La questione sul reddito di cittadinanza ha sviluppato una decisa contrapposizione tra detrattori e sostenitori basata su luoghi comuni e opinioni preconcette. Nulla osta, però, ritenere che sia necessaria una misura volta a sostenere economicamente i settori della popolazione maggiormente colpiti dai fattori scatenanti della crisi dell'Economia Globale. Ma quali devono essere i criteri di concessione? È facile attaccare chi sostiene che il reddito debba essere dato a chi non lavora: con la certezza di una somma garantita tutti i mesi la voglia di trovarsi un lavoro vero va a farsi benedire. Al massimo si ambisce a un lavoro in nero, che per molti è quasi sempre la strada obbligata. È anche consolidata l'argomentazione che il reddito non vada solo a disoccupati, ma anche a persone che un lavoro non potranno mai averlo perché disabili o inadatti a lavorare per motivi non dipendenti dalla loro volontà. Quello che manca è una visione d'insieme che permetta di ottenere dei benefici duraturi dalla grande massa di denaro pubblico che verrà, anche nel 2023, versato a favore della misura a sostegno del reddito. Una soluzione al dilemma potrebbe essere rinvenuto spostando la prospettiva da un diverso angolo di visuale. Puntiamo il focus allora su quello sterminato esercito di lavoratori in nero presenti in
tutti i settori dell'economia da nord a sud, da est a ovest, che prolifera grazie all'altrettanto smisurato settore dell'economia sommersa che in base alle ultime stime totalizza oltre 100 miliardi di Euro. E in 100 miliardi di tasse evase, contributi non versati e oneri per la sicurezza non sostenuti, quanti piccoli imprenditori fanno girare guadagni in nero e assumono lavoranti a 500 o 600 euro dati in contanti senza tanti complimenti? Tanti, tantissimi. Inafferrabili, introvabili. Se allo Stato stesse a cuore il benessere di tutti i propri cittadini, è giusto pensare che una sanguinosa, cruenta e implacabile lotta all'evasione si sarebbe già dovuta combattere ed essere adesso nella fase della conta dei morti e dei feriti, ma questa volontà non c'è e molto probabilmente, non ci sarà mai. Esemplifichiamo quello che potrebbe essere la nuova ipotesi di sostegno al reddito: ammettiamo che il datore di lavoro in nero non possa pagare più di 500 o 600 euro il suo dipendente. La proposta che potrebbe fare lo Stato è quella di regolarizzare la posizione del collaboratore irregolare concedendo una provvidenza che coprirà tutti gli oneri derivanti dalla regolarizzazione per un periodo di uno o due anni. In questo caso i fondi destinati al reddito di cittadinanza verrebbero impiegati per fare emergere una parte del lavoro sommerso. E i benefici non finirebbero qui: oltre all'ex dipendente in nero che finalmente ha una sua posizione alla luce del sole con tutto quello che ne deriva in termini di sicurezza e previdenza, il suo datore si toglie da una situazione di illegalità senza pagare sanzioni per le irregolarità precedenti, immunità che beninteso perderà nel momento che non dovesse più mantenere l'impegno di pagare in modo regolare il suo dipendente. Infine anche le casse dello Stato ne avrebbero beneficio grazie all'emersione di una considerevole fetta di reddito da lavoro che in precedenza era sconosciuta al fisco. Provvedimento semplice e efficace? Il buon esito non è garantito, ma un tentativo serio di fare emergere il lavoro nero deve essere fatto. Chi governa deve intervenire con decisione su questa piaga. La latitanza da questo terreno è colpevole manchevolezza e l'accusa è quella del furto del futuro e della sicurezza a danno di milioni di lavoratori.Attraverso le nostre scelte consapevoli è possibile diminuire i consumi per l'affermazione di un'economia sostenibile ed equa. Dai modelli di comportamento, ai trasporti e alle letture tutto è materia per un approfondimento che porti a discriminare tra l'utile e il vacuo, tra la sostanza e l'effimero, tra il modello virtuoso e il pedissequo seguito a richiami di inconsistente benessere.
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