"Io non dovevo essere qui. Nessuno mi sente. Nessuno mi troverà mai" Se lo era detto già tante volte, ma adesso,
guardando in alto e vedendo sopra di lui uno squarcio di cielo blu scuro
attraversato da nuvole veloci, lo diceva con un groppo alla gola che prima non
aveva provato. La fine era vicina. Racchiuso in un crepaccio con una
frattura esposta alla gamba che almeno non sanguinava più, non avrebbe passato
la notte gelida che l'attendeva. Ma che cosa avrebbe significato sopravvivere?
Nessuno lo avrebbe cercato. Sapeva che era destinato a morire inghiottito da
una fessura di ghiaccio. "Se avessi preso la macchina qualcuno avrebbe
potuto vederla ferma sul piazzale delle funivie e alla fine gli sarebbe potuto
venire in mente che c'era qualcuno che non era tornato" Ma non c'era
nessuna macchina sul piazzale e nessuno può notare quello che non c'è. Sorrise
amaramente. Era il suo lavoro non essere notato. E lo faceva bene. Arrivato al
Breuil con il torpedone da Milano come uno sciatore della domenica qualsiasi si
era accorto che molti lo guardavano con stupore misto a invidia. Poi aveva
capito. Con quel paio di sci che avevano visto scaricare dal baule della
corriera erano in molti a chiedersi come mai il proprietario non si potesse
permettere una macchina o comunque un viaggio più comodo piuttosto che una
partenza all'alba da Piazza Castello. Certo, i Rossignol: li aveva visti in una
vetrina del centro in piazza San Babila e li aveva subito comprati. Trenta mila
lire, più i bastoncini in acciaio e gli scarponi che erano l'acquisto che
l'aveva gratificato di più. Doppia cucitura, doppio allaccio. Perfetto per
sciare, ottimo per camminare in montagna e forse, ma doveva ancora
sperimentarlo, adatti per le marce di addestramento nel deserto, dove gli
ufficiali della Legione Straniera come lui dovevano esercitarsi. E il giorno
dopo, almeno per un breve tratto, li avrebbe provati. Si trattava solo di
arrivare al Plateau Rosa scendere di qualche centinaio di metri prendere i
riferimenti del rifugio Theodulo, capire che si trovava in Svizzera e poi giù
fino a Zermatt per poi arrivare in qualche modo a Ginevra per mettere in atto
il suo piano. Ma le cose erano andate diversamente.
La parete di ghiaccio davanti a lui
sembrava viva riflettendo il chiarore delle stelle. Milioni di riflessi
d’argento che si confondevano con le lancette fluorescenti del suo orologio,
rotto e ormai fermo. Quella parete di gelo sembrava invitarlo ad accoccolarsi
ai suoi piedi. Non avrebbe mai potuto risalirla. Era destinato a morire li. E
allora, si, forse e meglio sdraiarsi e guardare in alto. Il cielo era sopra lui
e le stelle che brillavano in alto erano meno fredde della parete del
crepaccio. In Indocina aveva vissuto l’inferno: visto morire compagni e amici.
Una guerra assurda e inutile. La Francia aveva passato il segno. Ma lui era un
militare e doveva comprendere, anzi era più di un militare: era un negoziatore
segreto. Suo era il compito di aprire, per conto del suo Paese, un tavolo di
trattative per la pace, ma non tutti erano convinti. C’era chi voleva lasciare
la parola fine del conflitto ai cannoni e alle bombe, perché se si è in guerra
è giusto combatterla fino alla fine. Non era d’accordo. E doveva portare a
termine il suo mandato. Sapeva di essere pedinato e seguito dai mastini della
guerra. Ogni sua iniziativa per arrivare ai Ginevra sarebbe stata annientata. E
se c’era una cosa di cui tutti erano convinti era che un compito del genere lo
avrebbe potuto portare a termine solo lui. Così la sua idea di falsificare dei
dispacci e fare credere ai comandi che Wilbert Wersinsthal-DeFrême, nome in codice M.M, ovvero le sue
iniziali rovesciate, era stato assegnato in segreto su una nave oceanografica
nei mari della Nuova Caledonia, fu un buon espediente per far si che non gli
tenessero gli occhi puntati più di tanto. “Nuova Caledonia! Che razza di posto!
Fino là sono andati i francesi, con i loro territori d'Oltremare, con le loro
navi, le loro truppe. E io dovrei essere li. Come faranno a cercarmi qui, in
fondo ad un crepaccio sotto la funivia delle Cime Bianche?" Pianse. Pensò
ai colori della Nuova Caledonia che, anche se c’erano i francesi, doveva essere
un bel posto. E poi pensò a quella ragazza che l’aveva seguito alle funivie.
Era giovane, forse di Torino perché era salita a Ivrea scendendo da un’altra
corriera. Era sicuramente affascinata dai suoi sci. Probabilmente si era decisa
a seguirlo per vedere se la sua abilità era pari al prestigio dei suoi sci. Lo
aveva seguito in biglietteria e si era messa a bella posta proprio dietro lui.
“Che stupido” pensò, “Che stupido che sono stato. Ho comprato il blocchetto da
sessanta corse perché non volevo che pensasse che volessi scappare, non volessi
misurarmi con lei. Sessanta corse. Per farne una e cadere in un
crepaccio!” Pianse ancora. Il suo sguardo cadde sugli occhiali rotti. “A sciare
in alta montagna con gli occhiali da vista, come un impiegato! Che idiota!
Quella ragazza avrebbe dovuto capirlo da quel particolare che non ero un vero
sciatore: ci vuole la mascherina da sci che ripara dal sole e soprattutto non
si appanna. E se non si appanna si vede dove si va e non si cade nei crepacci”.
Poi ebbe un sussulto: “Si certo, la ragazza ha capito chi sono. Forse mi verrà
a cercare. Forse dirà che le sembrava di avere visto uno che non sapeva sciare
e aveva tutta l’aria di essere un agente segreto che ha preso la direzione
sbagliata sotto le Cime Bianche. Forse. Ma io non dovevo essere qui. Io sono in
Nuova Caledonia E nessuno mi verrà a cercare”.
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