lunedì 21 maggio 2012

La torre Velasca e il Daily Telegraph: la cultura, il Paese e il paesaggio


La conservazione del paesaggio in una prospettiva qualitativa accettabile è un aspetto del dibattito culturale italiano che trova sempre più ampi spazi di confronto e che incontra inevitabilmente pesanti accuse nei confronti delle scelte attuate dalle amministrazioni comunali negli ultimi anni. Il punto cruciale della diatriba rimane tuttavia legato ad una visione prospettica e futura dell’impatto della proliferazione dei nuovi sviluppi immobiliari come se, fino all’avvento dell’epoca consumistica, lo sviluppo urbano e architettonico della realtà paesaggistica italiana fosse un elemento preesistente e non conseguente della nascita della realtà del Paese. Mi ricollego, a questo proposito, alla recente valutazione fatta dal Daily Telegraph che ha bollato la Torre Velasca come una delle costruzioni più brutte del mondo. Tenendo conto che un’opera architettonica è espressione artistica dell’intelletto umano è inevitabile che essa susciti pareri e dissapori in merito ai supposti meriti estetici dell’opera, ma non è questo il punto. La Torre Eiffel  a Parigi, la Mole Antonelliana a Torino sono subentrati nell’impianto neoclassico delle due città come pugni in pieno volto azzardando linee architettoniche e metodologie costruttive d’avanguardia. Ciononostante, indipendentemente dal giudizio estetico espresso ai tempi dai saccenti concittadini, questi edifici si sono affermati come simboli indiscussi delle due città. La Torre Velasca è un simbolo per Milano, così come lo è il grattacielo Pirelli che avrà, forse, maggiori valenze estetiche, ma non supera per forza evocativa l’edificio di piazza Velasca che racchiude lo spirito di un epoca straordinaria. Dalla seconda metà degli anni ’50 Milano ha messo in campo le migliori intelligenze e le forze propulsive più tenaci per lo sviluppo del Paese. La crescita urbanistica della città di cui la Torre Velesca è figlia, è stato un fenomeno culturale unanimemente riconosciuto ed accettato che ha generato orgoglio da parte di chi in quella città viveva, ma anche da chi veniva accolto. Oggi non è più cosi. Salvatore Settis pone la questione su quanto oggi il paesaggio sia sempre stato espressione culturale dei propri artefici, indipendentemente dal grado di preparazione specifica detenuta. I paesaggi della campagna padana, con la sublime perpendicolarità del campanile che svetta e che fornisce un punto cospicuo indiscusso per chi si spostava sono stati costruiti da uomini che avevano abilità costruttive, non urbanistiche o architettoniche e non si ponevano questioni in merito all'impatto ambientale. Eppure l’armonia del paesaggio suburbano è rimasto inalterato fino al secondo dopoguerra, fino a quando, cioè, dissennate politiche urbanistiche hanno lasciato spazio al fenomeno emergente della speculazione che ha cancellato completamente la cultura evocativa e il sommovimento emotivo che un edificio, il suo contesto, il suo contorno e la sua funzione provocava. Per questo motivo un numero sempre crescente di intellettuali sta affrontando con forza e determinazione la questione del degrado paesaggistico urbano accelerato dalle miopi politiche di cementificazione degli ultimi anni. Cancellare il territorio e la sua cultura può cancellare la memoria di una nazione.


Salvatore SETTIS, (2010) "Paesaggio, costituzione e cemento - La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile" - Einaudi ISBN 978-88-06-19871-8

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