sabato 27 novembre 2010

Il traffico urbano. Alcuni consigli per ridurlo.


A Milano, un residente su due dichiara di preferire la propria auto per andare a lavorare. E' veramente incredibile che nessuna politica di trasporto pubblico, nessun ecopass e tutte le ammonizioni dell'Unione Europea abbiamo portato la cittadinanza ad avvertire il peso e le conseguenze dei propri comportamenti.
Questo primato rende il capoluogo lombardo una delle città più congestionate ed inquinate al mondo, ma soprattutto evidenzia le manchevolezze dell’amministrazione comunale che brilla per scarsa inquietudine verso il problema e, al di là dei proclami, per totale assenza di idee.
Io invece qualche ideuzza l’avrei. Niente di sofisticato. Niente che apra i cancelli a grandi lavori, grandi appalti e grandi imprese. Solo qualche accorgimento che nasce da un’osservazione, molte volte forzata, di come il traffico posso essere parzialmente eliminato mediante semplici ed economici accorgimenti e provvedimenti.
Ve li illustro scandendo la giornata dell’automobilismo forzato:
La scuola: accompagnare i bambini, soprattutto se ancora piccoli, è la prima incombenza giornaliera del genitore automobilista. Le scuole non hanno parcheggi perché giustamente a scuola vanno bambini e ragazzi che non guidano.
Tuttavia davanti alle scuole di tutta Italia alle 8 si formano degli ingorghi spaventosi di genitori automobilisti che vorrebbero accompagnare i propri figli, non a scuola, di più: al banco se fosse possibile. Normalmente i vigili si aggirano nei paraggi, non per dirimere gli ingorghi, ma per satollarsi di multe durante quei 5/10 minuti di auto malamente parcheggiate per potere accompagnare, a piedi stavolta, i figli a scuola.
Soluzione proposta: alcuni aeroporti e stazioni nordeuropee hanno istituito le “kiss zones” che sono dei parcheggi dove chi accompagna qualcuno che deve prendere un treno o un aereo può fermarsi giusto il tempo di un saluto, un bacio appunto. Esaurite i brevi convenevoli si riparte senza pagare nulla e senza creare ingorghi. Come si può applicare nel caso di una scuola?. Creare una kiss area davanti alla scuola dove i bambini, dopo il bacio a mamma e papà scendono velocemente dalla macchina che altrettanto velocemente disimpegnerà la zona adibita per fare spazio ad altre automobili. I bambini vengono sorvegliati ed inquadrati da un nonno vigile che ad ondate li accompagnerà dentro la scuola. Lo stesso all’uscita da scuola. Costi: disegnare le strisce per terra mettere qualche cartello, formare i nonni vigili che svolgeranno la loro opera in qualità di volontari.
I comuni poi dovrebbero incentivare il “pedibus”, ovvero gruppi di bambini guidati da adulti o ragazzi volontari che percorrono determinati itinerari coinvolgendo nella carovana altri bambini che si aggiungono strada facendo. Questa iniziativa è tanto bella quanto poco utilizzata. Sei comuni incentivassero maggiormente il ricorso al pedibus avremmo bambini più sereni, più sani, più rispettosi dell’ambiente. I genitori sarebbero meno stressati e rassicurati dal fatto che i bambini sono controllati. Il traffico, ovviamente, ne gioverebbe. Come dicevo, malauguratamente, queste iniziative non hanno molto successo e dopo poco tempo cadono nel dimenticatoio. A mio avviso per incrementare il ricorso è necessario coinvolgere gli insegnanti. I presidi di istituto quanto presentano i servizi che la scuola offre ( i cosiddetti “open school”) dovrebbero fare presente che esiste un servizio di accompagnamento sorvegliato dei ragazzi. Gli insegnanti dovrebbero fare comprendere ai genitori che la valutazione generale dell’alunno dipenderà anche dal grado di partecipazione a queste attività.
I motorini: l’Italia vanta una percentuale di minorenni motorizzati unica al mondo. E’ veramente incomprensibile che in un Paese come il nostro dove l’apprensione materna nei confronti dei figli sfiora il patetico si permetta a dei giovani immaturi di scorazzare su piccoli e fragorosi bolidi semplicemente per andare a scuola o effettuare spostamenti che potrebbero essere tranquillamente affrontati a piedi o in bicicletta. L’approccio precoce allo spostamento motorizzato è deleterio per la salute, per il traffico per l’inquinamento. Un ragazzino che corre oggi in motorino, sfreccerà domani su una moto o su una macchina più potente appena avrà l’età per guidarla. Il ricorso al motorino è diseducativo innanzitutto perché è inutile, dispendioso, pericoloso ed inquinante. Le scuole dovrebbero precludere ai motorini l’ingresso all’interno dei cortili e provvedere a fare rimuovere i mezzi parcheggiati in modo irregolare davanti alla scuola. Gli insegnati, anche in questo caso, dovrebbero fare capire ad alunni e genitori che chi preferisce venire a scuola a piedi o in bicicletta è maggiormente apprezzato.
