giovedì 21 giugno 2012

Il trasporto pubblico secondo Cota


Ci sono molti modi per decidere come spendere meglio i soldi. La regione Piemonte ha deciso di optare per la soluzione più facile e banale e cioè non spendere.
La Regione Piemonte con il consenso della divisione del trasporto locale di Trenitalia ha decretato di procedere alla soppressione di ben 14 linee ferroviarie locali. Motivo: non sono redditizie. Bella scoperta e da quando lo sono? O meglio, come potrebbero essere visto che non si spende un centesimo per promuovere l’uso del treno come mezzo di trasporto, svago e acculturamento?
Questa decisione spiazza definitivamente le illusioni di alcuni comitati di cittadini riuniti sotto gli auspici democratici di Agenda21 che avevano proposto di riattare almeno le tratte più prossime ai principali centri urbani per un utilizzo del treno come metropolitana leggera per dare un minimo di sollievo al traffico in entrata dai piccoli centri o frazioni limitrofe. Molto probabilmente a Cota non interessa sapere che Asti è una della città con la qualità dell’aria peggiore di tutta Italia per colpa dei gas di scarico di un traffico demenziale.
Alcune delle linee dismesse attraversavano territori di particolare valore storico, artistico, enologico e gastronomico. Guarda caso le leve sulle quali la Regione Piemonte sta investendo per la propria promozione. Le ferrovie stesse sono, in alcuni casi, opere di valore architettonico particolare. La Asti-Chivasso realizzata già nel secolo scorso dispone di un unico patrimonio di stazioni arricchite di elementi liberty, stile imperante ai tempi della costruzione. Ovviamente oggi sono tutte in abbandono. Fra l’altro la ferrovia Asti-Chivasso transita a pochissimi metri dall'insediamento proto romano di Industria, un sito archeologico di grandissimo interesse. Che il treno potrebbe valorizzare. Lo stesso vale per il territorio e quello che potrebbe offrire ad un turismo sempre più attento a evitare le proposte becere e banali: le Langhe, il Monferrato con la loro storie e le loro particolari ed uniche espressioni di cultura.
Bella decisione quella di Cota. Ha deciso di rimpiazzare il mezzo ferroviario con corse di corriere aumentando il traffico e l’inquinamento sulle strade. Una decisione che ha i suoi  epigoni nelle scellerate politiche di chiusura delle linee locali praticate dalla fine degli anni ’50 per buona parte degli anni ’60 e ’70. Ma allora si voleva (e si doveva) fare largo all’incursione dell’automobile che avrebbe dotato tutti di un mezzo proprio per muoversi. Con le conseguenze che ben sappiamo. Ma che molti continuano a fingere di non conoscere. Ma Cota, si sa, non guarda indietro, punta dritto al futuro.
Strano bifrontismo quello della regione Piemonte che rivendica l’utilità di linee poco utili e dispendiose come la TAV Torino-Lione in ragione delle emergenti necessità di mobilità per poi eliminare quello che già esiste di buono. Ma strano è anche il bi-frontismo delle associazioni ambientaliste che si sono ben guardate dall’inscenare manifestazioni di protesta contro una così evidente dimostrazione di incapacità di pianificazione. Probabilmente il palcoscenico della Valsusa porta più pubblico pagante che una dimostrazione in una stazioncina frequentati da 4 pendolari emigrati.
Il nodo della questione è sempre lo stesso: in Italia la Ferrovia non piace. E ai pochi che piace spetta quasi sempre trovarsi dalla parte soccombente. Lo spregio per il treno, ma vale in generale per il mezzo di trasporto pubblico, ha sempre comportato finanziamenti con contagocce che hanno contribuito al peggioramento del servizio e di conseguenza alla disaffezione dell’utenza che ha optato per mezzi alternativi, quasi sempre, data la mancanza di alternative, di tipo individuale. Il circolo vizioso non si è mai interrotto e i recenti provvedimenti adottati dalla Regione Piemonte sono la tragica, scontata conseguenza.
Sopprimere le ferrovie locali oggi è una scelta che non ammette ragioni. Una società che sta sempre più abbandonando la realtà del bene fruito individualmente per cedere il passo al bene comune, penalizzare il trasporto collettivo è stata una scelta di una classe dirigente che ha perso di vista l’orizzonte più ampio degli scenari futuri a furia di spulciare bilanci e libri mastri.
Un politico al passo coi tempi dovrebbe perlomeno sapere che la redditività di una ferrovia non è data solo dai biglietti venduti e i costi per il suo esercizio, ma comprende anche tutto quello è un valore oggi difficilmente computabile, ma che qualcuno domani farà pesare sul nostro tornaconto: il degrado del paesaggio, l’imbarbarimento dei modelli di vita, la scarsa attenzione per le necessità dei più deboli.
Ma Cota, si sa, cammina troppo svelto per stare al passo coi tempi. Per andare dove, chissà

lunedì 18 giugno 2012

L’Europa che riparte da Trás-os-Montes .


