martedì 22 maggio 2012

Abilità e riuso uccidono il mercato dell'usa e getta?

L'idea arriva dall'Olanda, ma è possibile replicarla ovunque nel mondo, ovunque esistano persone disposte ad offrire gratuitamente la propria esperienza a coloro che abbiano compreso l'assurdità della cultura del consumo che ci ha attanagliato per decenni. Tutti hanno da dare qualche cosa soprattutto se finalizzata a prevenire la spirale perversa dell'uso-consumo-riacquisto. Un ingegnere in pensione che aggiusta gratis la televisione, un tecnico che dà una regolata al computer, una signora con pochi impegni familiari che rammenda e adatta vestiti lindi e perfettamente mettibili da bambini più piccoli figli di genitori non necessariamente indigenti.
Tutto in un'accogliente atmosfera di un caffè dove fare due parole per condividere un vissuto troppo a lungo sostenuto se confrontato con il breve ciclo di vita degli oggetti che ci circondano e che, sostanzialmente, ci dovrebbero facilitare la vita. Ferri da stiro che non sputano vapore perché nessuno li vuole disincrostare, vecchie segreterie telefoniche che possono riprendere a registrare con un'opportuna oliatura e pulitura, apparecchi elettronici che necessiterebbero di una revisione per togliere fastidiosi gracchiamenti, un paio di scarpe che necessitano solo di un po' di colla e di manualità, le riparazioni dell'automobile, del motorino, della casa.
L'Europa ha perso il suo primato perché non ha saputo valorizzare le competenze. In Italia la crisi produttiva nasce dal depauperamento delle abilità. Che hanno un prezzo più alto e meno confrontabile di un'ora di lavoro di un operaio cinese o rumeno. Non sono state valorizzate semplicemente perché per decenni ci siamo illusi di poterne fare a meno. Il mercato offriva roba pronta. Riparare un oggetto prevede tempi lunghi che il consumo non si può permettere.
L'esperienza, le competenze e l'abilità dell'ingegnere, del tecnico, della sarta possono ritrovare una giusta collocazione in un circolo produttivo che per molti anni è stato considerato anti-mercato. In Olanda, ma anche in altri Paesi si sta scoprendo che il Mercato è altrove. E lo si è scoperto ripercorrendo a ritroso la filiera che porta milioni di oggetti prodotti e ancora in buone condizione verso i luoghi di smaltimento, che sono, come disse qualcuno riferendosi ai cimiteri di automobili, i peggiori monumenti della nostra civiltà.
Leggi anche: "Un po' alla volta, contro la cultura dell'usa e getta", articolo di Sally McGrane pubblicato sul New York Times del 9 Maggio 2012. (traduzione su eddyburg.it)

