L'ordine era stato dato, Inaspettato, ma salutato con urla di gioia dall'equipaggio. Tutta la velatura fu messa al vento. I giovani cadetti esultavano scivolando lungo le vele di mezzana afferrandosi all'ultimo ai pennoni prima di una mortale caduta sul ponte. Le due lance con a bordo quattro o cinque uomini iniziarono a rimorchiare la nave verso il largo. A bordo altri uomini erano all'argano. Quando l'ancora uscì dall'acqua, lasciando dietro di se una macchia di sabbia e alghe, partirono gli urrà. Il nostromo urlava ordini mentre la grande ruota veniva fatta girare vorticosamente per agevolare le manovre di tonneggio. In pochi minuti la nave era pronta per prendere il largo anche se nella baia, molto ridossata, il vento era ancora debole. Il nostromo diede l'ordine alle due lance di continuare a remare verso il largo. Il comandante non si era ancora visto.
Sulla spiaggia l'agitazione degli indigeni aumentò quando fu chiaro che la nave sarebbe partita. In pochissimo tempo una decina di canoe prese il mare. Le urla di incitamento e le invettive contro gli stranieri che partivano improvvisamente riempivano l'aria che cominciava a farsi tesa. Le piccole canoe grazie ai colpi di pagaia dei piccoli uomini con la pelle dorata erano velocissime. Sulla lancia in testa, a prua, sedeva una giovane donna che muoveva le braccia in modo voluttuoso. Dietro di lei, due uomini giovanissimi, pagaiavano con rabbia. In quel momento apparvero a babordo il capitano e l'ufficiale che indossava una camicia bianca con vistose strisce di sangue sulla schiena. Entrambi guardavano lo spettacolo delle canoe che si avvicinavano. Il capitano guardò la donna. Era completamente nuda e continuava la sua strana danza fatta con i soli movimenti delle mani. Urlava e cantava, ma la sua voce non era distinguibile; sicuramente diceva qualcosa di osceno e offensivo. Era completamente nuda con le gambe divaricate. Quando furono a poca distanza dalla nave la donna portò entrambe le mani in direzione del pube. Guardava i due uomini con sfida e rabbia, ma non riusciva a togliere dai suoi occhi un velo di tristezza. Il comandante, sorpreso dal gesto, ebbe un sussulto di vergogna. Si girò verso l'ufficiale con un sorriso imbarazzato. L'ufficiale guardava la donna, ma pensava ad altro. Erano arrivati a traverso del promontorio e il vento rinforzò. La nave con una decisa sbandata prese il vento e abbandonò l'isola. Gli indigeni seduti sulle loro canoe ormai ferme, affranti, guardavano la nave che se ne andava.
Il 17 dicembre del 1786 la Great Spirit of Endeavour attraccò al porto di Bristol dopo 632 giorni di mare attraverso il globo. Il comandante sir Paul de Larissange era appena entrato nella sua cabina. La sua nave aveva perduto quattordici uomini per cadute, risse e per postumi mal curati di punizioni corporali a seguito di tentativi di ammutinamento e fuga. I risultati delle esplorazioni erano di estremo interesse e la lettera che aveva appena finito di scrivere era destinata alla Reale Accademia Geografica dove sicuramente sarebbe stato invitato per una conferenza. Si volse verso la banchina e dalla vetrata di poppa e vide il primo ufficiale Lionel Trusney che avanzava con il suo bagaglio verso una giovane donna accompagnata da un ragazzo di circa dodici anni e una bambina di poco più di cinque. Salutò la donna con una stretta di mano, si volse al ragazzo che fece un inchino. Cercò di accarezzare la bambina, ma questa di strinse al fianco della madre. Il comandante assistette alla scena e pensò alla fuga di Trusney, ai suoi propositi di ammutinamento, alla donna che aveva amato e che aveva comprato scambiando piccoli oggetti di metallo, sconosciuto tra gli indigeni, per avere protezione e riparo durante la fuga. Aveva dovuto riprenderselo quel validissimo uomo di mare. Anche se sapeva che Lionel Trusney non era fatto per la vita di terra.
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