Per fronteggiare la gravissima crisi finanziaria che pesa sul Portogallo, il governo ha stanziato 63 milioni di euro per incentivare i giovani al ritorno alla campagna. La regione che beneficerà del riflusso di persone  ben istruite con elevate conoscenze tecnologiche e con qualificate esperienze lavorative è quella di Trás-os-Montes, una delle zone più povere del Portogallo e di conseguenza, d’Europa.
L’obiettivo ufficiale è il ripopolamento, ma la vera sfida è potere dimostrare che un altro tipo di sviluppo è possibile. Uno sviluppo che non integra il sistema costituito, ma procede esattamente nella direzione opposta. Un nuovo sistema che riparte proprio da dove temiamo di rovinare. Dal fondo del tunnel in cui tutti paventano di cadere. Ma un’altra luce proviene dall’oscurità ed è quella della frugalità che salverà i popoli.
Anche in Italia si assiste ad un fenomeno simile. Ne abbiamo già parlato su questo blog. Sono i piccoli centri dell’Appennino ligure che si stanno ripopolando grazie all’afflusso di migranti nordafricani che hanno deciso di ripartire dalla terra. Con la collaborazione di qualche sindaco di buon senso che vede valore e ricchezza in chi viene da lontano.
Non aprono, ben inteso, centri benessere, agriturismo o bed and breakfast per quella fetta di Mondo che continua a ritenersi immune dalle tenaglie dalla crisi. Aprono solo una nuova prospettiva di vita che antepone la sussistenza al guadagno, la dignità alla malversazione e la virtù al vizio.
La terra è una grande opportunità che l’Europa può giocarsi. La  cultura contadina è ancora prevalente in buona parte del nostro continente. Basta solo farla riaffiorare.
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lunedì 4 giugno 2012

La signora dei campi che aiuta chi vuole ripartire dalla terra


In occasione della manifestazione “MiFaccioImpresa” organizzata dalla provincia di Milano con il patrocinio del Ministero per lo Sviluppo Economico, è stata premiata un’imprenditrice agricola a capo di una fattoria improntata a metodologie di coltura ed allevamento non intensive o, per dirla tutta, di permacoltura.  Niente di strano premiare un’imprenditrice di successo. La faccenda diventa curiosa quando si viene a scoprire che “MiFaccioImpresa” si propone di sostenere lo sviluppo dell’imprenditoria che punta all’innovazione.
Allora dove sta l’innovazione? Semplice nell’idea.
La signora Irene di Carpegna Brivio ha valorizzato il concetto della terra, non tanto fine a se stessa, ma in forza dell’antico vincolo che la lega all’uomo. Un vincolo particolare, di cui oggi, assoggettati alla logica della macchina che lavora per noi, si è persa la vera essenza.
Condurre una fattoria che rispetta gli animali per quelle che sono le loro necessità fisiologiche non aiuta solo a produrre alimenti di migliore qualità che posso vendere a prezzi più alti del supermercato, ma serve ad imparare che le galline possono e devono razzolare in uno spazio aperto perché quello spazio fornirà a loro il cibo migliore ricevendo, grazie ai loro escrementi,  anche il nutrimento migliore. Lo stesso vale per i maiali che devono grufolare, le mucche, le capre.  Di questo avevamo perso la memoria perché abbiamo voluto ricompattare la cultura della terra alla dimensione industriale dei pollai a batteria, degli allevamenti intensivi, delle monocolture. Oppure l’abbiamo semplificata sopprimendo le infinite varietà di frutta e verdure per concentrarci solo su quelle più spendibili per ragioni commerciali.
Oggi abbiamo gli orti in casa; ci riprendiamo spazi naturali pensando di assumere comportamenti sostenibili e rispettosi dell’esiguità di risorse che attanaglia le economie occidentali. Ma sono mode, non espressioni di una cultura che non abbiamo più.
Ha detto la signora Irene ritirando il premio che lei non vuole solo fare l’imprenditrice agricola, ma vuole creare un humus per fare capire, a chi lo vorrà, che il ritorno all’agricoltura può essere una grande risorsa per ammortizzare la fuoriuscita dal sistema consumistico ormai alle corde, a patto che si voglia capire che cosa significhi - fuor di metafora - vivere dei frutti della terra.
La terra non è uno strumento che possiamo impiegare a nostro piacimento, ma è l’elemento fondamentale della nostra sopravvivenza. Ridicolizzarla, sminuire le sue prerogative e cercare di addomesticarla ai nostri bisogni, non è mai salutare. L’uomo dovrebbe avere imparato ormai.  
La fattoria si chiama Cascina Santa Brera ed è vicino a Pavia in  un luogo ameno che invita alla riconciliazione con le cose semplici e naturali. Come una vacanza in un isola in mezzo al mare. Ma non è alla vacanza che ci invita a pensare la signora Irene, ma ad un diverso modo di vivere concentrato su poche cose fondamentali depurato degli orpelli che appesantiscono la nostra vita fino a renderla, purtroppo per molti, insopportabile. Certo, non è una vita facile, ma dura e piena di incognite; ma in molti vogliono provarla: in Grecia i figli e nipoti di chi anni fa si inurbò nelle grandi città lasciando il villaggio sull’isola o sulla costa stanno tornando a vivere di pesca e agricoltura. In Italia, molti paesini dell’entroterra ligure spopolati durante gli anni della febbre dell’emigrazione stanno tornando ad essere abitati (e vissuti) da extracomunitari che hanno ancora fresca l'immagine dalla fatica quotidiana.
Perché è proprio la fatica alla base dell’idea di cultura agricola che vuole infondere la signora Irene. Non c’è niente di rilassante, non è meglio della palestra, non aiuta a dimagrire. Magari a fine giornata non ci si fa neppure la doccia. Di sicuro c’è solo sudore, ma i frutti non tarderanno ad arrivare.
Scavate nella vigna, perché è lì che troverete il tesoro.