Immaginare scenari futuri è un bel gioco di fantasia. In ognuno di noi si nascondono doti di preveggenza che, correlatamente al nostro livello di creatività e conoscenza, ci portano a fare previsioni su come potrebbero evolversi le cose in un futuro più o meno prossimo.
Giulio Verne ha narrato situazioni ed eventi che si sono puntualmente verificati a distanza di anni, compresa la condotta di vita alienata di un immaginario uomo dell’anno 2000, racconto che ben pochi hanno letto in quanto fu uno dei pochi manoscritti che il suo storico editore Hetzel non volle pubblicare poiché ritenuto non in linea con le aspettative dei lettori. Il futuro doveva essere solo benessere e felicità. Arthur Clarke, un altro visionario che ha puntato gli occhi verso gli abissi siderali immaginando trame che hanno fatto da sfondo a capolavori come il film “Odissea nello Spazio”, ha anche lui immaginato il verosimile sviluppo dei viaggi interstellari sbagliando, alla riprova dei fatti, la contestualizzazione temporale, benché avesse, rispetto a Verne, molti più elementi certi sui quali basare le proprie previsioni. Ma a differenza delle visioni immaginarie sul futuro dei nostri vicini antenati, non sarà più la “gaia scienza”, quel meraviglioso, impetuoso, inarrestabile angelo dello sviluppo scientifico e tecnologico che farà da promotore verso il progresso e il benessere dei popoli. Sarà, a mio vedere, il contrario. O meglio toccherà alla tecnologia “d’antan” somministrare la carica di energia per prefigurare scenari futuri. E ciò in ragione che lo sviluppo tecnologico dei tempi nostri non sembra portare a nulla di buono in determinati ambiti di applicazione. Uno di questi è senza dubbio il settore dei trasporti.
Lo sviluppo della motorizzazione di massa è stata fortemente alimentata dalla crescita di nuovi ritrovati tecnologici applicati alle automobili. Da alcuni anni la mancanza di applicazione di limiti alla proliferazione del tasso di auto pro-capite ha comportato situazioni di congestione particolarmente evidenti nel nostro Paese. Inoltre l’abiura che le case produttrici hanno universalmente professato nei confronti di motori a zero emissioni sta causando danni che potrebbero essere irreversibili nel giro di pochi anni. Come è possibile infatti che nessun produttore di auto abbia intrapreso strade diverse per sviluppare modelli spinti da motori elettici quando questa forma di alimentazione era già sufficientemente evoluta agli inizi del secolo scorso? Oggi ci si sta arrivando, ma non è forse un passo indietro?
Torniamo a parlare di automobili. Il prezzo dei carburanti è destinato a salire nei prossimi anni: questo per due motivi principali: uno fisico dovuto all’esaurirsi delle riserve conosciute e alla sempre più scarsa propensione ad investire per ricercarne di nuove; il secondo è speculativo in quanto il petrolio verrà venduto a chi offrirà di più per averlo e in questo momento chi offre di più sono le economie emergenti di Asia e Sud America. Almeno Europa il destino dell’automobile è segnato, ma molti fanno finta di non saperlo.
Preoccupiamoci del dopo. Volenti o nolenti l’auto dovremo, se proprio non ce ne vorremo separare, dimenticarcela e fare ruotare le nostre modalità di trasporto in un modo totalmente diverso. Arrangianodoci o auspicando che i Governi abbiamo pensato in tempo. In più occasioni in questo blog ho sostenuto la centralità della bicicletta per la risoluzione dei problemi del traffico cittadino, soluzione che ancora stenta a farsi strada nei pensieri degli amministratori per incapacità di trovare soluzioni o forse per eccessive doti di preveggenza dato che una volta che tutti decideranno di rinunciare all’auto perché troppo dispendiosa, non ci sarà più bisogno di piste riservate. L’inettitudine degli amministratori nei confronti del problema del traffico può essere scavalcata attraverso il recupero delle antiche modalità di trasporto, apparentemente cancellate dalla frenetica galoppata dell’automobile. Per esempio i medi e piccoli centri urbani che in termini assoluti soffrono più delle metropoli i disagi della congestione del traffico hanno a disposizione un inestimabile tesoro da recuperare. Mi riferisco alle ferrovie dismesse o poco sfruttate che potrebbero tornare a funzionare come metropolitane leggere con corse in grado di raccogliere i pendolari di frazioni o comuni limitrofi che per venire in città non hanno alternative alle auto. Penso per esempio alla Asti-Chivasso, la Asti Casale e le linee che puntano verso la Liguria che vedono la frequentazioni di pochi treni al giorno quasi sempre desolatamente vuoti. Ebbene piccoli convogli navetta che percorrono le tratte periferiche della linea possono essere messe a disposizione degli abitanti per raggiungere il centro. Politiche di abbonamento e incentivi alla rinuncia al mezzo privato, promozione del car-sharing possono fare il miracolo e liberare le città dal delirio di un traffico ormai fuori controllo. Tenuto conto che nel corso della seconda metà del XIX secolo e nei primi due decenni del XX secolo furono moltissime le città italiane, sia a Nord che a Sud, che si dotarono di linee ferroviarie locali, la messa in pratica della soluzione che ho prospettato potrebbe trovare applicazione in molti aree urbane d’Italia.
