E’ innegabile che Pietro Germi si sia lasciato suggestionare da quel brandello di epopea della grande Recessione americana descritto magnificamente nel film “Furore” quando, nel 1950, diresse il “Cammino della Speranza” uscito esattamente 10 anni dopo il capolavoro di John Ford, ma è altrettanto vero che l’ispirazione al dramma rappresentato dalla pellicola attinse a piene mani dalla realtà dura e cruda del nostro Paese di quegli anni.
Il “Cammino della Speranza” è un film che la critica tende ad annoverare tra i contributi al neorealismo italiano anche se riprende solo in parte i tratti distintivi del genere. Salvo alcuni spunti di particolare valore “neorealistico” come l’incontro a Roma tra il ragazzino in bicicletta e la siciliana spaesata alla ricerca del marito, la vicenda è troppo romanzata, lineare e semplificata e non sempre brilla per coerenza cronologica. Gli attori sono carichi di pathos e mimica gestuale quasi avessero abbandonato la recitazione senza il sonoro il giorno prima. I personaggi di contorno, sebbene particolarmente azzeccati nei ruoli, restano guitti mestieranti senza particolare talento.
Suggestive e di particolare pregio sono le inquadrature iniziali con il gioco magistrale tra il bianco abbacinante degli edifici della zolfatara ottocentesca, il cielo livido e le sagome scure delle donne in attesa del ritorno degli uomini dalle gallerie della miniere.
Ma ciò che colpisce è la capacità del regista di riprendere in presa diretta un dramma umano allora contingente e reale: la fuga degli Italiani stremati dalla disoccupazione per raggiungere i Paesi d’Oltralpe e tentare la fortuna e un riscatto alla miseria. E sarà l’inizio di una nuova epopea e il prologo di nuovi drammi: le migliaia di italiani sradicati dalla propria terra e destinati a fare i minatori in Francia, Belgio, Germania, a spalare quel carbone che in milioni di tonnellate arriverà in Italia per dare fuoco al boom economico prossimo ad esplodere. Sarà dunque l’inizio di tragedie piccole (ormai dimenticate) e grandi come Marcinelle, che sempre con maggior fatica si commemorano. Ma il “Cammino della Speranza” è un film sull’inizio, sull’inizio della ricerca di un’occupazione e di una sistemazione che nel film non vediamo, ma oggi, possiamo solo immaginare.
Se l’inflessibile guardia di confine francese che abbandona la maschera di severità al sorriso del bambino porta a riconciliare lo spettatore con la vicenda e i personaggi, nulla sappiamo di che cosa sarà di loro appena si dovranno scontrare con la realtà dello sfruttamento della manodopera di disperati in cerca di lavoro.
Oggi il seguito di quel film lo si potrebbe girare qui da noi, in Italia, perché dopo la rincuorante assistenza nei centri di accoglienza verso chi è scampato al cammino della speranza di oggi, che non è più il confine tra Italia e Francia, ma sono i deserti infuocati attraversati in completa incoscienza, la vera fatica di vivere la si incontra nell’incertezza, in chi specula sulla miseria altrui, nella burocrazia e nella diffidenza. Il dramma dell’umanità in cammino che con tenacia e costanza sa portare ricordi, amori, affetti e legami attraverso situazioni quasi sempre senza possibilità di controllo è ben espresso nel film di Germi, che, detratto dell’intrinseco valore artistico, resta un grande documento per l'originalità del tema e l'attualità storica. A questo proposito, la Roma ripresa nel film è reale. E’ la Capitale nel 1950, l’anno degli Americani, degli attori di Hollywood, della dolce vita che iniziava ad affacciarsi dalle terrazze dei palazzi. La denuncia di Germi è passata anche di qui, dagli uffici dei commissariati romani dove agenti troppo zelanti sono affaccendati in altre questioni per accorgersi dei drammi e degli odiosi traffici che si consumavano sotto i loro occhi.
Questo film andrebbe rivisto. Proposto alle scuole, ai politici che dimenticano la miseria dietro alle loro spalle, a chi oggi, in fin dei conti, sta bene.
Perché forse quello che ci impedisce di essere veramente un popolo migliore non è tanto la memoria, ma la capacità di ricordare.
“Il cammino della Speranza” di Pietro Germi con Raf Vallone e Elena Varzi - 1950