Attraverso le nostre scelte consapevoli è possibile diminuire i consumi per l'affermazione di un'economia sostenibile ed equa. Dai modelli di comportamento, ai trasporti e alle letture tutto è materia per un approfondimento che porti a discriminare tra l'utile e il vacuo, tra la sostanza e l'effimero, tra il modello virtuoso e il pedissequo seguito a richiami di inconsistente benessere.
mercoledì 15 giugno 2011
Dall'Utopia all'idea di marketing: l'auto di domani nasce cosi.
Può un'utopia diventare un’idea di marketing vincente? A giudicare dalla storia del Maggiolino Volkswagen sembrerebbe proprio di si. Il disegno della “macchina del popolo” lanciata in un momento di lucida riflessione di una mente delirante di un dittatore folle ha totalizzato una serie di record numerici di cui solamente la decima parte potrebbe fare gola alle case automobilistiche dei tempi nostri all’affannosa ricerca di nuove soluzioni per competere sul mercato. Eppure alla base di tutto c’è una sola regola: semplicità
E pensare che all’inizio non si chiamava neppure “auto del popolo”. A chiamare Volkswagen l’entità aziendale raffazzonata che intraprese la produzione dei primi esemplari di Maggiolino sulle rovine ancora fumanti dello stabilimento di Wolfsburg furono gli Alleati decisi, da un lato, a forzare la ripresa della Germania, dall’altro attratti dalle potenzialità e dalla versatilità del progetto di Ferdinand Porsche, il quale, per beffa della sorte, stava scontando alcuni anni di carcere in Francia per collaborazione con il passato regime. Il Maggiolino avrebbe dovuto chiamarsi “Kraft durch Freude-Wagen” ovvero l’automobile della forza attraverso la gioia (KdF-Wagen). Pare che sia stato Hitler di persona ad affibbiare questo nome dalle forti suggestioni Shilleriane, ma poco attraente per un prodotto destinato a fare epoca.
Semplicità dunque, che permise la riattivazione delle linee di montaggio che con la drammatica scarsità di materie prime del dopoguerra tedesco non avrebbero potuto produrre altro che una macchina dal progetto così minimale come i Maggiolini delle primissime serie. Semplicità che permise di tenere i prezzi alla portata delle effettive possibilità di acquisto della classe operaia di mezza Europa in forte ascesa politica e sociale. E poi ancora semplicità di una meccanica affidabile e ridotta ai minimi termini che consentì alla Casa, nel frattempo tornata in salde mani tedesche, di esportare la vettura in quasi tutte le zone disagiate del pianeta: Africa, Australia, Sud America e Nord America: le temperature torride, la polvere le distanze infinite non imbarazzavano per nulla la tenuta del piccolo motore a 4 cilindri raffreddato ad aria che ha equipaggiato la macchina dal suo esordio all’esemplare numero 21.529.464 uscito per ultimo dagli stabilimenti messicani nel luglio del 2003.
I record, dunque: più di ventuno milioni di auto prodotte, un quarto in più della produzione dell’auto di massa dell’American Standard of Living, la Ford T che nonostante l’ampia scelta di colori (neri), totalizzò “solo” 15 milioni di unità prodotte; la copertura di tutti i 5 continenti con numeri di vendita da record per molti Paesi come il Brasile, l’Australia e il Messico, una longevità unica nella storia dell’automobile se si pensa che il progetto affonda le sue radici nella metà degli anni ’30 e ha garantito vendite e profitti alla casa tedesca fino al 2003, senza considerare, ovviamente, il ritorno di fiamma della rivisitazione moderna del "New Beetle" in commercio da una dozzina d’anni ormai. Inoltre, come la “Settimana Enigmistica”, il “Kaefer” vanta il maggior tentativo di imitazioni se si pensa che molti modelli che ebbero un notevole successo di vendite a cavallo degli anni ’50 e ’60 replicarono lo schema del progetto di Porsche; tra questi rientra sicuramente anche la Fiat 600 e la “500” anche se va detto che il genio di Giacosa riuscì ad abbinare alla semplicità progettuale il valore di un’abitabilità eccezionale in misure di gran lunga inferiori al Maggiolino.
Nel corso degli anni il Maggiolino è indubbiamente cambiato: le esigenze dettate dall’aumento del traffico, dalla sicurezza, dal contrasto alle emissioni nocive, i ritocchi stilistici e gli adattamenti locali hanno richiesto assidui adeguamenti senza però apportare alcun stravolgimento all’impianto progettuale dell’”Auto del Popolo” che è rimasta fedele a se stessa per più di 60 anni. E per chi produce automobili potere fare affidamento sulla bontà dei propri modelli in commercio senza mettere mano ad investimenti per svilupparne di nuovi significa solo un mucchio di risorse finanziare risparmiate.
Oggi le case automobilistiche perseguono obiettivi di rinnovo della gamma dei modelli in commercio molto ravvicinati con conseguenti obblighi verso investimenti in progettazione, sperimentazione, collaudi e azioni di marketing e promozione che rischiano di compromettere i ricavi futuri. La concorrenza oggi assume sempre più caratteristiche di preferenze verso i mercati piuttosto che di effettiva corrispondenza alle esigenze dei consumatori. Le case che possiedono risorse sufficienti per competere sui mercati profittevoli e elastici continuano ad investire in innovazione e lancio di nuovi modelli. Quelle che non hanno la forza di investire rivendono il proprio know-how su mercati emergenti, più poveri e meno sensibili agli aspetti ambientali. Tuttavia nessuna casa sembra prendere in seria considerazione l’esperienza dell’Auto del Popolo, riproponendo l’utopia di un mezzo di trasporto individuale a bassissimo impatto, l’auto elettrica del popolo, per intenderci, che nasca da un progetto semplice, economico, replicabile ed esportabile.
I tempi sono maturi, su, coraggio!
Per un approfondimento sulla storia del Maggiolino: Alessandro SANNIA (2007), Maggiolino, Gribaudo
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