lunedì 26 luglio 2010

Ancora sui viaggi di carta. Da dove partiamo?


Torniamo ai nostri viaggi di carta, come promesso qualche giorno fa, ricordando che il viaggio di carta non costa, non consuma, non deturpa e non sottrae risorse utili allo sviluppo della popolazione locale.

Inoltre il viaggio di carta non delude mai; se l'itinerario non ci aggrada non siamo costretti a patire climi infernali, sobbarcarci trasferte infernali, compagni di viaggio poco gradevoli...

Basta chiudere il libro e riporlo. Fine del viaggio!

Ho deciso che condividerò con voi le mie esperienze di cartonauta mettendo a disposizione i commenti sui libri di viaggio che ho letto e che in molti casi non mi sono proprio costati nulla perché ho trovato presso la biblioteca comunale di Asti una nutrita collezione di resoconti di viaggio che, sebbene abbia iniziato ad intaccare da qualche anno, continua a riservarmi sorprese.

Nel corso delle prossime settimane pubblicherò le mie brevi recensioni (poco professionali, in verità) secondo un avvicendamento del tutto tutto casuale anche per sottolineare come il viaggiatore-lettore possa spaziare il globo terraqueo senza porsi limiti di sorta.

Da dove volete partire?

martedì 13 luglio 2010

I viaggi di carta, senza biglietto.


Una delle pratiche che gli apostoli dell’eco-compatibile vanno profetizzando da tempo sono i cosiddetti “viaggi di carta”, gli itinerari letterari lungo i sentieri trascritti da autori famosi, meno famosi o semplicemente poco conosciuti che per combinazione genetica hanno ricevuto il dono di sapere scrivere e, dalle circostanze della vita, la possibilità di viaggiare. Tanto e per periodi ragionevolmente lunghi da giustificare la tenuta di un diario di viaggio.
Alcuni sono diventati capolavori, guide spirituali per intere generazioni di fricchettoni di allora e di fighette di oggi. Altri sono meno famosi e sebbene non offrano la dimensione spirituale rimangono pur sempre delle buone guide.
Il viaggio di carta aiuta. Innanzitutto a leggere un libro che, dati i tempi di stagflazione della cultura, è sempre una buona pratica. In secondo luogo allarga i confini del nostro immaginario su molti luoghi del mondo e restringe il campo delle possibilità di caderci, nei luoghi comuni ovviamente. Terzo, aiuta a risparmiare, e noi sappiamo bene che oggi risparmiare vuol dire, nel 99% dei casi meno spreco di risorse: carburante per aerei, consumo del territorio, utilizzo per scopi da diporto di risorse destinabili ad uno sviluppo autoctono.
Annovererei tra i risparmi anche la salvaguardia da scocciature latenti e reali presenti in ogni viaggio esotico che avremmo potuto evitare approfondendo le nostre conoscenze geografiche con un maggiore impegno nella lettura di libri, piuttosto che dei cataloghi di tour operator.
Aggiungerei anche che leggere un resoconto di viaggio, tenuto conto della sua collocazione temporale ci permette di valutare anche il passaggio degli eventi, dei fatti, degli uomini di allora e delle incisioni che hanno determinato lo sviluppo, nel bene o nel male, di un determinato luogo. O per capire cose che avremmo dovuto sapere prima di partire.
L’anno scorso ho avuto la fortuna di accompagnare Guido Piovene nel suo lungo peregrinare per gli Stati nell’America dei primi anni ’50 (chi altri mi avrebbe potuto dare un passaggio temporale fino a 60 anni addietro) scoprendo molte realtà della società Americana del tempo che rendono ancora più sorprendente la venuta di Barak Obama al seggio della Presidenza. Ma ho viaggiato anche con velleitari e sconosciuti scrittori che hanno carpito l’importanza della loro testimonianza e hanno saputo tradurla in un’edizione letteraria in grado di stimolare un reale desiderio di partire per destinazione del tutto inaspettate e imprevedibili. Perché un interessante resoconto di viaggio è innanzitutto la capacità di riuscire a valorizzare la banalità di un luogo anonimo e apparentemente insignificante. E fare nascere in qualcuno la voglia di andarlo a vedere. Il turismo è, innanzitutto, letteratura.
Ho deciso di mettere a disposizione su questo blog i miei resoconti di viaggio (letterari) dato che mi sono accorto di avere percorso parecchi litri di inchiostro da tipografia di percorrenza in diversi luoghi del mondo: Patagonia , Terra del Fuoco, Siberia, Alaska, Cina e Russia e che, soprattutto, è diventato opportuno rendere disponibile questo ammasso culturale per il fanatico della prenotazione al fine di renderlo più stanziale e riflessivo. O magari invogliarlo a partire veramente. In questo caso, che dire?
Beato lui, che invidia!

