venerdì 11 febbraio 2011

Una coerenza ferrea, anzi lignea



A volte la scelta di andare a vivere in un’abitazione di legno può apparire un po’ eccentrica, anche se sembra che chi l’addotta abbia valide ragioni per farlo. Difficile però pensare che ci possa essere qualcuno che in un edificio di legno decida addirittura di trasferire la propria azienda. Non un ufficio, non un negozio, ma una vera e propria attività industriale con operai, macchinari, utensili, carri-ponte, materie prime e magazzini.
Questo è successo. In Italia, con numeri da record. In provincia di Varese è sorto il più grande stabilimento a shed realizzato in Europa, interamente costruito in legno: 17 mila metri quadri coperti tenuti insieme da una struttura di 5mila metri cubi di travi in legno lamellare e pannelli autoportanti realizzati usando ancora legno e 70 tonnellate di carta riciclata. Fanno impressione anche le cifre “in negativo”: 7mila tonnellate di Co2 risparmiate in sede di costruzione e un fabbisogno energetico ridotto all’essenziale grazie alle doti di maggiore efficacia termica del legno e la garanzia di energie rinnovabili per 1 mega watt di potenza prodotta da 10 chilometri quadrati di pannelli solari.
E che cosa si fa dentro a questo immobile? Si lavora il legno, ovviamente!
Artefice della costruzione di questa singolare opera è la Novello Srl, un’azienda famigliare di imprenditori che da anni operano nel settore. All’inizio una piccola falegnameria. Poi l’intuizione di nuovi settori, il balzo nella logistica e nei trasporti. In grande. Casse di legno per il trasporto di elicotteri smontati, parti di aerei, sezioni di grandi impianti, motociclette. Non importa quanto sofisticato sia il contenuto; il legno è sempre il materiale che da più garanzie di protezione. In molte lingue legno e bosco sono resi dallo stesso termine e forse non a caso perché il bosco ci nasconde, ma ci protegge nello stesso tempo e il bosco sono gli alberi che crescono sempre, garantendo la disponibilità di molta più legno di quanto l’uomo usi per le sue attività.
Ho conosciuto Moreno Novello l’amministratore della società che si è spinta a pensare un’impresa così visionaria. E conoscendolo ho apprezzato anche tutta la famiglia che ha fatto di una grande idea un progetto comune. Ho capito che non c’è decisione che non venga presa se non c’è l’accordo di tutti. Il progetto è di tutti e tutti devono condividerne il destino. Di loro mi sono piaciute due cose: il coraggio e la coerenza. Il coraggio di scelte imprenditoriali innovative in tempi difficili, merce rara ormai anche in queste zone, terra di pionieri dell’industria che hanno fatto la storia del Pease. Ma soprattutto la coerenza di scelte che non hanno mai tradito la passione per il legno, per la materia che ha accompagnato il successo della propria azienda che arriva diventare l’emblema stesso della propria notorietà. “Molte persone”, mi confida Moreno, “ci considera degli imprenditori che hanno seguito i dettami della sostenibilità ambientale. Io penso che per la nostra famiglia il rispetto per la natura e l’impegno nei suoi confronti sia quasi una dote innata, scaturita in anni di attenzione e amore per il legno” E aggiunge, sorridendo “per noi è stata una scelta logica e coerente con il nostro modo di pensare”. Quello che ci si può augurare è che presto la famiglia Novello trovi altri seguaci che raccolgano il loro esempio. Anche perché un esempio del genere se proprio non si può seguire nei fatti, lo si può almeno seguire percorrendo l’autostrada Varese-Milano. Infatti la dislocazione dell’immobile longitudinale rispetto allo scorrimento della strada permette di apprezzarne la valenza architettonica.Ho chiesto anche perché all’immobile fosse stato affibbiato il nome dal vago sentore di fantascienza anni ’70 di “P87” e mi è stato spiegato che ottantasette sono i pilastri di legno che sorreggono l’immobile ancorati al terreno tramite un sistema il cui valore tecnologico è apprezzato e replicato anche in Germania, nazione leader nelle costruzioni in legno. Un altro richiamo alla coerenza, degli alberi, che ritrovano gli elementi essenziali della loro esistenza arborea ribaditi artificiosamente nell’essere radicati alla terra e, ancora una volta, slanciati verso l’alto.
“Abbiamo lanciato” una nuova divisione, mi informa il signor Moreno “che si occupa di edilizia eco-sostenibile. Vogliamo proporre il nostro know-how e i materiali che abbiamo sviluppato per il nostro immobile a chi si occupa di progettazione e costruzione di immobili” E aggiunge “abbiamo intenzione di portare i professionisti delle costruzioni qui da noi, ospitandoli per un giorno nella nostra struttura e raccontandogli la nostra esperienza” Una buona idea, penso. D’altra parte chi più di loro può risultare credibile su quello che dicono, visto che, come si dice ai bambini, il buon esempio lo hanno già dato?

