Puntale ogni anno, con l’arrivo
della bella stagione, riprende la conta delle tante persone che lasciano la
vita a causa di incidenti in moto.
I motociclisti sono un capitolo
importante nelle statistiche di morte per incidenti stradali, ma come spesso
accade, di fronte a fenomeni immani, lo Stato assiste inetto e imbelle e
tollera una scempio di vite umane che lascia impietriti per lo strazio di una
vita spezzata, per il raccapriccio di un corpo martoriato e per l’assurda
inutilità di una corsa che non porta da nessuna parte.
Essere motociclisti è sicuramente
parte di un modo di vivere, di condividere esperienze e conoscenza in nome
della tecnica e della velocità e di una scolorita percezione di libertà, ma questo
non deve presupporre l’assoluta libertà di rischiare la vita senza una scopo,
senza una ragione.
L’Italia è il Paese delle moto:
si progettano, si costruiscono, si vendono e si riparano. Il colori nazionali
sono spesso portati sul podio più alto da motociclette e piloti italiani. E’
senza dubbio un grande motivo di orgoglio, anche per i più scettici. Ma tutto
questo non deve permettere la carneficina che si compie ogni giorno sulle
strade. Correre su una pista è, paradossalmente, meno pericoloso che sfrecciare
su una strada di periferia o affrontare tornanti durante una gita domenicale. I
pericoli della strada sono molteplici, incontrollabili, ineliminabili. E per i
motociclisti sono delle vere e proprie trappole.
E’ dunque logica conseguenza che
un Paese che vive sui fasti motociclistici passati, presenti e auspica nuovi
successi futuri non possa fare altro che incentivare il consumo legato alla
moto, ma come combatte la droga, la guida sotto l’effetto di alcol, la
velocità, il gioco d’azzardo, l’obesità l’eccesso di sedentarismo, ovvero tutti
quei comportamenti che fanno male a noi e agli altri, allo stesso modo dovrebbe
attivare campagne per tenere lontano le persone dalle moto. Almeno fino a
quando si è giovani e ribelli.
Un ragazzino che a 14 anni inizia
a girare in motorino intraprende una potenziale carriera di motociclista
destinata ad interrompersi, se gli andrà bene, su una sedia a rotelle. L’escalation
della potenza prosegue fino all’età di 21, 22 anni quando la legge gli darà la
possibilità di guidare moto dalla potenza impressionante. E a quell’età la
morte è solo un nemico facilmente eludibile.
Ma cosa si può fare per impedire
ad un ragazzo di iniziare il flirt con la moto? Innanzitutto stimolarlo verso
altri mezzi di locomozione, proponendogli, per esempio, dei crediti scolastici
se si asterrà dal conseguire la patente per guidare la moto fino a 18 anni. Quattro anni senza guidare la moto sono per lui una ragione per aumentare le sue possibilità
di sopravvivenza e arrivare alla maggiore età sano. I crediti potranno essere
trasformati in un premio consistente in mezzi di locomozione a zero o basso
impatto, come una bicicletta elettrica.
Se poi, proprio non potrà fare a meno della moto almeno inizierà la sua
carriera da maggiorenne, con un minimo di sale in zucca in più.
Se un ragazzo su una moto non
percepisce il pericolo, potrebbe però percepire che il rischio ogni tanto c’è.
Sarebbe dunque opportuno, di concerto con le scuole, gli oratori e i circoli
sportivi, proporre un volontariato obbligatorio in affiancamento agli operatori
del soccorso ai quali tocca spesso recuperare corpi smembrati di chi, come loro,
pensava che la morte fosse un problema di poco conto. Cruento, forse, ma
sicuramente edificante.
Per finire, sarebbe opportuno
iniziare a smantellare l’immaginario legato alla moto che accompagna il bambino
fin dalla tenera età: tricicli a forma di moto, moto elettriche, modellini di
moto.
La moto è uno strumento di morte. Meglio tenerlo fuori dalla portata dei bambini.
La moto è uno strumento di morte. Meglio tenerlo fuori dalla portata dei bambini.