giovedì 28 giugno 2018

Io non dovevo essere qui


"Io non dovevo essere qui. Nessuno mi sente. Nessuno mi troverà mai" Se lo era detto già tante volte, ma adesso, guardando in alto e vedendo sopra di lui uno squarcio di cielo blu scuro attraversato da nuvole veloci, lo diceva con un groppo alla gola che prima non aveva provato. La fine era vicina.  Racchiuso in un crepaccio con una frattura esposta alla gamba che almeno non sanguinava più, non avrebbe passato la notte gelida che l'attendeva. Ma che cosa avrebbe significato sopravvivere? Nessuno lo avrebbe cercato. Sapeva che era destinato a morire inghiottito da una fessura di ghiaccio. "Se avessi preso la macchina qualcuno avrebbe potuto vederla ferma sul piazzale delle funivie e alla fine gli sarebbe potuto venire in mente che c'era qualcuno che non era tornato" Ma non c'era nessuna macchina sul piazzale e nessuno può notare quello che non c'è. Sorrise amaramente. Era il suo lavoro non essere notato. E lo faceva bene. Arrivato al Breuil con il torpedone da Milano come uno sciatore della domenica qualsiasi si era accorto che molti lo guardavano con stupore misto a invidia. Poi aveva capito. Con quel paio di sci che avevano visto scaricare dal baule della corriera erano in molti a chiedersi come mai il proprietario non si potesse permettere una macchina o comunque un viaggio più comodo piuttosto che una partenza all'alba da Piazza Castello. Certo, i Rossignol: li aveva visti in una vetrina del centro in piazza San Babila e li aveva subito comprati. Trenta mila lire, più i bastoncini in acciaio e gli scarponi che erano l'acquisto che l'aveva gratificato di più. Doppia cucitura, doppio allaccio. Perfetto per sciare, ottimo per camminare in montagna e forse, ma doveva ancora sperimentarlo, adatti per le marce di addestramento nel deserto, dove gli ufficiali della Legione Straniera come lui dovevano esercitarsi. E il giorno dopo, almeno per un breve tratto, li avrebbe provati. Si trattava solo di arrivare al Plateau Rosa scendere di qualche centinaio di metri prendere i riferimenti del rifugio Theodulo, capire che si trovava in Svizzera e poi giù fino a Zermatt per poi arrivare in qualche modo a Ginevra per mettere in atto il suo piano. Ma le cose erano andate diversamente.
La parete di ghiaccio davanti a lui sembrava viva riflettendo il chiarore delle stelle. Milioni di riflessi d’argento che si confondevano con le lancette fluorescenti del suo orologio, rotto e ormai fermo. Quella parete di gelo sembrava invitarlo ad accoccolarsi ai suoi piedi. Non avrebbe mai potuto risalirla. Era destinato a morire li. E allora, si, forse e meglio sdraiarsi e guardare in alto. Il cielo era sopra lui e le stelle che brillavano in alto erano meno fredde della parete del crepaccio. In Indocina aveva vissuto l’inferno: visto morire compagni e amici. Una guerra assurda e inutile. La Francia aveva passato il segno. Ma lui era un militare e doveva comprendere, anzi era più di un militare: era un negoziatore segreto. Suo era il compito di aprire, per conto del suo Paese, un tavolo di trattative per la pace, ma non tutti erano convinti. C’era chi voleva lasciare la parola fine del conflitto ai cannoni e alle bombe, perché se si è in guerra è giusto combatterla fino alla fine. Non era d’accordo. E doveva portare a termine il suo mandato. Sapeva di essere pedinato e seguito dai mastini della guerra. Ogni sua iniziativa per arrivare ai Ginevra sarebbe stata annientata. E se c’era una cosa di cui tutti erano convinti era che un compito del genere lo avrebbe potuto portare a termine solo lui. Così la sua idea di falsificare dei dispacci e fare credere ai comandi che Wilbert Wersinsthal-DeFrême, nome in codice M.M, ovvero le sue iniziali rovesciate, era stato assegnato in segreto su una nave oceanografica nei mari della Nuova Caledonia, fu un buon espediente per far si che non gli tenessero gli occhi puntati più di tanto. “Nuova Caledonia! Che razza di posto! Fino là sono andati i francesi, con i loro territori d'Oltremare, con le loro navi, le loro truppe. E io dovrei essere li. Come faranno a cercarmi qui, in fondo ad un crepaccio sotto la funivia delle Cime Bianche?" Pianse. Pensò ai colori della Nuova Caledonia che, anche se c’erano i francesi, doveva essere un bel posto. E poi pensò a quella ragazza che l’aveva seguito alle funivie. Era giovane, forse di Torino perché era salita a Ivrea scendendo da un’altra corriera. Era sicuramente affascinata dai suoi sci. Probabilmente si era decisa a seguirlo per vedere se la sua abilità era pari al prestigio dei suoi sci. Lo aveva seguito in biglietteria e si era messa a bella posta proprio dietro lui. “Che stupido” pensò, “Che stupido che sono stato. Ho comprato il blocchetto da sessanta corse perché non volevo che pensasse che volessi scappare, non volessi misurarmi con lei. Sessanta corse. Per farne una e cadere in un crepaccio!” Pianse ancora. Il suo sguardo cadde sugli occhiali rotti. “A sciare in alta montagna con gli occhiali da vista, come un impiegato! Che idiota! Quella ragazza avrebbe dovuto capirlo da quel particolare che non ero un vero sciatore: ci vuole la mascherina da sci che ripara dal sole e soprattutto non si appanna. E se non si appanna si vede dove si va e non si cade nei crepacci”. Poi ebbe un sussulto: “Si certo, la ragazza ha capito chi sono. Forse mi verrà a cercare. Forse dirà che le sembrava di avere visto uno che non sapeva sciare e aveva tutta l’aria di essere un agente segreto che ha preso la direzione sbagliata sotto le Cime Bianche. Forse. Ma io non dovevo essere qui. Io sono in Nuova Caledonia E nessuno mi verrà a cercare”.

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