Le attività pomeridiane: le attività ricreative, sportive ed educative svolte dai nostri ragazzi il pomeriggio obbligano i genitori a ulteriori sedute al volante per accompagnare ed andare a prendere i ragazzi ai corsi di tennis, nuoto, calcio, musica, danza. Tanto traffico inutile oltre ad essere una delle principali cause di stress dei genitori. La soluzione anche in questo caso potrebbe essere semplice: obbligare gli organizzatori dei corsi a munirsi di adeguati automezzi come pulmini per andare a prelevare a domicilio gli allievi e gli atleti. I maggiori oneri sostenuti dagli organizzatori dei corsi verrebbero ripagati da una piccola quota incrementale per pagare i costi del leasing degli automezzi. Inoltre il tempo di percorrenza dall’abitazione al luogo dove l’attività viene svolta potrà essere impiegato per attività di ripasso, preparazione e rendicontazione della attività svolte. Lo stesso ovviamente al ritorno. I comuni potrebbero fare la loro parte offrendo i propri mezzi come per esempio gli scuolabus inutilizzati nel pomeriggio.
La bicicletta: la bicicletta è il mezzo che è potenzialmente deputato a risolvere il problema del traffico e dell’inquinamento. Tuttavia essa continua ad essere avversata. Non direttamente, ma indirettamente in quanto la generalizzata resistenza delle amministrazioni nel creare contesti favorevoli alla circolazione su due ruote non ne favorisce la diffusione e non contribuisce a sviluppare un atteggiamento benevolo nei suoi confronti.
Alcune amministrazioni hanno investito in piste ciclabili e oggi stanno raccogliendo i frutti di queste politiche lungimiranti. Altre stanno cercando di recuperare il tempo perduto. Molte altre invece, come il Comune di Milano, non hanno ancora deciso cosa fare se non sporadiche iniziative che hanno più un sapore propogandistico piuttosto che tangibili segni di un deciso impegno verso modelli originali di mobilità sostenibile.
Senza considerare le piste ciclabili il cui sviluppo dovrebbe assecondare logiche centripete e non centrifughe – i flussi di pendolari vanno dalla periferia al centro città e pertanto non serve costruire piste ciclabili solo in centro, possono coesistere altri strumenti per facilitare la dissuasione all’uso dell’auto. Per esempio se la rete di percorsi ciclabili è insufficiente o non serve zone ad altra densità di traffico, come scuole, ospedali, uffici e tribunali si possono studiare itinerari stradali che in determinati orari della giornata risulteranno essere completamente chiusi al traffico motorizzato. Se la conformazione orografica della città presentasse rilievi di una certa entità (per esempio Roma) tali da rendere impegnativa la percorrenza in bicicletta da parte di persone poco allenate, autobus urbani in disuso opportunamente adattati e resi conformi alle normative sulle emissioni, potrebbero essere rimessi in strada per svolger servizio navetta traghettando bici e ciclisti fin sulla sommità del pendio.
Il connubio treno-bicicletta è un’altra frontiera verso la quale le amministrazioni si avventurano con un certo timore. Eppure se si riuscisse a riversare sulla rotaia solo un quarto del traffico veicolare in entrata in una città come Milano, i problemi di traffico e inquinamento potrebbero essere visti sotto una luce diversa. La possibilità di trasportare la bici al seguito è un’opportunità interessante che non viene adeguatamente promossa e sfruttata. I comuni che ricevono consistenti flussi di pendolari dovrebbero attivarsi lavorando di concerto con le aziende e con le ferrovie per favorire il ricorso da parte dei pendolari al treno fino a offrire a condizioni particolarmente vantaggiose abbonamenti ferroviari mensili abbinati alla possibilità di trasporto della bicicletta. Le ferrovie, per contro, dovranno impegnarsi a sostenere l’onere delle municipalità per lo sviluppo della rete di piste ciclabili. Questa auspicabile collaborazione tra aziende ferroviarie, amministrazioni locali e aziende potrebbe portare alla creazione di consorzi finalizzati alla progettazione e realizzazione di sistemi integrati di viabilità sostenibile.
