martedì 1 aprile 2014

Lavoro tuo e lavoro mio

L'Italia continua a rimanere al palo quando si tratta di impostare delle politiche di miglioramento dello stato dell'occupazione. Sia in termini percentuali, cioè di incremento del numero di occupati sul totale delle persone abili al lavoro, ma , e soprattutto, per quanto riguarda la qualità del lavoro. Ovvero che tutti siano contenti di quello che fanno. Che non sempre significa che il laureato debba fare lavori adeguati alla sua preparazione: se il giovane ingegnere vuole guadagnare qualche soldo facendo il garzone in un supermercato perché ha deciso di farsi il giro dell'Australia a piedi prima di iniziare la sua carriera professionale, è giusto che chi lo assume lo inquadri regolarmente, lo paghi per quello che fa e gli riconosca tutti i diritti che gli spettano. Il lavoro va tutelato sempre, indipendentemente da chi lo svolge. Ma è risaputo che spesso non è così. L'italia rimane ferma, incapace di trovare una via che sblocchi il sistema di reclutamento della forza lavoro dai pregiudizi e che lo liberi dall'applicazione di pratiche sostanzialmente scorrette e leonine. Non è sempre corretto puntare il dito contro la crisi e le dinamiche di profitto delle multinazionali e le manovre della finanza globale. Il dito lo dovremmo, semmai, puntare contro noi stessi e farci carico della colpa di dare troppa poca importanza al lavoro degli altri e a sopravalutare eccessivamente il nostro. Il lavoro è, troppo spesso, solo il nostro. Quello degli altri è una fastidiosa circostanza. Le conversazioni di lavoro tra pendolari sul treno si focalizzano sempre su quanto faticoso e carico di responsabilità sia il proprio incarico e su quanti colleghi scansafatiche e approfittatori si annidino nella propria azienda, chi lavora nel privato critica chi lavora nel pubblico e viceversa, il professionista e l'artigiano criticano l'operato del collega per valorizzare se stessi al cospetto del nuovo cliente, gli automobilisti mandano improperi all'indirizzo del camionista che ostruisce la strada quando lo stesso sta consegnando quello che mangerà a cena. Non sempre il rapporto è dialettico tra il giudice e l'avvocato, tra il tifoso e lo sportivo, fra il genitore del ragazzo somaro e il suo professore. Il marito denigra il lavoro della moglie e la padrona di casa sevizia la domestica accusandola di battere la fiacca. E via dicendo.
Il valore civile nelle relazioni sociali si misura anche da quanto rispetto e tolleranza si dimostri nei confronti delle diversità, ma nel nostro paese le logiche corporativiste hanno sempre prevalso con conseguenze di lunga gittata che hanno contribuito a creare un sistema fermo da anni incapace di conformarsi alle opportunità offerte dal mercato che cambia costantemente e, soprattutto, di smussare quella disastrosa tendenza a discriminare tra i lavori considerati rispettabili e quelli di basso rango, tra i lavori occasionali e quelli stabili, tra quelli da dipendenti e quelli da autonomi. Di fatto tutti legali, ma tutelati in modo molto diverso e origine delle vistose sperequazioni che oggi saltano all'occhio.


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