Vedi anche (da questo blog): Casa è per sempre. Costruire con il legno e le buone idee

martedì 8 febbraio 2011

Senatores boni viri


Una mia recensione di un film che mi ha molto colpito. Si tratta di un film che Frank Capra girò nel 1939 interpretato da un grande "Jimmy" Stewart. Una lezione di democrazia e di amore per il proprio Paese (d'adozione) più per quello che rappresenta che per quello che effettivamente è. Con tutti i rischi che derivano quando si tocca la suscettibilità dei politici.

Ci sono tanti modi per dimostrare amore verso il proprio Paese. Anche girando un film di denuncia come fece Frank Capra nel 1939 quando propose al pubblico Mr. Smith va a Washington uno dei primi film a mettere in luce lo sporco gioco della politica asservita agli interessi particolari e alla speculazione. Tuttavia il regista italo-americano commise una grossa ingenuità decidendo di gratificare il pubblico della capitale americana con la prima del film. La preferenza si rivelò funesta: la platea iniziò a mormorare e gridare allo scandalo. Quelli che non si erano allontanati dalla sala prima del termine della proiezione iniziarono ad insultare attori e registi. Si era attentato al cuore dell’America mettendo in una situazione di forte imbarazzo l'immagine di chi rappresentava il Senato Americano. Fu anche una grande delusione per Frank Capra, siciliano d’origine, innamorato del sogno americano: l’Establishment politico della più grande democrazia del mondo non aveva compreso che la bellezza, la grandezza della nazione che rappresentava non risiedeva negli spiriti malanimi dei senatori corrotti e mendaci, ma nella possenza delle istituzioni, nelle leggi che le regolano e nella solidità morale degli uomini superpartes che le amministrano.
La trama: il senatore di un indefinito Stato del Nord degli Stati (potrebbe essere il Montana o il Wyoming) muore improvvisamente. La cricca di affaristi interessati ad operazioni speculative attraverso la costruzione di una grande diga in una zona di bellezza incontaminata, decide di rimpiazzare lo scomparso con un tal Signor Jefferson Smith, all’apparenza un sempliciotto tutto pervaso dai precetti di Baden Powell e campeggi formativi con la gioventù del luogo. L’ambiente tentacolare e perverso della Capitale avrebbe, nel giro di poco, fatto capire al frescone degli Altopiani a quale più mondane attività si sarebbe potuto intrattenere lasciando campo libero alle manovre clandestine degli affaristi. Il disegno disgraziatamente incontra un ostacolo imprevisto allorché il giovane senatore, in occasione della presentazione del suo progetto di legge mirante ad istituire campi estivi per temprare gli spiriti dei giovani americani, scopre che l’area da lui prescelta per la costruzione del campo è la stessa individuata dalla banda di affaristi senza scrupoli per la costruzione della diga. A quel punto la vita diventa dura per il povero Jefferson Smith: gli stessi compagni di partito sferreranno micidiali attacchi alla sua integrità accusandolo di manovre subdole ed interessate con prove false e artefatte. Egli non è più il simpatico campagnolo venuto in gita nella Capitale, ma viene dipinto all’opinione pubblica come abile uomo di potere capace di sfruttare la delega popolare per perseguire fini personali. Il Senatore Smith è alle strette; ormai deciso a lasciare viene consigliato dall’abile assistente che ha abbandonato il cinismo di donna avvezza a ogni nefandezza e, ravveduta dall'onesta di Smith, lo consiglia ad usare l’unica arma che fino a quando non verrà formalmente destituito sarà suo diritto usare: la parola. E il senatore Jefferson Smith manterrà la parola per ventiquattrore di seguito sostenuto dal Regolamento del Senato, dal Presidente che fino in fondo eserciterà le sue funzioni di superpartes e dal pubblico che inizia a capire. Alla fine i malvagi di fronte a tanta onestà e zelante amore per il proprio Paese e per l’espressione di democrazia che rappresenta, capitoleranno ammettendo le proprie colpe e scagionando il giovane senatore da ogni accusa.
Il film ebbe un grave strascico sulla vita politica del Paese. Il senatore Kennedy da Londra ammonì la casa di produzione di Capra, la Columbia, dal proporre la distribuzione in sale d’oltreoceano e così fecero anche molti altri rappresentanti degli Stati Uniti all’estero. La pellicola sarebbe stata una minaccia per la credibilità delle istituzioni politiche americane, una minaccia che avrebbe potuto avere serie ripercussioni per l’equilibrio mondiale a due passi da una nuova guerra mondiale.
Nessuno però, se non dopo diversi anni (il film è stato inserito dall'American Film Institute al ventiseiesimo posto tra i migliori film americani di tutti i tempi) ravvide la grande dimostrazione di libertà che il film di Capra voleva rappresentare: la vita di un Paese non sono le persone, ma la solidità e la garanzia di funzionamento delle sue istituzioni. Senatores boni viri, Senatus autem mala bestia

Mr Smith va a Washington (Mr Smith goes to Washington) di Frank Capra, 1939, con James Stewart e Jean Arthur