L’America è un paese molto grande. Con la fortuna di avere tante strade. Comode, ben tenute e con tante
stazioni di servizio. Con una qualsiasi automobile in grado di macinare
chilometri, nel giro di qualche ora si può passare dall’inverno all’estate,
semplicemente guidando avendo solo l’accortezza di diminuire il riscaldamento
man mano che si scende verso sud. Questo è un particolare non da poco dato che non ci sono molti altri posti dove questo è possibile. Ecco perché in questo Paese la letteratura "on the road" è proliferata suscitando tanto entusiasmo presso intere
generazioni. Intraprendere un viaggio Oltreoceano con o senza una meta prefissata non è stato, beninteso, appannaggio solo delle recenti generazioni motorizzate.
Il viaggio di scoperta era iniziato molto prima. Sicuramente uno dei più
celebrati (e citati) è stato quello di Alexis de Tocqueville che nel pieno del
XIX secolo partì alla scoperta degli Stati Uniti prendendo spunto da una sua
personale curiosità sul sistema carcerario di quel Paese, forse presagendo che
il tumultuoso sviluppo del Paese grazie al contributo delle orde di milioni di
immigrati destinati a sbarcare nel giro di qualche decennio non sarebbe stato
possibile senza un rigido sistema punitivo. Ed è sempre un altro francese, un
filosofo questa volta che, a distanza di qualche decennio, decide di ripercorrere le orme del
connazionale andando a rivisitare i più agghiaccianti luoghi di detenzione
Americani per sottolineare l’enorme differenza di pensiero che incide sul
sistema giudiziario di questo Paese che tollera l’agonia del braccio della
morte rispetto a quello dei Paesi europei occidentali. Del libro di Bernard-Henri-Lévy
abbiamo già parlato in questo blog. Per rimanere sul tema degli Europei che
hanno scoperto l’America prima dell’era dell’automobile è giusto ricordare
anche Giacomo Agostino Beltrami, bergamasco , che a seguito di , a suo dire,
una profonda delusione amorosa, ma più probabilmente per un profondo animo
intriso di avventura, decide di partire per il grande continente americano trovandosi,
praticamente senza volerlo a scoprire le fonti del Mississippi, anche se in
seguito si scopri che proprio le fonti principali non sono. Ma pur sempre una
bell’impresa per un bergamasco deluso. E non solo. E’ opera sua il primo dizionario
scritto per la comprensione dell’idioma delle popolazioni indiane che
popolavano il grande fiume americano. Nessuno prima di lui e pochi altri dopo di lui. E
pensare che in patria, dove è tornato da vecchio per morire, sono in pochi a
conoscerlo. Un altro italiano, contemporaneo nostro questa volta, Mario Maffi,
ci racconterà del grande fiume. Ovviamente non tralascerà di raccontarci dei
meriti del nostro conterraneo, ma ci accompagnerà in un viaggio lungo e
disperato alle ricerca delle immagini di un’America che ancora, ostinatamente,
continua a sognare lungo questo fiume che più che favorire l’avverarsi dei desideri, molto spesso li trasforma in incubi. Nel biennio 1952/53 uno
scrittore italiano, Guido Piovene raccontò l’America all’Italietta che usciva
dalla guerra e che gli americani ce li aveva ancora in casa. Il De America è un
libro che andrebbe letto e riletto (e ristampato visto che è adesso
introvabile) perché parla dell’America senza nessun timore reverenziale, con la
curiosità dello scettico che vuole vedere fino a che punto si può spingere un popolo che non da credito alla cultura, se non a
quella fattiva delle grandi imprese della tecnica e della scienza. E’ in quegli
anni di progressi la scienza ne stava facendo tanti, soprattutto negli Stati
Uniti . Nel libro di Piovene i neri sono ancora i “negri”, ma alcune
riflessioni sui problemi dell’integrazione avrebbero potuto tranquillamente fare
prevedere l’elezione, un giorno, di un presidente nero. Se agli europei piace
il viaggio per la scoperta della differenza, delle ricerca dell’esorbitante e
dell’anomalo, per porsi poi sempre con l’atteggiamento derisorio di chi pensa
che la cultura sia un altro tipo di cosa, per gli americani la scoperta del
proprio Paese ha molto di esistenziale. Il viaggio porta allo svelamento delle
debolezze del proprio essere, alla scoperta dei propri fallimenti. Che
inevitabilmente contribuiscono a porsi molte domande sul perché il mondo
