venerdì 12 novembre 2010

Gioco responsabile, Stato irresponsabile

Un tempo il gioco era appannaggio della facoltosa borghesia che ricercava nelle fastose sale di Casinò rinomati e prestigiosi il brivido dell’azzardo, piacere ormai svanito e svilito dall’affermarsi dei canoni omologati del benessere: la posizione, il potere, la famiglia e la reputazione.
La possibilità di affermare il proprio potere e la solidità delle posizioni patrimoniali e finanziarie assumendo la decisione di affidare alla sorte l’accrescimento o il depauperamento della propria fortuna diventa un emblema di ricchezza e sfrontatezza che solo chi non ha obblighi nei confronti di alcuno può assumere. L’”extrema ratio” dell’atto di puntare al gioco diventa la sfrontata sfida nei confronti di chi da quel mondo era escluso, una sfida che declamava: sono così ricco che posso decidere di diventare un misero straccione nel giro di una serata!
Oggi le cose sono cambiate: le grandi fortune molte volte si perdono nelle non sempre illuminate vie dei paradisi fiscali, delle attività all’estero, dei finanziamenti occulti. Attività azzardate, rischiose da altri punti di vista.
Oggi il gioco d’azzardo è una piaga sociale. Se un tempo i repentini crolli finanziari di benestanti viveur diventavano il soggetto di romanzi d’appendice o feuilleton popolari, oggi una famiglia che scopre di avere un componente affetto da ludopatia, quando e se lo scopre, è ormai sull’orlo della rovina. Una persona affetta da mania compulsiva del gioco comincia ad intaccare il reddito, il patrimonio, a minare i presupposti di stabilità finanziaria della sua famiglia. Quando questo avviene, avviene in silenzio perché chi mette la mano sulla bocca del povero disgraziato e gli impedisce di urlare la sua disperazione è il miraggio della grande vincita che metterà tutto a posto. Ma la vincita non arriverà mai e le cose a posto, le metteranno parenti, familiari ed amici. Se mai ci riusciranno.
Le occasioni per diventare un dipendente dal gioco sono tante: si gioca per strada, al bar, alla stazione, negli autogrill, al computer. Insomma non c’è più bisogno di nascondersi nelle bische clandestine per sfidare la sorte e neppure il casinò, con il suoi scialbi cerimoniali da belle epoque. Oggi c’è la concorrenza di quegli squallidi capannoni periferici stipati di macchinette e gente che si rovina le giornate a buttare via quattrini su quattrini per avere nulla in cambio.
Chi invece ha molto in cambio è lo Stato che è riuscito a creare un sistema di riscossione immediata collegato a tutti i punti reali e virtuali della scommessa legale. Un investimento di milioni di euro per creare un’infrastruttura informatica deputata alla contabilizzazione delle giocate,delle vincite, dei proventi destinati a se stesso , degli aggi da devolvere ai gestori. Quando si dice che lo stato punta all’informatizzazione. Peccato che quando la fa seriamente, lo faccia solo per il proprio tornaconto.
Nella provincia di Milano le slot machines da sole inghiottono ogni giorno un milione e seicentomila euro. Una cascata di un milione e seicentomila monetine che ogni giorno allagano bar e altri locali pubblici. Senza contare lotterie, tagliandi da grattare, scommesse e poker on line, l’altra frontiera dell’azzardo dove la tua sconfitta e l’inizio della rovina non è neppure accompagnato dal ghigno beffardo e compito del croupier.
Un mondo di derelitti che si aggirano tra tabaccherie, sale scommesse, bar e autogrill attirati dai nuovi pescecani dell’azzardo, tipi untuosi che hanno riproposto le proprie competenze di biscazzieri clandestini in attività lecite quali giochi di carte on line, sale di scommesse, piccoli casinò suburbani in partnership con un socio che tutti vorremmo avere: lo Stato