lunedì 21 maggio 2012

La torre Velasca e il Daily Telegraph: la cultura, il Paese e il paesaggio


La conservazione del paesaggio in una prospettiva qualitativa accettabile è un aspetto del dibattito culturale italiano che trova sempre più ampi spazi di confronto e che incontra inevitabilmente pesanti accuse nei confronti delle scelte attuate dalle amministrazioni comunali negli ultimi anni. Il punto cruciale della diatriba rimane tuttavia legato ad una visione prospettica e futura dell’impatto della proliferazione dei nuovi sviluppi immobiliari come se, fino all’avvento dell’epoca consumistica, lo sviluppo urbano e architettonico della realtà paesaggistica italiana fosse un elemento preesistente e non conseguente della nascita della realtà del Paese. Mi ricollego, a questo proposito, alla recente valutazione fatta dal Daily Telegraph che ha bollato la Torre Velasca come una delle costruzioni più brutte del mondo. Tenendo conto che un’opera architettonica è espressione artistica dell’intelletto umano è inevitabile che essa susciti pareri e dissapori in merito ai supposti meriti estetici dell’opera, ma non è questo il punto. La Torre Eiffel  a Parigi, la Mole Antonelliana a Torino sono subentrati nell’impianto neoclassico delle due città come pugni in pieno volto azzardando linee architettoniche e metodologie costruttive d’avanguardia. Ciononostante, indipendentemente dal giudizio estetico espresso ai tempi dai saccenti concittadini, questi edifici si sono affermati come simboli indiscussi delle due città. La Torre Velasca è un simbolo per Milano, così come lo è il grattacielo Pirelli che avrà, forse, maggiori valenze estetiche, ma non supera per forza evocativa l’edificio di piazza Velasca che racchiude lo spirito di un epoca straordinaria. Dalla seconda metà degli anni ’50 Milano ha messo in campo le migliori intelligenze e le forze propulsive più tenaci per lo sviluppo del Paese. La crescita urbanistica della città di cui la Torre Velesca è figlia, è stato un fenomeno culturale unanimemente riconosciuto ed accettato che ha generato orgoglio da parte di chi in quella città viveva, ma anche da chi veniva accolto. Oggi non è più cosi. Salvatore Settis pone la questione su quanto oggi il paesaggio sia sempre stato espressione culturale dei propri artefici, indipendentemente dal grado di preparazione specifica detenuta. I paesaggi della campagna padana, con la sublime perpendicolarità del campanile che svetta e che fornisce un punto cospicuo indiscusso per chi si spostava sono stati costruiti da uomini che avevano abilità costruttive, non urbanistiche o architettoniche e non si ponevano questioni in merito all'impatto ambientale. Eppure l’armonia del paesaggio suburbano è rimasto inalterato fino al secondo dopoguerra, fino a quando, cioè, dissennate politiche urbanistiche hanno lasciato spazio al fenomeno emergente della speculazione che ha cancellato completamente la cultura evocativa e il sommovimento emotivo che un edificio, il suo contesto, il suo contorno e la sua funzione provocava. Per questo motivo un numero sempre crescente di intellettuali sta affrontando con forza e determinazione la questione del degrado paesaggistico urbano accelerato dalle miopi politiche di cementificazione degli ultimi anni. Cancellare il territorio e la sua cultura può cancellare la memoria di una nazione.


Salvatore SETTIS, (2010) "Paesaggio, costituzione e cemento - La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile" - Einaudi ISBN 978-88-06-19871-8

L'evoluzione dell'umano errare




I pellegrini in viaggio verso i monasteri e le terre Sante, le prime guide per viaggiatori in terre incognite e gli armatori veneziani primi "tour operators" ante litteram, l'impervio, ma edificante "gran tour" degli intellettuali europei. Tutto questo e altro ci viene proposto nel saggio di Roberto Lavarini che ripercorre le vicende dell'umano viaggiare per ricercare i semi culturali che costituiranno in seguito le connotazioni di una delle principali attività d'evasione dell'uomo contemporaneo: viaggiare.
I modelli di turismo attuali, anche se ormai sfrontatamente orientati a cliché consumistici attingono dall'irrinunciabile fabbisogno di sicurezza dell'uomo in movimento: sicurezza di non perdersi, di potere disporre di vitto e alloggio e di sostanze economiche adeguatamente protette contro furti e ruberie. Fino alla sicurezza di non perdere il proprio stato sociale, sormontato dalla mescolanza di pulsioni, antipatie e simpatie che il viaggio, specie di gruppo, impone. Oggi al bisogno di sicurezza dei viaggiatori moderni sopperiscono strumenti molto evoluti di trasporto, informazione, comunicazione e pagamento, ma il distacco dal luogo abituale continua a rimanere anche per il più incallito globe trotter un momento rottura l'essere stanziale e lo spirito nomade. Lavarini espone anche un'interessante interpretazione antropologica dell'evoluzione del viaggiare che è stato oggetto, nel corso dell'era industriale, di una riconfigurazione concettuale facendolo diventare sinonimo di vacanza stravolgendo ancor di più i connotati di riposo che la vacanza presuppone e le fatiche che comporta una lunga trasferta, per esempio, per tornare al villaggio o al Paese d'origine. In ultimo una considerazione particolarmente condivisibile da chi viaggia molto sui libri riassunta da una frase dell'antropologo-scrittore- viaggiatore francese Franck Michel: "Quanti viaggiatori da camera, scopritori di mondi attraverso la lettura di libri, esploratori senza pretese, alla fine vanno più lontano, più in profondità, più liberamente della masse di viaggiatori che hanno fretta di fare tutto, di vedere tutto..."

Roberto LAVARINI (2005) "Viaggiatori - Lo spirito e il cammino" - Hoepli - ISBN 88-203-3362-7