Non era il primo sbarco sulla
luna, quello del luglio 1969, ma quello di qualche anno dopo, il secondo o il
terzo. Frequentavo il quarto anno delle elementari in un grosso centro
industriale della Lombardia. Il “Corriere dei Piccoli” di cui ero assiduo e attento
lettore aveva dato molto risalto all’impresa con articoli, disegni, foto e
fumetti sull’argomento. Ero considerato un esperto in materia e godevo di
un certo credito con i compagni. Il giorno seguente allo sbarco durante
l’intervallo le discussioni tra di noi erano entusiaste e piene di ammirazione
per gli astronauti, soprattutto per il primo giro in automobile effettuato sul
suolo lunare. Negli occhi c’erano le immagini in bianco e nero trasmesse in
diretta dalle televisioni. Ognuno riferiva un particolare, un dettaglio
sfuggito agli altri che incrementava l’entusiasmo e l’ammirazione. Ad un certo
punto il Mazzoni, figlio del farmacista, che non era nostro compagno di classe
ammutolì il gruppo sorprendendoci con una frase che ci lasciò interdetti:
“anche io ho visto l’uomo sulla luna, ma a colori!”. Bisogna sapere che a quei
tempi la televisione a colori era già attiva nella vicina Svizzera, ma per
poterla vedere era ovviamente necessario disporre di una televisione a colori
il cui prezzo era altamente proibitivo per molti, ma probabilmente non lo era
per il padre farmacista del nostro compagno. Fummo spiazzati. Un vantaggio del
genere era incolmabile e avrebbe posizionato il Mazzoni su un gradino di
popolarità che nessuno avrebbe potuto eguagliare, anche con sfoggio erudito di
conoscenze in merito. Avvertimmo un senso di pesante ingiustizia. Il Mazzoni
non aveva nessun merito scientifico se non quello di possedere una televisione
a colori. Dopo l’intervallo riferimmo al nostro maestro, un uomo originario
della Lucania, magnanimo, giusto e di gran cuore verso il quale tuttora, noi
tutti ex scolari portiamo un sentimento di grande affetto e riconoscenza. Aveva
un forte senso dell’uguaglianza tesa unicamente a livellare le differenze tra i
componenti della sua numerosa classe composta da figli di industriali,
professionisti, ma anche di figli di immigrati veneti e meridionali che
vivevano ancora in tuguri umidi e maleodoranti. Il maestro sorpreso dal nostro
stupore rifletté e insieme concordammo la replica per il Mazzoni, semplice e
geniale alla quale però non avevamo pensato. Venne incaricato di ribattere al
figlio del farmacista il nostro capoclasse, Mario Freni, in seguito genio della
fisica, prematuramente scomparso per un eguale amore per la montagna. Freni
andò e riferì. Il Mazzoni ammutolì, e la sua tracotanza si sciolse come neve al
sole. Il maestro vide l’espressione di delusione del Mazzoni e sorrise al
capoclasse che tornava. Dopo chiuse la porta e la lezione riprese. Il Mazzoni
rimase lì a rimuginare sulla caducità della sua breve vittoria. In fondo, avrà
pensato avevamo ragione: sulla luna tutto è in bianco e nero!
Attraverso le nostre scelte consapevoli è possibile diminuire i consumi per l'affermazione di un'economia sostenibile ed equa. Dai modelli di comportamento, ai trasporti e alle letture tutto è materia per un approfondimento che porti a discriminare tra l'utile e il vacuo, tra la sostanza e l'effimero, tra il modello virtuoso e il pedissequo seguito a richiami di inconsistente benessere.
sabato 24 agosto 2019
martedì 4 giugno 2019
Eugenio De Franceschi, l'onore della fuga
La storia della fuga di Eugenio De Franceschi rientra tra le migliaia di casi di diserzione registrati durante la Prima Guerra Mondiale. La diserzione era vista come atto di estrema viltà, tradimento della causa dello Stato e la codardia davanti al nemico veniva punita severamente, spesso con la pena di morte decretata sommariamente da ufficiali rancorosi, frustrati spesso impreparati al disagio della guerra e del tutto inadeguati all'esercizio del comando.
Il tenente De Franceschi sin dall'inizio della guerra si distingue per azioni di combattimento particolarmente ardimentose e beneficia in poco tempo della compiacenza dei ranghi più elevati del suo reggimento; capitani e colonnelli vedono nel giovane tenente l'esemplare più rappresentativo dell'entusiastica partecipazione interventista al conflitto, il campione dell'arrogante gioventù sprezzante del pericolo e amante della causa irredentista. Il tenente De Franceschi è l'eroe giovane e leale che si vorrebbe morto per poterne celebrare le gesta e l'ardimento in qualche cerimonia ufficiale. Ma De Franceschi non vuole morire e la guerra, adesso, gli fa orrore. Non vuole che una mina o una granata metta fine ai suoi giorni e non vedendo il conflitto finire decide di terminare la sua inutile parte di soldato complice di una inutile strage. Decide di scappare, di disertare. Di passare per un vigliacco, un codardo. Riuscirà nel suo intento grazie al coraggio, allo spirito di adattamento. Viaggerà con mezzi di fortuna lungo le coste della Croazia, della Dalmazia passando per le città e i paese della costa che conosceva grazie ai viaggi d'affari del padre, commerciante anconetano di frutta secca, che con serbi, montenegrini, albanesi e greci manteneva rapporti d'affari. Arriverà agli inizi del settembre 1916 in una sperduta isola greca di fronte alla Turchia e durante il suo soggiorno prenderà coscienza del suo atto di ribellione che apparirà più grande e immane di un semplice atto di insubordinazione.