La modalità di spostamento più consona alle città è muoversi a piedi. Se proprio vogliamo velocizzarci possiamo predisporre dei marciapiedi mobili (si, proprio come immaginava Giulio Verne) come d’altra parte troviamo negli aeroporto, dove, senza che ce se ne accorga e senza che nessuno si lamenti, si percorrono a piedi parecchie centinaia di metri ancorché spostandosi con pesanti ed ingombranti carrellini al traino.
La bicicletta deve diventare il minimo comune denominatore delle politiche di spostamento in ambito regionale. Perché non dotare tutti i mezzi di trasporto collettivo come treni, autobus, metropolitane di idonei alloggiamenti che rendano facile ed immediato il trasporto della bicicletta al seguito? Le piste ciclabili, a vedere lungo, in buona parte esistono e sono i tragitti ferroviari, tramviari e metropolitani che ogni giorno portano migliaia di pendolari dalla periferia al centro.
La riduzione del traffico privato o comunque di automezzi spinti da carburanti fossili, aprirà anche la strada per una nuova visione del trasporto merci. Le autostrade saranno sempre più vuote e libere al punto che una sola corsia potrebbe bastare a smaltire le poche auto circolanti. Allora perché non usare le corsie ridondanti per impiantare un sistema a cremagliera abilitato al trasporto di container e altre merci? Mi immagino un sistema di piattaforme destinate ad ospitare le merci che girano ininterrottamente come il nastro trasportatore dei bagagli in aeroporto. Ovviamente tutto su scala maggiore. Un sistema informatico gestirà la destinazione e in prossimità dello svincolo d’uscita il container verrà sganciato e caricato su un veicolo elettrico che lo porterà a destinazione. Ovviamente nulla osterà che l’infrastruttura realizzata possa anche servire per il trasporto di persone, magari su brevi distanze e per spostamenti in ambito metropolitano, ingaggiando un regime di concorrenza con la linea ferrovia. Questa “ferro strada” sarà opera congiunta dell’ente proprietario delle strade, le grandi aziende di logistica e trasporto e le amministrazioni territoriali locali. Anche qui nulla di nuovo sotto il sole dato che si tratta di aggiornare il vecchio sistema della trazione a cremagliera inventato e collaudato più di 150 anni fa.
La ferrovia deve diventare il canale principale di flusso anche per le merci e non solo per le grandi necessità legate alla logistica industriale, ma anche per il fabbisogno di imprese locali, amministrazioni e privati. Gli scali merci che oggi sono in situazioni di degrado dovrebbero essere ripristinati e diventare i punti di smistamento per le consegne in ambito cittadino effettuate mediante veicoli leggeri a trazione elettrica. Questa soluzione permetterebbe l’eliminazione delle centinaia di camioncini che corrono forsennatamente nelle strade urbane delle nostre città per trasportare merci dal centro terminale locale, usualmente ubicato in periferia, verso l’utenza commerciale prevalentemente localizzata in centro. Abbiamo la fortuna di avere stazioni ferroviarie nel cuore delle città e non le usiamo.
Un enorme problema che dovremo sicuramente affrontare una volta raggiunto il momento di stop all’auto privata sarà lo smaltimento del parco automezzi che nessuno userà più. Adesso ci pensano i centri di riciclaggio che smontano, differenziano e rigenerano i materiali dei mezzi arrivati allo stadio finale. Tenuto conto però che se nessuno vorrà più acquistare auto, logicamente nessuno sarà disposto a costruirle, il business del recupero dei rottami non sarà più conveniente e l’attività di smaltimento risulterà oltremodo dispendiosa. Immagino che i Governi dovranno intervenire con politiche ad hoc e stanziamenti elevati per impedire una quasi certa catastrofe ecologica.
L’ultima previsione riguarda il traffico aereo dove, almeno per volare, non c’è stata un sovraffollamento di mezzi privati. È facile immaginare che il costo dei carburanti contribuirà ad un aumento dei prezzi dei passaggi e che le economie gestionali che in questi ultimi anni hanno dato origine al fenomeno dei voli low-cost non potranno fare più di tanto per calmierare il costo dei biglietti. L’alternativa più conveniente alla tratta di medio raggio tornerà ad essere il treno, tenuto anche conto che offrirà maggiori possibilità di intermodalità, ma è probabile che grazie al flusso migratorio degli ultimi anni che ha visto popolazioni di Paesi alquanto remoti come Africa sub-Sahariana, Africa equatoriale, Asia centrale ed Estremo Oriente le compagnie possano intravedere in questo nuovo target i potenziali fruitori e a tale proposito escogiteranno nuove strategie di marketing. Questo ovviamente compatibilmente con le prospettive di benessere e sicurezza economica che offrirà il Paese ospitante.