Sempre dalla ferrovia potrebbe arrivare un grandioso aiuto a quei capoluoghi di provincia o di regione di medie dimensioni che soffrono di problemi di traffico ormai peggiori delle metropoli. Mi riferisco alla possibilità di adibire i tratti sub-urbani delle linee ferroviarie di terzo livello (ce ne sono tantissime in Italia, ancora efficienti, benché sottoutilizzate) a metropolitane leggere con l’intento di offrire una valida alternativa al mezzo privato per raggiungere il centro. I convogli adibiti al servizio, inoltre, dovrebbero disporre di un carro merci per il trasporto di merci destinate alle attività commerciali del centro, liberando le città dal traffico di veicoli commerciali che risulta essere sempre più intenso, inquinante, pericoloso. Quest’ultima possibilità permetterebbe il recupero dei suggestivi scali merci che per anni hanno sostenuto i traffici di merci del nostro Paese e ora giacciono in desolato abbandono.
Limitazione all’uso del mezzo privato: anni fa venne introdotto in azienda la figura del mobility manager, un ruolo aziendale che attraverso convenzioni con le amministrazioni locali, le aziende di trasporto e i sindacati avrebbe dovuto armonizzare ed ottimizzare gli spostamenti dei dipendenti e collaboratori con l’intento di diminuire il ricorso al mezzo privato. La totale mancanza di esempi virtuosi di applicazione di queste direttive mi porta a pensare che l’esperimento sia stato abbastanza deludente. Questo per la semplice ragione che l’adesione avviene su basi volontarie e il distacco degli italiani dal proprio mezzo motorizzato e dalla supposta sensazione di indipendenza che procura continua ad essere molto difficile. A mio avviso il problema della mobilità potrà essere risolto solo con efficaci provvedimenti che limitino sostanzialmente la facoltà di avvalersi dell’auto propria come alternativa al mezzo pubblico. A sostegno di quanto affermo, ripropongo il dato riscontrato a Milano, dove esiste un sistema di mezzi pubblici tutto sommato valido e efficiente, una persona su due preferisce la propria auto per andare a lavorare. Fino a che esisterà la possibilità di scegliere il problema non potrà essere risolto: a Londra se voglio andare in centro sono costretto ad andare coi mezzi, a piedi o in bicicletta o essere uno sceicco saudita. A Milano posso andare in centro pagando un controvalore tutto sommato abbordabile. Sempre in Gran Bretagna la possibilità di andare allo stadio in macchina è preclusa, semplicemente perché gli stadi non hanno più i parcheggi, ma solo servizi pubblici efficienti.
La propensione all’uso del mezzo proprio è un aspetto culturale: educando le nuove generazioni ad una visione più rispettosa dell’ambiente sarà più facile mettere in pratica politiche di mobilità collettiva e sostenibile senza pericolo che queste vengano avversate. L’educazione dovrebbe partire dalla scuola insegnando a bambini e ragazzi che una crescita incontrollata della mobilità individuale non è più sostenibile. Sarebbe inoltre opportuno innalzare l’età per permettere ai ragazzi di guidare motorini o altri mezzi a motore o di limitare gli spostamenti motorizzati solo in determinate circostanze o a fronte di particolari necessità. Un provvedimento doveroso anche per la salvaguardia dei giovanissimi dalle spaventose conseguenze degli incidenti in motocicletta che evidenzino ormai una quota preponderante rispetto alle automobili. Doverso, ma molto difficile visto lo strapotere dei costruttori italiani di veicoli a due ruote.
Le amministrazioni dovrebbero assumersi la totale responsabilità nel valutare l’impatto di traffico in ogni tipo di iniziativa che intendeno intraprendere e applicare politiche di mobilità collettiva orientate al contenimento del traffico privato: dalla concessione di un permesso per un centro commerciale, all’insediamento di un nuovo ospedale, dalle manifestazioni culturali agli spettacoli. Nel caso dei centri commerciali, per esempio, i gestori delle attività dovranno farsi carico di mettere in pratica sistemi gratuiti di trasporto pubblico (navette, pulmini) per il trasporto dei clienti e la consegna a domicilio delle merci acquistate. In occasione di spettacoli, concerti, partite o altri eventi capaci di attirare un pubblico numeroso dovranno anche essere impartite le disposizioni per permettere il raggiungimento del luogo della manifestazioni, facendo presente che l’accesso con mezzi propri è vietato. E se proprio non si vuole vietare, farlo pagare uno sproposito.

2 commenti:

  1. hai ragione
    ma quando avremo spirito sociale?
    speriamo

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  2. Infatti, tutto quello che mi immagino potrebbe accadere solo con quello che tu auspichi.

    Un caro saluto

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