Ma la Guerra non è finita e sulle sue tracce di fuggiasco sta fiutando un abile funzionario dell'Esercito che riuscirà a trovare Eugenio grazie all'empatia di una condivisione di un desiderio di una nuova vita piuttosto che grazie alle delazioni di comandanti di carrette o violenti contrabbandieri. La guerra di Eugenio riprenderà ad essere combattuta su altre navi clandestine e mezzi di fortuna per concludersi, questa volta a Gibilterra, una terra di confine dove il tenente De Franceschi incontrerà il suo silente inseguitore che lo lascerà andare con una motivazione che lo sorprenderà.
martedì 28 maggio 2019
Il tenente coraggioso che aveva paura della guerra.
La storia di Eugenio De Franceschi è la storia di un soldato valoroso che ha avuto paura di fare la guerra. Nato nel 1893 a Savona, nel 1914 si arruola con il grado di tenente dopo avere svolto il noviziato militare in Accademia a Torino. Allo scoppio della Guerra parte per il fronte e sulle trincee del Carso si distingue per diverse azioni di ardimento e coraggio, ma anche per l'esemplare disciplina degli uomini del suo plotone. Sparisce nel tardo ottobre del 1915 durante una licenza a Venezia. Il tenente D'Onofri, suo commilitone, testimonierà di avere sentito un tonfo nel canale e di avere visto, poco dopo, una mantella di lana da soldato riemergere dall'acqua. Ma del tenente De Franceschi nessuna traccia. Venne dato per morto annegato solo per alcune settimane, fino a quando un testardo e diffidente funzionario dell'esercito farà aprire , dalla Procura del Regno di Venezia, un fascicolo per diserzione. Sulle sue tracce viene messo un maturo ufficiale in carica presso l'esercito con funzioni di sorveglianza e coordinamento dei giovani ufficiali di complemento, il capitano Moroni, che solo grazie alla capacità di rielaborare le paure di un giovane soldato alle prese con l'angoscia della guerra e l'orrore vissuto prima della carica riuscirà a capire quale verso abbia preso la vita del tenente De Franceschi. Dopo un lungo peregrinare nell'Adriatico e in sperdute isole greche l'inseguimento prosegue attraverso il Mediterraneo sconvolto dalla guerra navale e arriva in Spagna dove il capitano Moroni incontrerà De Franceschi solo per un breve colloquio, un momento per esprimere ammirazione per il coraggio dimostrato durante la fuga, per le sofferenze patite e gli atti di vera umanità di cui si è reso protagonista. Una sorprendente e commossa presa di coscienza da parte di un vecchio e fedele appartenente alle forze armate verso il coraggioso atto di sfuggire da una morte assurda negli anni dell'inutile massacro.
lunedì 27 maggio 2019
Quanta religione
(...)
Ma tra poco sarà qui il cafarnao
delle carni, dei gesti e delle barbe.
Tutti i lemuri umani avranno al collo
croci e catene. Quanta religione.
(...)
Eugenio Montale da "Sulla Spiaggia"
mercoledì 23 gennaio 2019
Sempre presente
Sono attente e selezionate le
uscite del Presidente Mattarella. Sempre molto discretamente presenzia alle
cerimonie e alle occasioni che sottolineano la profonda natura democratica del
Paese che rappresenta. Seguire le apparizioni pubbliche di Mattarella è il modo
migliore per tenersi aggiornati sullo stato di salute democratico dell'Italia,
visto che oggi, da più parti, circolano voci insistenti su un possibile
peggioramento del quadro clinico del Paese. Oggi, per esempio, a Genova ha
partecipato al ricordo dell'omicidio di Guido Rossa, un sindacalista che si oppose
fermamente al dilagare della rivolta spregiudicata e violenta contro l'ordine
democratico. Mattarella ha reso onore ad un martire civile, ma soprattutto ha
voluto che l'Italia di oggi ripassasse o studiasse, a seconda delle
generazioni, una pagina di storia recente che ha generato sangue e lutti per
colpa di chi si opponeva al dialogo, alla tolleranza e al compromesso.
Mattarella è la guida per ritrovare il senso più autentico della democrazia
dettato dalla nostra Costituzione.
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