giovedì 14 ottobre 2010

L'economia della strada


Alcuni anni fa ebbi la possibilità di partecipare ad un incontro organizzato dall’amministrazione comunale, allora di sinistra, della città in cui vivo, per discutere se e dove fare le piste ciclabili. L’impressione che ricevetti fu quella di un’amministrazione distratta da altre questioni che dedicava, suo malgrado, del tempo ad ascoltare dei tipi un po’ eccentrici che proponevano un proprio modo di gestire i trasporti in una piccola città con meno di sessantamila abitanti.
Mi permisi di fare due osservazioni. La prima di fondo,forse un po’ troppo azzardata che enunciava un principio, a mio avviso basilare per il quale se l’obiettivo era quello di ridurre il traffico di auto private in una città, l’unica via da percorrere era quella di togliere o limitare il primo presupposto che permette di usare una macchina: la strada. In altri termini prendendo in prestito un concetto degli economisti di scuola scozzese, se la strada è una risorsa limitata l’ingresso di un novo concorrente, la bicicletta, avrebbe comportato l’insorgere di un modus vivendi accettabile tra automobilisti e ciclisti. Mi azzardai a fare questa obiezione a fronte del fatto che l’orientamento del comune era quello di fare piste ciclabili sottraendo fette di marciapiede pedonale per non intaccare l’ampiezza della carreggiata delle strade collaterali. Una guerra tra poveri, praticamente.
La seconda osservazione scaturì dalla domanda che l’assessore alla mobilità pose in merito a dove si ritenesse opportuno costruire piste ciclabili e anche in questo caso mi lanciai in azzardati postulati affermando che se l’intento dell’amministrazione era quello di sottrarre traffico motorizzato agli spostamenti cittadini, una pista ciclabile sarebbe dovuta passare laddove esistessero affermati e robusti flussi di movimento come presso ospedali, scuole, uffici pubblici e centri commerciali. Dato che allora era in fase di costruzione il nuovo ospedale e sorgevano centri commerciali come funghi la mia enunciazione mi sembrò non poi così fuori luogo.
Da allora sono passati alcuni anni, l’amministrazione è cambiata, l’ospedale è stato terminato ed è diventato, come era prevedibile, un mostruoso generatore di traffico di automobili, di piste ciclabili ne sono state fatte poche e in malo modo e, soprattutto, inutilizzate in quanto tracciate su percorsi del tutto marginali ai grandi flussi di traffico cittadino. Centri commerciali? Ovviamente. Due per la precisione e per potere renderli accessibili ai clienti è stato necessario un ulteriore contributo di asfalto e cemento in termini di strade, rotonde e cavalcavia. Di piste ciclabili, manco a dirlo, neppure l’ombra.
Ho ripensato a quella grottesca ed inutile pantomina di rappresentazione degli interessi collettivi, leggendo un articolo curato da Alfredo Dufruca e Damiano Rossi, scaricabile integralmente da Eddyburg.it dall’aulico titolo di “la città gentile” e che prende spunto dall’esperienza del comune di Settimo Milanese, un piccolo centro alle porte del caos della grande città che ha saputo dare un segnale concreto dell’impegno dell’amministrazione per la riduzione del traffico di automobili diventando un modello virtuoso di diffusione dell’uso della bicicletta. Senza realizzare centinaia di chilometri di piste e senza particolari investimenti in infrastrutture, ma semplicemente insegnando le regole della buona creanza a chi va per strada e punendo coloro che le trasgrediscono. Solita guerra santa tra il ciclista circondato da un alone di mistica santità e l’automobilista diabolico prevaricatore senza leggi? No, o meglio, forse solo in parte. Se chi va in macchina si sente autorizzato ad assumente atteggiamenti aggressivi, non sono lo si punisce, ma si mettono in pratica quelle trasformazioni che inducono l’autista malanimo a diventare più gentile. Come? Esattamente come mi immaginavo io qualche anno fa e come Dufruca e Rossi espongono nel loro articolo ispirato alla realtà di Settimo Milanese e cioè che "per contenere il dilagare di comportamenti aggressivi bisogna provvedere ad una attenta rigerchizzazione delle strade, con il severo ridimensionamento degli spazi di circolazione e con l’inserimento di elementi diffusi di controllo dei comportamenti degli automobilisti".
Che cosa insegna poi l’esperienza di Settimo Milanese che desta l’attenzione dei due giornalisti? l'attenzione verso l’organizzazione urbanistica che non deve essere “segregata e segregante” e la prevenzione "nei confronti del gigantismo dei centri commerciali che concentrano molte funzioni in pochi luoghi lontani costringendo a spostamenti lunghi e motorizzati". Esattamente quel tipo di riflessione che avevo invitato a fare all’imbelle assessore che ha preferito assistere ad uno scempio urbanistico territoriale di una piccola città circondata dalla campagna piuttosto che andare a contrastare la tracotanza degli automobilisti togliendoli qualche metro quadrato di asfalto.
Un altro esempio di città che ha saputo impartire regole ferree per sopravvivere al traffico è Berlino. In questo caso non si parla di un piccolo centro di periferia, ma di una delle più grandi, belle, popolose e vitali città d’Europa. E’ uscito sul Corriere della Sera di martedì 12 Ottobre un articolo di Danilo Taino, corrispondente da quella città per il giornale che mette in luce, ancora una volta, come gli sforzi per addivenire ad una riduzione del traffico su quattoruote e ingentilire il volto della città anche grazie al maggiore ricorso alla bici (a Berlino una persona su otto si muove pedalando), siamo passati attraverso una capillare azione di rispetto delle regole. Esempi: abbigliamento di sicurezze per il ciclista, luci funzionanti, rispetto delle precedenze a favore dei ciclisti. A questo proposito, voglio infierire ancora una volta sul povero ex-assessore all’ambiente del mio comune: pare che a Berlino abbiamo scoperto che costruendo le piste ciclabili usando il sedime stradale (e pertanto togliendo spazio vitale al movimento delle macchine), non solo si riduca il traffico, ma si garantisca una migliore visibilità a chi circola sulle strade evitando investimenti di ciclisti sbucati improvvisamente dal marciapiede. Anche più sicuro.

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