Expo deve essere un insuccesso. Lo sarà quasi sicuramente, ma è importante che ognuno di noi si impegni affinché di questo trionfo di regime rimanga solo il ricordo di un'enorme pagliacciata. Nessun compri biglietti, nessuno lo visiti, nessuno ne parli. Questo è giusto e doveroso da parte di cittadini che hanno idee diverse su come vadano spesi i soldi pubblici, che concepiscono la cultura in un modo diverso e che sono liberi di pensare fuori dagli schemi prefissati dalla propaganda. Expo deve essere un fallimento perché tanto a nessuno interesserà più sapere se la gente è venuta, ha visto, ha imparato e si ricorderà dell'Italia. Deve essere un fallimento perché chi deve controllare non controlla più niente visto che quello che c'era da prendere è stato preso e che quello che restava da prendere è stato messo sotto chiave all'ultimo momento, Expo deve essere ricordato come una misera messinscena perché Milano non è una città internazionale, ma un buco di periferia mondiale dove nessuno conosce l'inglese e dove a nessuno interessa conoscere l'inglese; dove a nessuno frega niente dell'alimentazione sana e il concetto di universo da sfamare si ferma al mondo delle quattro mura familiari. Soprattutto Expo non è l'immagine di un'Italia dove milioni di persone lottano per sopravvivere, combattono gli sprechi e rifuggono alla sciatteria; non è l'immagine di quel manifesto sgrammaticato opera di qualcuno che resterà, al solito, impunito. Expo deve essere boicottato, ma non illudiamoci di passare essere ricordati per la nobiltà dei nostri propositi o dei nostri ideali. Che vada bene o che vada male, di Expo a nessuno interessa più nulla.
Attraverso le nostre scelte consapevoli è possibile diminuire i consumi per l'affermazione di un'economia sostenibile ed equa. Dai modelli di comportamento, ai trasporti e alle letture tutto è materia per un approfondimento che porti a discriminare tra l'utile e il vacuo, tra la sostanza e l'effimero, tra il modello virtuoso e il pedissequo seguito a richiami di inconsistente benessere.
giovedì 19 marzo 2015
martedì 17 marzo 2015
Servitori dello Stato
Qual'è la spinta che porta un carabiniere in pensione a mettere in gioco la propria vita per fermare una rapina accaduta a danni di altri sotto i suoi occhi? L'istinto ad essere sempre dalla parte della legge, In altre parole, essere carabiniere sempre anche dopo che la divisa rimane solo una parte dei ricordi di una vita di lavoro (e di sacrifici). Come nel caso del carabiniere di Alessandria da poco ritiratosi, morto d'infarto mentre cercava di impedire con mezzi improvvisati la fuga di due balordi. Ma chi sa spiegare che cosa spinge un boiardo di Stato a occupare uno scranno di potere per coordinare appalti e affari fino alla veneranda età di settant'anni, insomma fino a quell'età dove i lavori pubblici dovrebbero essere perlopiù dei riempitivi per passare la giornata? Non ci sono molte spiegazioni se non le più ovvie e scontate: servire lo Stato per senso del dovere è una virtù e gli uomini virtuosi, si sa, sono pochi. Servirsi dello Stato per arricchirsi è una turpe pratica che accomuna persone con molti vizi. Tutte permangono salde nelle proprie posizioni per amor proprio e del proprio benessere,sacrificando riposo, nipoti e passeggiare ai giardinetti. E poi: perché il fedele servitore dello Stato non indugia a mettersi in gioco mentre un ministro compromesso non si decide a lasciare? Chi è il più coraggioso e il più attaccato al dovere? E per finire: che tipo di persone ha bisogno l'Italia per essere un Paese migliore: quelli come il carabiniere di Alessandria o quelli come il ministro Lupi? In verità nessuno dei due dato che presto entrambi saranno dimenticati.
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