continui a consideralo il migliore modello di sviluppo. Significativo, a questo
proposito il libro di Richard Grant che ha seguito i flussi dei nomadi
americani per scoprire l’essenza del loro peregrinare su mezzi di fortuna scoprendo
che magari un barbone americano viaggia per duemila chilometri approfittando di
treni e camion solo perché a Seattle il mercoledì un determinato bar offre un
caffè caldo ai disperati. È un libro molto forte scritto da chi ha dovuto
calarsi nella parte per evitare di cadere nel pietismo verso un fenomeno che
negli Stati Uniti ha dimensioni enormi. Un altro scrittore, americano, Bill Bryson
ci porta invece alla scoperta dell’America Perduta, un viaggio alla ricerca
delle reliquie dell’intraprendenza americana e dei suoi fallimenti. Che veri fallimenti
non sono mai. I parchi di divertimento abbandonati alla ruggine, i grandi
alberghi del Vermont e del New Hampshire inghiottiti dalla foreste, le miniere
di antracite che bruciano senza sosta, centri di ricerca e basi aeronautiche
abbandonate a se stesse sono lo specchio di una concezione di impresa che
contempla solo il successo e il profitto fino al momento in cui un’altra
possibilità, più ricca, più nuova e più profittevole soppianterà quella in
corso. Esemplare, a questo proposito, quello che ci racconta Jonathan Raban un
giornalista scrittore inglese, trapiantato nello stato di Washington che scopre
la grande truffa di cui furono vittime molti agricoltori del fertile mid-west i quali, attratti dal miraggio della proprietà terriera si riversarono nel lontano Montana,
terra maledetta, arida e ingenerosa che fu prodiga solo con pochi resistenti e
tenaci, lasciando nell’oblio migliaia di disperati. Bad Land è un racconto di
speranze e di miserie, che prende spunto da vicende vere, simili a quelle
raccontate da Steinbeck in Furore, per molti anni dimenticate come le case
cadenti abbandonate in mezzo alla polvere delle praterie. Ma è Il viaggio per
il viaggio, alla Kerouac, per intenderci, quello che stimola maggiormente l’irrefrenabile
voglia di scrivere e di non fermarsi mai. Come William Least-Heat Moon che
scoprendo di avere perso il lavoro praticamente nello stesso giorno in cui
viene abbandonato dalla moglie decide di caricare un sacco a pelo sul suo malconcio furgone partire alla ricerca dell’America delle strade secondarie, le strade
che sulle cartine stradali di una volta venivano segnate in blu. Strade blu è
la vita di un disperato che si snoda per l’America delle periferie, dei paesi
fantasma che pullulano di anime tormentate ed insoddisfatte. Un viaggio
circolare che tocca tutte le principali aree demografiche dell’America (Centro,
il Sud, le Montagne Rocciose e le grandi pianure) raccontato in un libro di
grande impatto emotivo che ci riporta all’America comunque confortevole e conciliante degli
anni antecedenti alla liberalizzazione di Reagan. Più inquietante e con un
lieto fine mancato è invece il racconto di Jon Krakauer che ci racconta per
interposta persona il peregrinare di un adolescente che di fronte ad un
avvenire di sicuro successo decide, alle soglie della maturità di girare da
vagabondo per gli Stati Uniti vivendo di stenti e di espedienti per assaporare
la libertà assoluta che il suo animo tormentato desiderava. Per andare incontro
ad una misera e triste fine all’inizio della madre delle sue avventure, la
scoperta e la conquista dell’Alaska, l’ultima frontiera della grande avventura
dell’America.
Bibliografia:
Luigi GRASSIA (2002), Un Italiano tra Napoleone e i Sioux. Giacomo Agostino Beltrami, il patriota, l'esploratore, il letterato, Il Minotauro - ISBN 88-8073-069-X;
Mario MAFFI (2004), Mississipi. Il grande fiume: un viaggio alle fonti dell'America, Rizzoli - ISBN 88-17-87174-5;
Guido PIOVENE (1953), De America, Garzanti;
Richard GRANT (2003), Senza mai fermarsi. Viaggio con i nomadi americani, Neri Pozza - ISBN 88-7305-937-6;
Bill BRYSON (2002), America perduta. In viaggio attraverso gli Usa, Feltrinelli - ISBN 88-87-108100-7;
Jonathan RABAN (1998),Bad Land. Una favola americana, Einaudi - ISBN 88-06-14572-X;
William LEAST-HEAT MOON (1989), Strade Blu, Einaudi - ISBN 88-06-11606-1;
Jon KRAKAUER (2008), Nelle terre estreme. Un viaggio nella natura alla ricerca della libertà assoluta. Una storia vera, Corbaccio - ISBN 88-7972-925-3