi a lavorare il ferro e abili nel concepire macchine e congegni? Niente, neanche loro. E così i fenici, i Maya, neppure i cinesi, neppure loro. E i barbari? Suvvia! Sempre alla ricerca di modi per spostarsi più velocemente possibile, ma niente neanche loro, sempre in sella a quel cavallo. Pazzesco! Un’invenzione che stava dietro l’angolo della storia e che avrebbe potuto sicuramente cambiarla. E allora proviamo ad immaginarci questa ucronia basata sulla bicicletta. Partiamo dal mondo classico: la maratona non sarebbe diventata la gara podistica, ma sarebbe stata un percorso ciclistico neppure tra i più impegnativi, nel senso che Filippide per comunicare la vittoria agli ateniesi avrebbe preso sicuramente la bicicletta piuttosto che farsi tutti quei chilometri a piedi. E sarebbe sopravvissuto. Passando poi all’epoca romana è fuori di dubbio che Annibale sarebbe stato l’inventore della mountain bike e Giulio Cesare avrebbe raggiunto i territori della Gallia in ancor meno tempo di quanto normalmente impiegava. Ma forse già allora i francesi si sarebbero incazzati. Il rovescio della medaglia è che non ci sarebbero state le corse con le bighe con grande rammarico dei produttori dei kolossal hollywoodiani. Non parliamo di Gesù che avrebbe aumentato la sua zona di influenza superando quelli che sono gli attuali confini della Terra Santa e risparmiandosi anche molte paia di sandali. E San Francesco quanta gente in più avrebbe potuto convertire alla sua regola se si fosse spostato in bicicletta? Che destino avrebbero avuto i grandi esploratori se avessero potuto spostarsi con la bicicletta? Marco Polo se non fosse andato in Cina in bicicletta, sicuramente da colà ci sarebbe tornato perché i cinesi avrebbero potuto già potuto inventarla. Sarebbe andata male invece con la scoperta dell’America perché Colombo avrebbe provato a “buscar el ponente por el levante”, ma si sarebbe fermato davanti allo stretto di Bering, rinunciando a scoprire il nuovo continente. Bicicletta o no, i conquistatori spagnoli non avrebbero, per fortuna, fatto più danni di quanto in realtà fecero perché sarebbe stato poco agevole pedalare nella foresta pluviale, soprattutto tenendo conto dell’indolenza dei notabili spagnoli dell’epoca. Anche l’iconografia classica ne avrebbe portato le conseguenze: un San Giorgio in bicicletta che inforca il dragone non sarebbe stato così metafisico come quello che poi in definitiva è, ma sicuramente più pratico. E che impressione farebbe ai romani(d’oggi) un Marco Aurelio in bicicletta? Il Giro d’Italia sarebbe oggi una rievocazione storica,i corridori figuranti come in un’edizione del palio di Siena o di Asti; i ciclisti avrebbero opportunità di specializzazione alla pari dei liutai che riscoprono e costruiscono strumenti ormai perduti. Ma tutto questo è irreale; la realtà ci dimostra che la bicicletta non è così vecchia, anzi è ancora giovane e con un grande futuro davanti a se. Sono convinto che sopravvivrà alla sua storica antagonista.

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