venerdì 9 luglio 2010

Ospitare la dignità. E ricevere un trattamento degno

Provate ad immaginare un’attività imprenditoriale che utilizza persone con evidenti problemi fisici, le fa lavorare, le carica di responsabilità, e in ultimo, scandalo degli scandali, le paga poco o non le paga affatto.
Avete immaginato? Bene, io ho scoperto invece che è una grande iniziativa che va premiata, supportata e, soprattutto, gridata al mondo.
L’albergo Etico è una formula di volontariato obbligato; ci si trova inaspettatamente forzati a fare i conti con le proprie ritrosie, pavidità e tentennamenti. Si viene messi, improvvisamente di fronte ad una realtà che, per mille e legittime ragioni si è sempre scantonata: aiutare gli altri, anzi, peggio ancora, aiutare i diversi.
Antonio De Benedetto è uno degli animatori dell’”Albergo Etico”, un albergo, leggo sul loro sito “a tutti gli effetti, capace di affrontare il mercato offrendo servizi di qualità, fatto da professionisti del settore ,il cui obiettivo è l’utilizzo dello strumento albergo per il recupero delle persone con handicap sensoriali e fisici”
Ne parliamo al telefono e percepisco dalla voce di Antonio tutto l’impegno e il sangue che scorre in questo progetto che sebbene dell’albergo esista solo un simulacro in polistirolo, può offrirne un assaggio presso il ristorante Taca Banda di Asti, un locale che nel giro di alcuni anni ha acquisito notorietà e credito per il coraggio di accostamenti avanguardistici tra cucina, arte e cultura.
Adesso anche con il sociale.
Pagare poco le persone approfittando del loro stato di debolezza è una pratica odiosa, purtroppo in auge da sempre, ma nel caso dei ragazzi che con entusiasmo hanno preso parte alle iniziative dell’albergo l’equazione che sostiene la loro iniziativa restituisce un risultato a somma positiva: “la moneta con la quale vengono ripagati i ragazzi che lavorano con noi è la maggiore autonomia che ricevono in cambio” sostiene Antonio che tiene a precisare che l’indipendenza lavorativa che riescono a raggiungere è il frutto di un lungo e faticoso percorso che, nel caso dell’Albergo, ha impegnato per anni animatori, volontari e genitori della varie organizzazioni che senza nessun tipo di incentivo (questo si, che è uno scandalo) si occupano di dare un futuro normale a questi ragazzi.
Antonio mi spiega che il loro obiettivo è realizzare una struttura ricettiva che possa offrire una valida opportunità di impegno per ragazzi Down i quali, se ben guidati e motivati, possono raggiungere elevati livelli di autonomia. “Per adesso servono ai tavoli, ma la prima colazione dell’albergo cadrà interamente sotto la loro responsabilità. Dalla preparazione dei tavoli a servire caffè e cappuccini ai tavoli”.
La scala della gravità della sindrome di Down è molto estesa. Le persone che noi vediamo in giro, che prestano il loro aiuto in qualche attività sono il versante più evidente di questa situazione. Il vero problema sono coloro che non possono raggiungere alcun livello di autonomia, e che sono, giocoforza, costretti all’immobilità senza partecipare ad alcuna attività sociale. “Se ben guidato, un ragazzo Down può arrivare a buoni livelli di autonomia” mi spiega il responsabile di un centro Anfass del Piemonte, ma invita a non dimenticare che si tratta sempre di una persona che potrebbe avere difficoltà a dovere decidere in autonomia. “La loro diligenza e impegno è sempre fuori discussione. E poi il loro sorriso è un esperienza che ripaga di tutte le nostre fatiche”.
La mia domanda è autoreferenziale, ma non posso trattenermi dal chiedergli come sono le reazioni degli avventori che si trovano, loro malgrado, alle prese con persone di cui raramente si ha a che fare. La risposta è un esempio di garbo e cortesia nei confronti del mio disagio latente, ma nello stesso tempo una lezione che arriva come uno schiaffo: “il problema è che essere Down, non è più una malattia, oggi. Siamo noi che troviamo molto comodo bollarli come malati” Conclude il suo ragionamento Antonio infierendo l’ultima staffilata sulla mia indolenza mentale: “se proprio deve essere una malattia è una malattia sociale”.

Per informazioni sull’Albergo Etico e altri programmi di lavoro per portatori di handicap: www.albergoetico.it