Il mondo del gioco oggi genera cifre pazzesche che contribuiscono alla casse dello Stato in misura molto elevata. Non si tratta di convincere i cittadini di pagare le tasse o di perseguire gli evasori. Un esercito di benevoli pagatori che contribuiscono alle necessità dello Stato con importi superiori all’entità delle imposte che legittimamente sono, o più spesso sarebbero, tenuti a versare. Senza che lo Stato faccia nulla per stanarli o perseguirli con cartelle esattoriali, fiamme gialle o ufficiali giudiziari.
E che cosa fa lo Stato quando si accorge che forse non è così lecito guadagnare sulla dabbenaggine di poveri diavoli? Ci manda in onda lo spot che invita a giocare responsabile.
A giocare responsabile. A giocare, certo, ma responsabile. E che cosa vuol dire? Gioca quel tanto che ti serve per vivere tranquillo. Ma se gioco poco non vinco perché le vincite seguono la legge dei grandi numeri. Per vincere alle lotterie istantanee dovrei giocare per 12 volte al giorno per almeno 10 anni. Giocare responsabile che cosa significa? Che posso giocare solo per un anno? Solo una volta al giorno per 10 anni? Che cosa devo fare per vincere? Spendere una certa somma ogni giorno, uscire senza portafoglio? Dare tutti i miei guadagni a mia moglie?
Il ragionamento peloso del comunicato insinua, in chi lo vede, il significato positivo del gioco, morigerato e responsabile che alla fine premia il buon padre di famiglia con vincite in grado di sollevare il tenore della famiglia. Non è cosi! Le vincite non arrivano e il tenore della famiglia degrada verso livelli di povertà. Oltre a fornire esempi genitoriali abbruttiti dal vizio e isolati dal mondo.
Se lo Stato fosse civile e non irresponsabile limiterebbe con mezzi efficaci la possibilità che un cittadino possa sprecare al gioco i soldi che servono per mandare avanti la famiglia. Ci possono essere molti mezzi. Uno addirittura banale e consiste nel verificare tramite un supporto elettronico, per esempio la carta d’identità di nuovo tipo dotata di microchip, se il giocatore ha totalizzato una certa cifra spesa nell’arco della giornata o della settimana. Tutti i dispositivi atti a ricevere giocate e tutti gli operatori addetti ad accettare scommesse o vendere tagliandi gratta e vinci non potranno rilasciare nessun servizio di gioco se dalla lettura delle carta risultasse che il titolare ha superato il suo plafond. Se si sgarra scattano le sanzioni fino al ritiro delle licenze. Se una vincita viene conseguita oltre il plafond , perché qualcuno ha fatto il furbo, è nulla.
Pensate che questo possa bastare a creare i presupposti del”gioco responsabile”? No, perché nessuno è responsabile davanti al demone del gioco e dell’azzardo, ma almeno non si mandano in bancarotta le famiglie.
Pensate che lo Stato possa implementare un sistema del genere? No perché ci sono “difficoltà insormontabili e costi elevati”. A mio giudizio si spenderebbe un’inezia rispetto agli investimenti fatti per le infrastrutture di controllo delle giocate e di riscossione dei canoni di concessione esistenti.
Se lo Stato fosse responsabile e non irresponsabile costituirebbe un fondo per le famiglie vittime di persone che si sono giocati le mutande perche sono vittime due volte: di un padre, di una madre, un marito, una moglie o un figlio debole e infiacchito da un vizio compulsivo e di uno Stato insensibile e incapace di controllare la propria ingordigia. Esistono fondi che intervengono per le vittime della strada, ai quali tutti contribuiamo con parte del premio dell’assicurazione, fondi per le vittime dell’usura, vittime del racket, ma non un fondo per le vittime del gioco. Eppure ci vorrebbe poco a costituirlo: una minima frazione degli importi delle giocate andrebbe ad incrementare una disponibilità per dare aiuto e sollievo per quelle mogli quei padri che scoprono di avere un congiunto coperto di debiti, inseguito da creditori o peggio e non sanno spiegarsi perché.
L’invito a giocare responsabile continuerà ad essere disatteso almeno fino a quando non diventerà responsabile chi va pontificando senza dare il buon esempio. E lo spot non era neanche tanto bello.

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